II DI QUARESIMA o Domenica della Samaritana - Gv 4, 5-42
Dobbiamo partire dall’umanissima domanda di Gesù alla donna di Samaria: Dammi da bere! In questa domanda c’è il grido di tutta l’umanità, un grido che va oltre il bisogno immediato, va oltre la sete d’acqua dovuta all’arsura d’estate o quella che proviamo dopo una fatica. Perché nella sete d’acqua è impressa una domanda più profonda e Cristo accompagna la donna e noi a passare dal bisogno al desiderio, dall’istinto al desiderio.
Il bisogno è sempre per me: ho bisogno di acqua, di cibo, di cose… Anche l’istinto è sempre per me e arrivo addirittura a servirmi dell’altro, sempre per me. E così, più mi avvito su me stesso, più aumenta il bisogno… in un circolo senza fine.
Gesù accompagna questa donna a comprendere che c’è una sete, di cui la sete di acqua è simbolo e metafora, c’è un’altra sete in cui non è più semplicemente questione di un bisogno o di un istinto, ma si tratta di qualcosa di più profondo che attraversa la vita umana.
Concretamente Gesù l’accompagna a riflettere sue due aspetti della sua vita. Anzitutto l’amore. L’amore cos’è? un istinto o è un desiderio? Se segue l’istinto quella donna di Samaria non sarà mai sazia… è arrivata ad avere perfino cinque mariti, più l’amante che ha adesso e deve andare al pozzo ogni giorno e continuerai ad andarci, mai sazia.
E poi la fede, perché anche il rapporto con Dio, se si fonda sull’istinto religioso non può che nutrirsi di formalismi superstiziosi, ha bisogno di templi da costruire su quel monte piuttosto che su quell’altro… come se Dio potesse essere rinchiuso sul monte Garizim!
È assurdo no? Più riempi la vita di cose, anche di cose religiose, più avverti il bisogno di cose. Più riempi la vita di te e più sei costretto a metterti sempre al centro. Tutto ruota intorno a te, alle tue voglie, ai tuoi bisogni, ai tuoi istinti.
L’istinto appartiene alla biologia: se ho sete e bevo, l’istinto animale è soddisfatto. Se voglio amare la mia donna o il mio uomo, faccio l’amore e sono soddisfatto.
Ma il desiderio, come dice la parola stessa, accede e accende le stelle, è una domanda aperta sull’infinito. Non a caso diciamo: ad ogni stella che cade esprimi un desiderio.
Infatti l’etimologia fa derivare il termine dal latino de-sidera, dove il de latino è particella intensiva per indicare il fissare le stelle, come se Gesù dicesse alla Samaritana: finché tieni lo sguardo sul fondo del pozzo vedi solo la soddisfazione dei tuoi bisogni, delle tue necessità, dei tuoi istinti. Siamo fatti anche di questo, ma non solo. Se vuoi spezzare questo movimento che ti avvita su te stessa, alza lo sguardo e immergiti nel blu del cielo: oltre la sete d’acqua, hai sete di altro.
In altri passi nel vangelo di Giovanni ritorna la metafora della sete, ne richiamo due: il primo dal capitolo 7, mentre si trova a Gerusalemme nell’ultimo giorno della festa delle Capanne, Gesù ritto in piedi, gridò: Se qualcuno ha sete venga a me e beva. Chi crede in me – come dice la Scrittura: Dal suo grembo sgorgheranno fiumi di acqua viva .
Parole che ricalcano quelle dette alla Samaritana: Chi berrà dell’acqua che io gli darò non avrà più sete in eterno.. anzi diventerà in lui sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna. Gesù parla al futuro, arriverà il momento in cui lui darà un’acqua, il suo Spirito, che soddisfa per sempre, non solo ma che rende i discepoli stessi sorgente e dono per gli altri di quella stessa acqua.
Dobbiamo infatti andare all’altro testo, quando dalla croce il Signore grida la sua sete: 28Gesù, sapendo che ormai tutto era compiuto, affinché si compisse la Scrittura, disse: «Ho sete». 29Vi era lì un vaso pieno di aceto; posero perciò una spugna, imbevuta di aceto, in cima a una canna e gliela accostarono alla bocca. 30Dopo aver preso l’aceto, Gesù disse: «È compiuto!». E, chinato il capo, consegnò lo spirito (19,28).
L’itinerario quaresimale ci conduce dalla sete della donna Samaritana ad ascoltare il grido, la sete di Gesù che fino all’ultimo respiro desidera donarci il mistero vivo di Dio. Quella sete che è cantata dai salmi in continuazione: Ha sete di te l’anima mia (63,2)! Perché la cosa peggiore per un credente è essere sazio di Dio.
Per un verso è vero che chi incontra il Dio di Gesù non ha desiderio di altro, ma è anche vero che l’esperienza di fede non serve a risolvere la sete bensì a dilatare il nostro desiderio di Dio, a tenere continuamente aperto questo desiderio che si affaccia sull’infinito e a non rinchiuderlo in templi, in pratiche, in superstizioni, sono beati quelli che «hanno fame e sete di Dio»!
È chiaro inoltre che la sete di Gesù è la terribile sete fisica che provava un crocifisso, ma è una sete che dice il desiderio di compiere fino all’ultimo la volontà del Padre: donare quell’acqua viva che è il suo Spirito, il suo respiro, la sua stessa vita che non muore, che gli uomini abbiano la vita, che l’umanità viva del suo amore. E questo tutti, ma proprio tutti anche i samaritani e le samaritane del mondo, le donne e i popoli che hanno sete di vita, di giustizia, di pace, di rispetto. Questa è la sete di Gesù, il suo Vangelo.
È su questo che giurano certi politici? A parte la questione che potevamo immaginare acquisita della laicità dello Stato e invece così non sembra, servirsi del Vangelo per biechi fini elettorali non solo è una messinscena, ma soprattutto è una bestemmia perché uno giura di fare esattamente il contrario di quello che dice il Vangelo. Il giorno prima difende la cosiddetta razza bianca, parla di razzismo e di xenofobia e poi giura sulle Beatitudini?
Il desiderio di Gesù è ben espresso nel famoso quadro di Munch il “Grido”, la cui origine egli stesso descrive così: «Camminavo lungo la strada con due amici quando il sole tramontò, il cielo si tinse all’improvviso di rosso sangue. Mi fermai, mi appoggiai stanco morto a una palizzata. Sul fiordo nero-azzurro e sulla città c’erano sangue e lingue di fuoco. I miei amici continuavano a camminare e io tremavo ancora di paura… E sentivo che un grande urlo infinito pervadeva la natura» (1895).
Il grido è l’esplosione del desiderio che lo abita, che ha dentro, eppure gli amici non l’hanno nemmeno sentito. Non hanno udito l’urlo, il grido, il desiderio del loro compagno di viaggio, così come noi non udiamo il grido delle Samaritane del mondo, di quelle donne e di quei popoli che gridano il loro desiderio di giustizia e di pace.
Non facciamo fatica a vedere nella figura di questa donna Samaritana che si reca ad attingere acqua al pozzo di Giacobbe in piena terra di scomunicati, il volto di tante donne, di tanti popoli – perché la donna è madre di popoli, popoli che hanno sete di legalità, di rispetto, di dignità…
Al punto che, volendo attualizzare il personaggio principale, dopo Gesù, del capitolo 4 di Giovanni dovremmo scrivere di una donna siriana, di una donna afgana, di una donna congolese, etiope, nigeriana… e dei loro popoli e del loro grido di sete di giustizia e di pace che rimbomba nel disinteresse generale del mondo, nell’indifferenza più tragica.
Quei popoli hanno sete davvero, mentre l’occidente si trastulla drogato di cose, di denari e di armi…
Noi siamo schiavi dei nostri bisogni, dei nostri istinti e non ascoltiamo più il desiderio vero che abita in noi e per questo non sappiamo riconoscere nemmeno il desiderio di chi cammina a fianco a noi e fa più fatica.
In una sua sintesi fulminante Roberto Benigni affermava: L’Iliade dice che la vita è una guerra, l’Odissea che la vita è un viaggio, la Divina Commedia dice che la vita è desiderio. La vita umana ha un surplus, si differenzia da quella animale perché diventa appello all’altro, invocazione dell’altro. Siamo un grido, un desiderio. La vita umana desidera il desiderio dell’altro. Infatti Dante conclude il suo percorso all’Inferno con Virgilio dicendo: E quindi uscimmo a riveder le stelle[1]. Usciamo dal nostro inferno, come la Samaritana è uscita dal suo inferno senza pace attingendo al dono di Gesù. E impariamo ad ascoltare il desiderio di altre samaritane e di altri popoli di uscire dall’inferno in cui sono rinchiusi.
Le parole di Gesù, il suo grido: Ho sete campeggia in tutte le cappelline delle Missionarie della carità di Madre Teresa di Calcutta, perché quella sete, quel desiderio che ha percorso la vita del Cristo, il desiderio di donare se stesso, di donare lo Spirito, di donare il suo amore possa essere anche la nostra sete e il nostro desiderio.
[1] Divina Commedia, Inferno, canto XXXIV, 139.