IV DOPO PENTECOSTE - Mt 22, 1-14
Non basta più ascoltare e leggere la parola di Dio come un insegnamento, quasi fosse una lezione di morale. Così come non ci possiamo più nemmeno accontentare di venire all’eucaristia, alla cena del Signore per trovare un poco di consolazione, di forza e di nutrimento spirituale, perché fuori di qui, se allarghiamo l’orizzonte a quanto accade intorno a noi, ho come la percezione che tutto questo abbia lo stesso effetto che ha sulla nostra macchina una pulitina all’autolavaggio: appena fuori dal tunnel l’auto esce bella e linda, anche profumata, ma nel giro di pochi giorni, se non di poche ore, basta una pozzanghera, un repentino cambiamento del tempo… e siamo punto e a capo.
Visto il tempo che stiamo vivendo, alla luce delle sfide che la storia ci pone innanzi, la parola del Signore ci domanda di avere uno sguardo, una visione intelligente per capire, per conoscere, per interpretare quello che accade e agire di conseguenza.
La visione che il Vangelo ci dona è quella di un banchetto che rischia di essere senza invitati. Impossibile immaginare un banchetto senza invitati! Se poi si tratta di un banchetto di nozze la situazione rischia di essere ancora più imbarazzante, diciamo così. Forse anche qualcosa di più che imbarazzante perché ad invitare non è uno qualsiasi, ma il re. Se poi questo re in realtà è Dio stesso, come dice Gesù, siamo subito costretti a spostarci su un altro piano.
Rifiutiamo l’invito di Dio? Lasciamo il figlio di Dio a tavola da solo? Ma cosa c’è di così più importante da fare per arrivare al punto di rifiutare un invito così autorevole? Due sono i motivi spiega Gesù: non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; e poi: li insultarono e li uccisero.
Il primo motivo: non se ne curarono! Tutta questa curvatura sulle proprie cose, sul campo e sugli affari propri, denota indifferenza, menefreghismo, vale a dire chiusura su se stessi. Quando contano solamente le proprie cose e i propri affari.
Il secondo motivo appare persino esagerato perché si passa dalla violenza verbale a quella fisica: li insultarono e li uccisero. Esagerati! Che motivo c’è di reagire in questo modo?! Una violenza che appare del tutto irrazionale, perché di fatto è la mancanza di argomentazioni e di pensiero che fa passare nel giro di poco dalla violenza verbale a quella fisica. È un attimo: li insultarono e li uccisero.
La visione del banchetto dice che si parla di noi, siamo noi gli invitati alle nozze, siamo noi cristiani, cattolici che abbiamo il titolo di essere invitati alla comunione con Dio. Ed è bellissima questa immagine concreta, vera, reale. La comunione con Dio è fatta non di anime belle che svolazzano nell’aria, ma di una tavola, di una festa alla quale il re in prima battuta non invita gli sconosciuti, i non credenti, gli atei: i primi invitati siamo noi che crediamo, che andiamo a messa, che diciamo il rosario, che esibiamo il vangelo…
Ora cosa succede?
L’assurdo, nel senso letterale di chi vive come fosse sordo a qualsiasi segnale dei tempi, è che costoro rifiutano l’invito perché hanno di meglio da fare: hanno i propri affari. Non solo ma diventano anche violenti prima a parole e poi nei fatti, credendo così di stare meglio e di migliorare la situazione.
Se traduciamo in termini contemporanei è la posizione cosiddetta sovranista, propria di chi vende questa idea semplice e ovvia: prima noi, i nostri affari, le nostre cose… e non sa vedere che la storia va in un’altra direzione, quella del banchetto intorno al quale c’è posto per tutti. La storia va avanti e scavalca le loro dighe e i loro muri, dissolve i loro argini e i loro confini come castelli di sabbia, se non fosse che nel frattempo costa la vita a migliaia di persone.
Cosa andiamo a fare a scuola se non impariamo che la storia da sempre ci mette dinnanzi al bivio: o condividi o ti chiudi, dove la scelta di chiudersi è perdente. Ti sembra di vincere difendendo il tuo orticello, riempi le piazze e chiudi i porti, e credi di migliorare la tua condizione.
Non si tratta di essere “buonisti” o “cattivisti”… sono formule vuote, senza contenuto, etichette da stadio che nascondono l’incapacità di pensare e di cercare di comprendere la realtà, l’andamento della storia. Nei momenti come questi la tattica è far sì che la gente non pensi, che la massa si muova sedotta da alcuni slogan e non si informi, non studi, ma ragioni con la pancia spostando la paura, la frustrazione, il malcontento sull’altro. Ieri erano il nero, l’ebreo, lo zingaro, oggi è il migrante, lo straniero, il clandestino!
Questa è la tattica: spostare sull’altro l’energia violenta che ci pulsa dentro che funge così da capro espiatorio: per Nerone furono i cristiani, per Hitler furono gli ebrei, per…
Ma questa tattica ha una strategia? Dove vuole arrivare? perché questo è funzionale al consenso e al potere, anzi al dominio, più che al potere. Perché il potere c’è e lo si deve equilibrare e gestire con gli strumenti previsti dalla Costituzione, cui attingono la politica e la diplomazia, ma il dominio lo si esercita d’arbitrio, di prepotenza, con arroganza e in genere sulla pelle di chi è più debole. È facile fare i forti con i profughi, i migranti, con chi non ha nulla, con donne e bambini in balìa del mare.
Anche la narrazione dell’accoglienza come emergenza o addirittura come business, è funzionale alla diffusione del messaggio propagandistico dell’insicurezza, della minaccia. Nonostante le enormi difficoltà e non pochi esempi inadeguati, ci sono esempi anche grazie all’impegno di tanti di luoghi e spazi di integrazione.
Proviamo a immaginare un giorno senza immigrati: basterebbe questa consapevolezza a mettere fine a tante becere speculazioni.
Una certezza c’è, conclude la parabola: il banchetto è lì puoi sempre smettere la tua indifferenza, puoi abbandonare la tua arrogante violenza di dominio. C’è posto anche per te. Ma devi togliere il vestito e la maschera per ritrovare quello che di umano c’è in te. Devi indossare l’abito nuziale: La veste di lino sono le opere giuste dei santi, dice l’Apocalisse (19,8). Se vuoi sederti al banchetto del figlio di Dio, al banchetto della vita devi indossare l’abito, le abitudini alla giustizia.
Di quale giustizia parliamo? Della giustizia scritta nei trattati internazionali, nelle Costituzioni degli Stati? Certamente, ma c’è una giustizia non scritta con l’inchiostro, quella che è iscritta nel cuore e nell’intimo di ciascun essere umano e che chiede di guardare in faccia a ogni persona che incontriamo perché quello che viene superficialmente etichettato “business dell’invasione clandestina” sono donne, uomini, bambini che stanno combattendo una battaglia di cui tu non sai nulla. Allora sii gentile. Sempre. È così che puoi migliorare la tua città, il Paese, il mondo.
Infatti, Dio continua a credere di trovare prima o poi qualcuno che magari non ha fatto il catechismo, non è stato battezzato, non esibisce in piazza il rosario… ma che accetta l’invito a stare con lui nella gioia del banchetto. L’invito alle nozze è esteso a chi sta sulla strada, a chi è abituato nella realtà di ogni giorno a condividere.
Dio vuole vicino a se gente che sappia condividere. Ce n’è fin troppa di gente che sta chiusa nella difesa dei propri affari e interessi e di gente che si crogiuola nelle proprie anguste paranoie di dominio vivendo l’altro come nemico, avversario, pericolo, minaccia.
Impariamo dunque una visione altra, uno sguardo sulla storia che sia capace di andare oltre le frontiere, i muri e i mari, uno sguardo capace di vedere con gli occhi di Abramo, come dice la Genesi.
In realtà la prima lettura parla principalmente di Lot, nipote di Abramo, quel nipote nel quale il patriarca, che non riusciva ad avere figli, aveva riposto ogni sua speranza. Cresciuto a casa di uno zio così importante, Lot aveva imparato da lui la buona abitudine all’ospitalità, cosa del tutto normale per un orientale, ma impossibile in una città come Sodoma, nella quale invece era proibito accogliere stranieri, pena la morte.
Infatti quando si presentano dei viandanti Lot, educato così da Abramo e non immaginando minimamente si tratti di angeli di Dio, li fa attendere la sera prima di accoglierli in casa, perché non vengano visti.
Il midrash racconta allora che la moglie di Lot mentre preparava la cena per gli ospiti andò dal vicino per farsi prestare un po’ di sale, e quando questi le chiese come mai non se l’era procurato mentre faceva giorno, quella incautamente rispose: Ne avevamo a sufficienza, ma poi sono arrivati degli ospiti e allora non bastava più. Così la notizia della presenza degli stranieri si diffuse in città.
Ma furono proprio quei viandanti accolti a rivelare a Lot l’imminente distruzione della città. Ecco la prospettiva di cui abbiamo bisogno: l’aver trasgredito la proibizione di accogliere stranieri in realtà salvò lui e la sua famiglia, tranne la moglie che aveva rivelato la presenza degli ospiti e che divenne una statua di sale. Ancora oggi tutta quell’area è sale e di troppo sale si muore.
Preghiamo oggi perché non sia questo il futuro della nostra umanità. Quando arriviamo a trattare i poveri come ostaggi, come merce di scambio, quando non guardiamo negli occhi quelle persone e non riconosciamo la battaglia che stanno portando avanti…. Siamo destinati a diventare di sale. Ci vorrà tempo, ma questo è il futuro che costruiamo vivendo e agendo in questo modo. La statua della moglie di Lot, dice il midrash, è ancora lì nel deserto e le capre vanno a leccarla per trarre nutrimento.
Immagine desolante per dire che quello che oggi riserviamo a queste persone già domani lo riserveremo ad altri soggetti diversamente deboli.
Sono donne, uomini, bambini che stanno combattendo una battaglia di cui tu non sai nulla. Allora sii gentile. Sempre. È così che puoi migliorare la tua città, il Paese, il mondo.
(Gen 18,17-21; 19,1-2.12-13.15.23-29; Mt 22,1-14)