I DOPO LA DEDICAZIONE - Domenica del mandato missionario - Lc 24, 44-49
Dopo la morte di Gesù non è stato affatto facile per i discepoli provare a immaginare il loro futuro: pare di sentirli, rassegnati come tutti, lamentarsi gli uni con gli altri, perché ancora una volta nella storia umana il male l’ha avuta vinta. La crocifissione del Maestro è stata un duro colpo, una sconfitta, un’umiliazione e un fallimento. Come i discepoli sono riusciti a darsi un futuro?
Le letture di oggi ci mettono sulla strada percorsa dalla prima comunità per dirci che c’è stato bisogno di tempo, non nel senso che il tempo medica le ferite di per sé, ma di un tempo in cui sono stati capaci di fare una cosa che Gesù ha loro insegnato e che ritroviamo nel cap.24 di Luca, siamo proprio alle ultime battute del Vangelo, in cui il Signore chiede ai suoi di imparare a leggere la realtà attraverso la Scrittura: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella Legge di Mosé, nei Profeti e nei Salmi.
Così anche noi leggiamo la Bibbia, ascoltiamo parole antiche, meditiamo sulle Scritture, almeno tutte le domeniche, perché ci aprano la mente, affinché ci aiutino a vedere le cose da un’altra prospettiva e non ci lasciamo inchiodare dalla cronaca alla tristezza e alla rassegnazione di fronte al dilagare del male e dell’odio.
Paolo chiama questa cosa, al termine del passo di oggi, la sapienza di Dio. Gesù Cristo è la sapienza di Dio: scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani. Infatti che sapienza può venire da uno crocifisso? Non è forse la conferma che alla fine il male, l’odio e la violenza vincono sempre? Che sapienza è mai quella della croce?
La mente di tutti noi è chiusa dall’esperienza, dal fatto che abbiamo registrato anche nelle nostre esistenze che per quanto ci impegniamo ad amare, ad andare d’accordo… molte volte la soluzione dei conflitti, delle incomprensioni e delle tensioni non può che essere l’eliminazione dell’altro.
Alla nostra chiusura mentale Gesù offre un’apertura possibile: guardando la sua croce e la sua risurrezione (vanno sempre insieme) ci apre su una vita che continua dopo la morte, una vita da intendersi non come facile consolazione, ma come orizzonte che diventa un criterio per cambiare, un criterio per decidere le scelte di vita qui ora. La sapienza della croce insegna ad avere i piedi ben piantati nella storia, ma con lo sguardo oltre le cose perché la vita continua.
Quanti errori eviteremmo, quanti giudizi affrettati cambieremmo se avessimo nel cuore questa sapienza, questa apertura mentale. È paradossale perché in genere come credenti veniamo giudicati tutt’altro che mentalmente aperti, anzi per lo più veniamo considerati ottusi, chiusi, rigidi… questo perché talvolta viviamo un atteggiamento di rassegnazione e di moralismo fine a sé stessi, incapaci di comprendere il cuore delle persone, i percorsi complicati di tante esistenze difficili e ci trovano subito pronti a emanare sentenze.
È un errore, un fraintendimento pericoloso nel senso che, come è successo nella storia, siamo legittimati anche noi a usare violenza, a ripagare l’odio con la stessa moneta. Qui occorre più che mai quella che Paolo chiama la sapienza di Dio.
Guardiamoci intorno, anche nel conflitto tra Israele e Palestina, in una guerra mondiale a pezzi – come ha visto bene papa Francesco – nel proliferare di una frammentazione di violenza e di odio, non sembra esserci altra via d’uscita dalla rissa di chi corre a demonizzare o gli uni o gli altri, a schierarsi a favore degli uni o degli altri. «In queste condizioni, è difficile vedere la possibilità di uno Stato palestinese con centinaia di migliaia di coloni israeliani che gli sono radicalmente ostili ed è difficile immaginare che Israele ritiri i suoi insediamenti» (E. Morin). Le prospettive sono fosche, le violenze tendono a intensificarsi da entrambe le parti. Le verità unilaterali trionfano, mascherando verità contrarie.
Non sappiamo quale strada prenderà il conflitto se prevarrà la via della diplomazia e della ragionevolezza, se un’azione congiunta delle Nazioni Unite e degli Stati occidentali e arabi potrà portare a un risultato decisivo o se il conflitto andrà estendendosi, incendiando una nazione dopo l’altra… Non lo sappiamo, ma possano almeno le nostre menti resistere al delirio.
È terribile l’odio che a piene mani si va seminando nel futuro. La rabbia e il dolore sono una piaga destinata a sanguinare per anni e anni. Ciascuno piange i propri morti e maledice chi li ha uccisi.
Il dolore diventa il carburante del rancore e a macchia d’olio quella rabbia diventa sete irrazionale di vendetta che non servirà mai a ridare la vita ai propri cari. La collera si estende di generazione in generazione a tutta la comunità e alla propria religione.
Chiunque tentasse oggi di pensarla diversamente viene considerato un traditore, un infame, un pavido, un indegno. Non è chiusura mentale questa?
Se siamo qui è perché vogliamo condividere con Cristo la missione di vincere l’odio, di trasformare ogni chiusura mentale anche tra i nostri vicini, i nostri amici e i nostri concittadini, sapendo che altrimenti chiuderemo il futuro in una logica di violenza e di odio che non fa altro che generare sempre peggiori crudeltà e massacri.
Possano almeno le nostre menti resistere al delirio dell’odio.
(At 10,34-48; 1Cor 1,17-24; Lc 24,44-49)