III DOPO IL MARTIRIO DI S. GIOVANNI IL PRECURSORE - Lc 9, 18-22
(Lc 9, 18-22)
Ad una prima lettura di queste righe di vangelo ci viene facilmente da pensare che Gesù stia attraversando un momento di fragilità, di debolezza: perché altrimenti preoccuparsi del giudizio che le folle danno su di lui? E poi la stessa domanda rivolta ai discepoli: non sembra esprimere il bisogno di una conferma di quello che va facendo, di ciò che egli è?
Sembra dunque che queste due domande lascino trapelare un certo disagio in Gesù. Evidentemente è un momento difficile quello che sta vivendo, le critiche diventano sempre più acute, quelli che contano non perdono occasione per screditarlo.
E lui cosa fa? passa le sue giornate prendendosi cura di malati, gente indemoniata, guarisce persino il servo di un centurione; non si fa mancare nemmeno i lebbrosi e le prostitute… Non disdegna lo stare a tavola con peccatori e pubblicani; anziché digiunare sembra preferisca mangiare e bere. Addirittura permette ad alcune donne di seguirlo … insegna ad amare i nemici e poi … ha chiesto ai suoi di andare a fare le stesse cose che egli fa, senza l’ansia da prestazione e del risultato, con la libertà di scuotere la polvere dai sandali …
Ma di tutto questo la gente cosa ha compreso? E soprattutto voi che mi siete vicini – sembra domandare Gesù – voi, cosa avete capito? chi dite che io sia?
Non credo che a nessuno di noi sia mai venuto in mente di fare un sondaggio e di porre una domanda così esplicita ai nostri amici! È anche vero che nei momenti critici magari ci arrovelliamo, ci domandiamo, ma solo con noi stessi, nell’intimo del nostro cuore e del nostro pensiero: chissà cosa penseranno di me, chissà quale considerazione avranno di me? Avranno capito?
Ma la preoccupazione di Luca, il suo intento nel riportare le due domande di Gesù non è quello, come potrebbe risuonare per noi, della ricerca di una conferma o di una rassicurazione e tantomeno una sorta di strategia pedagogica … osserviamo cosa annota all’inizio: Gesù si trovava in un luogo solitario a pregare. È lì che il Signore trova la conferma alla sua identità e missione, è nel rapporto col Padre che ritrova se stesso, non ha bisogno che altri glielo dicano!
Ed è proprio questa dimensione che costituisce la causa delle domande di Gesù: se lui ha questo rapporto con Dio, con l’Eterno, che è pienezza di vita, è shalom – per dirla con gli ebrei -, è perfezione – per dirla con i greci -, come è possibile che non sia capito, che coloro che devono governare la religione gli siano contrari? Come è possibile che faccia esperienza di sofferenza, di ingiustizia, e addirittura di morte?
La risposta di Pietro mette insieme esattamente queste due dimensioni. Pietro dice: Gesù tu sei il Cristo di Dio. “Nel nostro comune modo di pregare e di parlare – scriveva don Luigi Serenthà – noi siamo abituati a unire alla parola Gesù la parola Cristo. Ma ci rendiamo conto di quale spericolata operazione noi diventiamo responsabili? ”.
Gesù è il nome di un uomo che appartiene a un pezzetto della nostra storia, è il nome di un brandello di esistenza umana collocata in uno sperduto angolo del mondo e interrotta da una morte prematura.
Cristo invece significa il consacrato di Dio per una salvezza universale, il Messia che adempie le promesse divine per tutta la storia umana.
Come può Gesù essere insieme un pezzo e il tutto della storia?
Ecco la grande questione che ancora ci riguarda e alla quale non finiremo mai di cercare di rispondere. Pensate che, secondo un calcolo per difetto, nel Novecento sono stati pubblicati centomila libri su Gesù, con una media quindi di un migliaio ogni anno.
Se in internet clicchiamo sul nostro motore di ricerca: Jesus o Christ ci troveremo di fronte a milioni di occorrenze. Questo per dire come la questione “Gesù Cristo” da duemila anni a questa parte non conosce sosta e continua a sollecitare interesse, dibattiti, ricerche.
Ma per quanti libri possano venire pubblicati (e che sembrano poter rispondere alla prima domanda del Signore: «Le folle chi dicono che io sia?»), nessuno di noi, credente da tempo, può esimersi dal rispondere alla seconda domanda: «Ma voi, chi dite che io sia?».
Non ci viene chiesto di rispondere quello che dicono i concili che hanno formulato di dogmi cristologici, come facciamo con le parole del Simbolo (Credo), nemmeno quello che spiegano i teologi o quanti fanno ricerche su Gesù. Ci viene chiesta una risposta personale.
Anch’io mi sento interpellato in prima persona: chi sei Gesù per me? E anche se non è questo il momento per una comunicazione personale di fede e di amore per il Signore, la domanda di Gesù, mi sembra già di per se stessa in grado di mettere in ordine alcune cose.
La domanda come prima cosa mette Gesù al centro del cristianesimo.
Il Signore non si preoccupa di quanta gente va al Tempio, se c’è un calo di frequenza, se la religione viene rispettata, se l’imperatore emana leggi adeguate … Vi sembrerà ovvio, ma cosa abbiamo di meglio nella Chiesa, cos’è il meglio che possiamo offrire al mondo di oggi, se non Gesù Cristo?
«Nulla può essere più importante nel cristianesimo attuale che tornare a Gesù. Siamo distratti da molte cose, squalificandoci e condannandoci gli uni gli altri all’interno della stessa Chiesa, senza ascoltare Gesù. Non ci rendiamo conto del fatto che la cosa migliore che abbiamo nella Chiesa è Gesù: le religioni sono in crisi, ma Gesù no: interessa più che mai, mentre noi qui ci lasciamo distrarre da molte cose» (J. A. Pagola).
Tutti corriamo un certo rischio di trasformarlo esclusivamente in un “oggetto di culto”: una sorta di venerabile icona, dal volto maestoso, ma da cui sono stati cancellati i tratti di quel profeta di fuoco che percorse le strade di Galilea negli anni trenta del primo secolo. Non le ha percorse né come uno scriba, né come un maestro della Legge, e neppure come un sacerdote: al centro della parola di Gesù, al di là di una dottrina, c’è il regno di Dio, nel quale egli si presenta come Figlio di Dio.
La sua passione era di accendere nel cuore di chi lo ascoltava la fiducia e la speranza che il regno di Dio era vicino, e che il regno di Dio non è quello di Tiberio! Per Gesù, solo il Regno è assoluto e rende relativa ogni altra cosa .
La risposta di Pietro allora nasce non come affermazione astratta, accademica: lui ha visto, era vicino a Gesù quando ha provato compassione per la gente che lo seguiva da giorni e ha moltiplicato per loro i pani e i pesci; o ancora quando ha risuscitato il figlio della vedova di Nain; o quella volta che Gesù si era addormentato sulla barca e rischiavano di affondare … e potremmo continuare.
Quello di Dio è davvero un regno alternativo, diverso da quello di Tiberio o di Erode … in Gesù si rende visibile il pensiero del Padre. Come agisce il Cristo, così sente, ama e vive Dio. In questo modo il suo regno prende concretezza per l’uomo e la donna di ogni tempo. Ci rendiamo conto allora che ciò che interessa Dio allora non è la religione in quanto tale, ma un mondo più umano e amabile. Quello che l’Eterno desidera è una vita più degna, giusta, sana e felice per tutti: cominciando dagli ultimi. Gesù lo dice in molti modi: una religione che va contro la vita o è falsa o è stata intesa in maniera erronea.
Al punto che quando insegna ai suoi come pregare, dice loro di chiedere al Padre che venga il tuo regno! Non chiediamo di andare in cielo, ma che già sulla terra si instauri il modo di vivere e di amare di Dio.
E se vogliamo che venga il regno di Dio, dobbiamo guardare la vita con gli occhi di Gesù, bisogna guardarla nella prospettiva del cuore del Padre e così abbandonare la logica degli altri regni, la logica della violenza, del denaro, della corruzione, del vizio, della prepotenza.
Perché quello che di più importante abbiamo è Gesù il Cristo.