XXI DEL TEMPO ORDINARIO - Mt 16, 13-20
(Mt 16, 13-20)
Secondo un calcolo per difetto nel Novecento sono stati pubblicati centomila libri su Gesù, con una media quindi di un migliaio ogni anno. Se in internet clicchiamo sul nostro motore di ricerca: Jesus o Christ ci troveremo di fronte a milioni di occorrenze. Questo per dire come la questione “Gesù” da duemila anni a questa parte non conosce sosta e continua a sollecitare interesse, dibattiti, ricerche.
Ma per quanti libri possano venire pubblicati (e che sembrano poter rispondere alla prima domanda del Signore: «La gente chi dice che sia il Figlio dell’uomo?»), nessuno di noi, credente da tempo, può esimersi dal rispondere alla seconda domanda: «Ma voi, chi dite che io sia?».
Lasciamo che ognuno di noi si senta coinvolto, interpellato da questa domanda di Gesù. Non ci viene chiesto di rispondere quello che dicono i concili che hanno formulato di dogmi cristologici, nemmeno quello che spiegano i teologi o quanti fanno ricerche su Gesù. Ci viene chiesta una risposta personale.
Anch’io mi sento interpellato in prima persona: chi sei Gesù per me?
E anche se non è questo il momento per una comunicazione personale, di fede e di amore per il Signore, la domanda di Gesù, mi sembra già di per se stessa in grado di mettere in ordine alcune cose.
La domanda come prima cosa mette Gesù al centro del cristianesimo. Non si preoccupa per così dire di quanta gente va al Tempio, se c’è un calo di frequenza, se la religione viene rispettata, se … Vi sembrerà ovvio, ma cosa ci può essere di più urgente e necessario per noi cristiani che destare in noi stessi la passione per la fedeltà a Gesù? È ciò che di meglio abbiamo nella Chiesa, il meglio che possiamo offrire al mondo di oggi!
«Nulla può essere più importante nel cristianesimo attuale che tornare a Gesù. Siamo distratti da molte cose, squalificandoci e condannandoci gli uni gli altri all’interno della stessa Chiesa, senza ascoltare Gesù. Non ci rendiamo conto del fatto che la cosa migliore che abbiamo nella Chiesa è Gesù: le religioni sono in crisi, ma Gesù no: interessa più che mai, mentre noi qui ci lasciamo distrarre da molte cose» (J. A. Pagola).
Mi diventa difficile nutrire la mia fede soltanto di dottrina; non credo che oggi noi cristiani possiamo vivere motivati soltanto da un insieme di verità intorno a Cristo; abbiamo bisogno del contatto vivo con la sua Parola, la sua Persona. Tutti corriamo un certo rischio di trasformare Gesù esclusivamente in un “oggetto di culto”: una sorta di venerabile icona, dal volto maestoso, ma da cui sono stati cancellati i tratti di quel profeta di fuoco che percorse le strade di Galilea negli anni trenta del primo secolo.
Non le ha percorse né come uno scriba, né come un maestro della Legge, e neppure come un sacerdote: al centro della parola di Gesù, al di là di una dottrina, c’è il regno di Dio, nel quale egli si presenta come Figlio di Dio. La sua passione era di accendere nel cuore di chi lo ascoltava la fiducia e la speranza che il regno di Dio, non quello di Tiberio, era vicino. Per Gesù, solo il Regno è assoluto e rende relativa ogni altra cosa . Il suo essere Figlio di Dio non è semplicemente una categoria astratta: il figlio rivela cosa è caro al cuore di Dio. Eccolo allora che annuncia un Dio amante della vita e amico degli uomini.
Infatti, se consideriamo le parole di Pietro, immagino che egli prima di rispondere avrà ripercorso dentro di sé i momenti e le emozioni in un cui ha visto il volto di Dio nel modo di fare e di essere di Gesù. Ha ripensato a Gesù che prova compassione per la gente che lo segue e che moltiplica per loro i cinque pani e i due pesci, o ancora quando riconobbe la grande fede della donna Cananea, quando ha preso per mano lo stesso Pietro mentre moriva dalla paura di annegare … e potremmo continuare. Quello di Dio è davvero un regno alternativo, diverso da quello di Tiberio o di Erode … in Gesù si rende visibile il pensiero del Padre.
Come agisce il Cristo, così sente, ama e vive Dio. In questo modo il suo regno prende concretezza per l’uomo e la donna di ogni tempo. Ci rendiamo conto allora che ciò che interessa Dio allora non è la religione in quanto tale, ma un mondo più umano e amabile. Quello che l’Eterno desidera è una vita più degna, giusta, sana e felice per tutti: cominciando dagli ultimi. Gesù lo dice in molti modi: una religione che va contro la vita o è falsa o è stata intesa in maniera erronea. Al punto che quando insegna ai suoi come pregare, dice loro di chiedere al Padre che venga il tuo regno! Non chiediamo di andare in cielo, ma che già sulla terra si instauri il modo di vivere e di amare di Dio.
E se vogliamo che venga il regno di Dio, dobbiamo guardare la vita con gli occhi di Gesù, bisogna guardarla nella prospettiva del cuore del Padre e così abbandonare la logica degli altri regni, la logica della violenza, del denaro, della corruzione, del vizio, della prepotenza.
Quando Pietro fa sua la passione di Gesù per il regno di Dio, così come lui lo ha annunciato e vissuto, allora viene costituito come pietra angolare della comunità dei discepoli. Che è come dire: da lì non ci si deve muovere!
La pietra angolare ci conferma che la missione del Messia, così solennemente riconosciuta da Pietro, è quella della misericordia, dell’accoglienza. La prima missione dei discepoli non è fare teologia, né celebrare un culto: tutto ha la sua ragion d’essere, ma la prima cosa è curare la vita.
E la chiesa di Pietro sarà una comunità che non si muove da lì, da quell’annuncio del regno così come lo ha vissuto Gesù. Per cui sarà una chiesa amica di peccatori, una chiesa che cerca i perduti, una chiesa che vive di compassione e di amore per gli ultimi; una chiesa che accoglie, ascolta e sostiene coloro che soffrono. Una chiesa dal cuore grande in cui ogni mattina cominciamo a lavorare per il regno e che sa che il suo Signore fa sorgere il sole sui buoni e sui malvagi.
In una Chiesa così, incontro Gesù come da nessun’altra parte. In una comunità cristiana che vive il Vangelo del regno accolgo quello Spirito di vita che ci rende capaci di perseverare e di rimettere sempre al centro, non noi, non le nostre opere, ma quello che di più importante abbiamo: Gesù.