I DI QUARESIMA o Domenica all’Inizio di Quaresima - Mt 4, 1-11


audio 26 feb 2023

Come primo pensiero vorrei invitarvi a fare nostro l’appello di papa Francesco a vivere una quaresima “sinodale”, vale a dire camminare insieme in questi 40 giorni, come discepoli dell’unico Maestro, verso la sua e nostra Pasqua.

In effetti questo periodo che forse per qualcuno di noi può essere segnato da un desiderio di conversione personale che muove dalle domande: “Chi sono io? Chi vorrei o potrei essere io?”, potrebbe assumere un carattere più sinodale se ci domandassimo anche: “Chi siamo noi? Chi vorremmo o potremmo essere noi?” come chiesa, come comunità, come popolo di Dio.

Gli stessi giorni di Carnevale che precedono l’inizio della quaresima, con le loro maschere e travestimenti, ci ricordano come sia necessario mettere in questione non solo l’io, ma la nostra stessa umanità, il nostro mondo che ha bisogno di liberarsi dalle ingiustizie, dalle oppressioni, dal puntare il dito e dal parlare empio… come diceva il profeta Isaia, che abbiamo ascoltato nella prima lettura: qual è il digiuno che il Signore vuole? Sciogliere le catene inique, togliere i legami, rimandare liberi gli oppressi… Se aprirai il tuo cuore all’affamato, se sazierai l’afflitto di cuore, allora… allora, dice Isaia, Ti guiderà sempre il Signore, allora ricostruirai le fondamenta di trascorse generazioni.

Ecco, se vogliamo ricostruire le fondamenta di una società giusta e rispettosa dei diritti umani, un’umanità degna di questo nome, mettiamoci anzitutto nell’atteggiamento di chi vuole camminare insieme verso la Pasqua, come dice papa Francesco.

Concretamente questo significa, ed è il secondo pensiero, chiederci quali atteggiamenti interiori sono necessari per camminare insieme e per superare le ingiustizie, per pensare una società più umana?

Parrebbe un ossimoro, parlare di interiorità e giustizia sociale, ma è un passaggio necessario anche se non sempre preso in considerazione, perché di fatto ogni processo di trasformazione parte dall’intimo di ciascuno. Anche per questo il percorso quaresimale ci ricorda le tentazioni che Gesù stesso ha sperimentato nel deserto sono anche le nostre tentazioni, sono le tentazioni di un popolo, dell’umanità tutta, della chiesa stessa.

Il cammino quaresimale, il lavoro interiore, non è semplicemente finalizzato alla nostra perfezione spirituale o al nostro benessere interiore, ma anche a mettere in moto nuove dinamiche spirituali nel mondo.

Sappiamo che oggi la giustizia, le disuguaglianze, le guerre, il disastro ambientale… sono tutti elementi che ci dicono che in questa fase l’umanità può distruggersi e ha tutti gli strumenti per farlo. A che pro una quaresima che abbia a cuore la nostra salvezza individuale, se crolla la casa in cui abitiamo?

Il primo atteggiamento di una vita interiore, di una vita spirituale si sviluppa non quando si comincia ad avere fede in Dio, ma quando si prende coscienza della propria dipendenza da forze che ci precedono, che ci alimentano e che si sviluppano in noi.

È importante, perché ci possono essere persone che credono in Dio e non sviluppano una vita spirituale perché non si impegnano in un lavoro interiore consapevole di questa dipendenza reciproca e affidano tutto a Dio. Per contro ci possono essere persone che non credono in Dio e sviluppano una vita spirituale perché vivono nella consapevolezza della loro dipendenza da tutto ciò che ci circonda.

Dimentichiamo forse che come esseri viventi dipendiamo continuamente dall’aria che respiriamo, dall’acqua che beviamo? Dimentichiamo di dipendere dall’amore degli altri, dalla loro stima?

È importantissimo per noi ricordarci che ciò che diventiamo a seguito del lavoro interiore che compiamo su noi stessi ha un influsso diretto sul modo con cui viviamo le nostre relazioni e quindi sugli altri con cui interagiamo.

Per compiere questo, ecco il terzo pensiero, c’è necessità del silenzio. Perché? che c’entra il silenzio con le ingiustizie che invece esigono lotta e azione?

Gesù che si ritira nel deserto con lo Spirito che abita in lui, ci rimanda alla necessità di fare deserto, di fare silenzio. Noi nasciamo incapaci di fare silenzio. Quando nasciamo abbiamo la necessità assoluta di farci sentire, di richiamare l’attenzione di chi ci sta attorno, è un fatto di sopravvivenza. E tutta la vita reclamiamo attenzione e cura per noi stessi.

Con l’incalzare dei mezzi di comunicazione che abbiamo a disposizione oggi e che stanno modificando le nostre strutture interiori, anche il nostro cervello sta fisicamente cambiando per l’uso continuo… a maggior ragione abbiamo bisogno di spazi di silenzio. Rischiamo di vivere continuamente appoggiati sugli altri che parlano, sulla musica che ascoltiamo, sugli eventi che ci sollecitano… e di non avere quel silenzio che le società antiche avevano più possibilità di custodire. Camminare a piedi o viaggiare su un asino o su un cavallo erano situazioni che consentivano riflessione e solitudine. Non che questo ci permetta di dire che quelle società fossero più giuste.

L’esercizio del silenzio non è semplicemente non parlare, non disturbarsi reciprocamente, ma anche gestire il proprio mondo interiore, quindi ascoltare i pensieri che ci attraversano, gli stati d’animo che segnano questo momento. Il silenzio interiore ci mette in condizione di renderci conto di ciò che stiamo vivendo, di aprirci alla decodificazione dei desideri, dei bisogni, di quello che ci preoccupa, di ciò che ci sta a cuore…

Se non facciamo mai i conti, nel silenzio, con tutto ciò che ci attraversa, finisce che ne diventiamo schiavi. Schiavi delle tre grandi tentazioni che sono di ciascuno di noi, di tutta la famiglia umana e della chiesa stessa, vale a dire le tentazioni della voracità, della falsa religiosità e del dominio.

Il silenzio ci apre al passaggio dall’io al noi, dal ripiegamento su noi stessi al sentirci un popolo in cammino, sinodale appunto, con la grande responsabilità di ricostruire le fondamenta per un mondo più giusto.

(Is 58,4-12; Mt 4,1-11)