PENTECOSTE - Gv 14, 15-20
(At 2,1-11; 1Cor 12, 1-11; Gv 14, 15-20)
Se non irrompesse lo Spirito di Dio che storia vivremmo noi? Senza un dono dall’alto saremmo condannati a ripetere la storia con tutto il suo fardello di contraddizioni, violenze, ingiustizie… Certo, la storia non è solo disgrazie, godiamo del benessere, del progresso tecnologico…. Eppure guardiamoci in faccia: chi non è preoccupato, chi non avverte la mancanza di futuro magari non per sé, ma di sicuro per i propri figli? C’è chi paragona gli effetti della profonda crisi che attraversiamo a quelli di una guerra… Ma non dico questo per fare il solito discorso: ecco le cose vanno male allora ci aggrappiamo alla fede e a Dio!
La festa di Pentecoste e la parola di Dio di oggi ci dicono che c’è la possibilità di immettere nella storia umana e nelle nostre contraddizioni, lo Spirito di Dio.
La condizione del gruppo di discepoli chiusi nel Cenacolo fotografa bene la realtà che sempre ci riguarda.
Cinquanta giorni dopo la catastrofe pasquale, quegli uomini e donne che avevano seguito Gesù ancora stentavano a metabolizzare quella croce piantata alle porte di Gerusalemme. Eppure cinquanta era il numero della pienezza e della soddisfazione. Non a caso quaranta erano stati i giorni e gli anni del deserto, quelli della prova e della privazione, ma cinquanta volevano dire che il raccolto era maturato, la spiga era gonfia di frumento e loro invece ancora aspettavano di maturare, di decidersi da che parte andare.
In questa incertezza umana, irrompe la pienezza di Dio. Luca lo dice con il suo vocabolario e per tre volte ripete questo verbo della pienezza: mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste…un vento riempì tutta la casa… e così finalmente anche i discepoli tutti furono colmati di Spirito Santo (lett. riempiti di Spirito Santo).
Ecco la Pentecoste è il compimento del disegno di Dio, è il giorno della pienezza che non avrà mai fine e comincia l’epoca dello Spirito Santo, che è la vita stessa di Dio, il soffio d’amore tra il Padre e il Figlio che inonda la terra e l’umanità.
Come i discepoli fanno esperienza di questa pienezza? La narrazione del libro degli Atti parla di due modalità: c’è qualcosa che si sente e qualcosa che si vede.
Viene nella casa un fragore quasi un vento che si abbatte impetuoso, lett. un suono di vento impetuoso. Il suono riguarda l’udito, si sente come un vento che riempie la casa dove i discepoli sono riuniti, sono seduti e seduto è il discepolo che sta ad ascoltare.
Il suono non è più quello della teofania sul Sinai (Es 19,16) dove c’erano stati terremoto e tuoni per preparare il dono delle dieci parole, della legge. Ora il suono è tutta la Parola di Gesù, quel Vangelo che Luca ha scritto prima del libro degli Atti e quando riascolti la Parola del Vangelo, questa parola ti riempie dello Spirito di Gesù e del Padre, cioè del suo amore.
E anche noi siamo seduti al centro di questa Parola che ci avvolge, di questo amore che viene direttamente da Dio attraverso la Parola. Perché lo Spirito non è una cosa vaga e generica, è lo Spirito di Gesù e del Padre che riempie la casa, la vita, il cuore e la mente.
E poi c’è qualcosa che riguarda il vedere, perché il suono lo vedi e uno diventa la parola che ascolta. E che cosa vedono i discepoli? Qui vedono il fuoco sotto forma di lingue di fuoco, nel senso che il fuoco ha a che fare con la lingua infatti si mettono a parlare. Cioè lo Spirito di Dio è una Parola che ascolti e che diventa una Parola che annunci, che comunichi, che doni.
Il fuoco ciascuno lo riceve, ma lo ricevono tutti insieme, nessuno da solo. Vuol dire che ognuno, come diceva Paolo, ha un dono particolare di Dio, che tu sei diverso dall’altro, ma è lo stesso fuoco.
Non c’è confusione come a Babele dove tutti parlavano una sola lingua e non si intendevano e finirono nella confusione. Qui invece ognuno comprende nella propria lingua, è il dono dell’unità nella diversità. L’amore suppone la diversità, la distinzione, la differenza e quindi fa la comunione nella differenza.
Il pericolo costante nella vita sociale è quello del conformismo, un conformismo strisciante, del tutti fanno così… che c’è anche nei gruppi cristiani che vivono del «monopensiero» del leader e finiscono per essere tutti intruppati, ma questo non è più cristianesimo. A Pentecoste c’è il rispetto di tutte le diversità, mentre quella è la torre di Babele. Oggi per dirla con le parole dell’Apocalisse cap. 13 dove si parla della bestia, succede come allora che chi non aveva il nome della bestia sulla mano e sulla fronte non poteva andare al mercato… se non pensi come la bestia, se non sei omologato a tutti gli altri, se non agisci come loro non puoi vivere. Ma questa è la morte, è la fine, la depressione, il conformismo vuoto.
La vita infatti è solo nella differenza, l’amore è solo nella differenza. Se no è narcisismo, cioè è amare lo specchio di se stessi, è annegare in se stessi. E lo vedete nella vita matrimoniale, negli affetti e nelle relazioni.
Notavamo all’inizio che si compiono i giorni, si riempie la casa e i discepoli sono pieni dello Spirito… tutto pieno! È il compimento, è la pienezza della Scrittura e ormai siamo noi stessi il compimento della Scrittura, perché siamo pieni dello Spirito di Dio, che è appunto lo Spirito dell’amore. Quando ami anche nelle situazioni più faticose e difficili, quando ti ostini ad amare come ha fatto Gesù, ecco lì effondi lo Spirito di Dio nella storia umana, allora riempi la storia di amore. Ed è questa la lingua che tutti capiscono, l’amore lo si capisce in tutte le lingue, in tutti i popoli.
Luca non a caso descrive la lista dei popoli prima a partire da Est a Ovest e poi da Nord a Sud, quasi tracciando un segno di croce sulla cartina. Tutto il mondo è qui dentro in tutta la sua diversità, ma dove ci sono anche i nemici storici di Israele, dai romani fino a risalire indietro dai più antichi che vengono dall’Egitto o da Babilonia, i nemici tradizionali, di sempre. Eppure con l’amore, che è lo Spirito di Dio, si ricompongono in unità.
Invochiamo il dono dello Spirito su di noi, sulle nostre divisioni, sulle nostre paure e sulle nostre chiusure perché impariamo a viverle nello Spirito di Gesù. Se viviamo così saremo anche noi Pentecoste vivente per la nostra umanità, lasciamo che lo Spirito Santo riempia la nostra storia.
Ed è questo stesso Spirito che invochiamo sull’incontro di preghiera voluto da Papa Francesco che insieme al Patriarca ecumenico Bartolomeo e ai presidenti di Israele, Shimon Peres e di Palestina, Abu Mazen si incontrano a Roma per cercare la riconciliazione e la pace.
Ma è questo stesso Spirito che invochiamo su di noi perché sia quando vicino a casa nostra, come quando saliamo sull’autobus e incontriamo molte più lingue di queste elencate negli Atti… impariamo a non usare il linguaggio del disprezzo che è invece il linguaggio del divisore, il linguaggio diabolico che tutti abbiamo e che vuole sopprimere e annullare tutte le differenze che ci fanno paura.
Invochiamo il dono dello Spirito perché apra i nostri sguardi su orizzonti più vasti. Perché riempia i nostri cuori e li faccia bruciare di passione per il Vangelo e perché fecondi le nostre menti e vi faccia fiorire pensieri fecondi.
Che lo Spirito di Dio, che è spirito d’amore ci doni di riempire la storia di ogni giorno di speranza e di fiducia.