X DOPO PENTECOSTE - Mt 21, 12-16

Succede anche a noi talvolta di avere l’impulso a dare una svolta alla situazione con un atto di forza, con una reazione che gli altri non si aspettano. Soprattutto di questi tempi verrebbe voglia, alla stregua del gesto di Gesù, di dare qualche segnale forte, di agire, di ribaltare le cose, di prendersela con qualcuno.
Che succede al nostro mondo, mentre scopriamo che su Marte c’è dell’acqua? Succede che perdiamo di vista la nostra acqua, la nostra consistenza, la nostra umanità. Possiamo mettere tutti i crocifissi del mondo e ad ogni angolo dei muri… ma Gesù non esiterebbe un istante a ripetere il gesto compiuto quel giorno nel tempio di Gerusalemme e a ribaltare i tavoli ipocriti e i falsi microfoni che imperversano.
Attaccatevi al tempio, attaccatevi agli amuleti, attaccatevi ai simboli religiosi… ma non saranno queste cose a salvarci, a cambiare lo stato delle cose, a ridarci umanità, spiritualità, a restituirci fiducia e speranza di futuro.
Persiste nell’animo umano questo indomabile istinto a darsi dei feticci -perdonate la parola- ma a questo viene ridotto il tempio, il santuario, il crocifisso: oggetti volti a rassicurare le nostre paure, le nostre insicurezze, ma guardate un po’… sempre contro qualcuno.
Ipocriti! Dice Gesù, troppo facile, troppo semplice andare al tempio, entra invece nel tempio della tua coscienza, del tuo cuore, della tua anima. E questo è il cammino che devi fare: verso te stesso! Fai la strada quella più difficile: entra nei meandri della tua coscienza, della tua anima, del tuo vissuto. Ascolta il sommovimento che ti abita, dai un nome ai sentimenti, alle paure, ai giudizi. Riconosci il mostro che è in te e che ti fa paura, perché solo così non diventerai un mostro che si mette a sparare a una bambina! Siamo così crudeli da far paura a noi stessi! Crudele dice il dizionario è colui che non ha compassione, inumano, spietato, feroce, che dà sofferenza. Deriva dal termine crudo, legato al latino cruor, cioè sangue.
Succede così che coloro che hanno a cuore il tempio finiscono per mettere in croce Gesù. Coloro che volevano difendere le tradizioni e le consuetudini diventano crudeli al punto di uccidere un uomo piuttosto che cambiare le proprie idee.
Guardate che costoro sono gli stessi che di fronte alla scelta Barabba o Gesù, hanno preferito il delinquente all’amore. Il cosiddetto popolo è stato facilmente sospinto a decidere quello che altri avevano già decretato dovesse accadere.
Allora se non vogliamo ripetere e se non vogliamo ricadere nelle stesse scelte sciagurate accogliamo la sottile sovversione proposta da Gesù, che non chiede di moltiplicare le devozioni, le processioni, le liturgie: il tempio ne era già pieno. Quello che mancava allora e che continua a mancare oggi sono due cose molto semplici, ma niente affatto facili: la prima è la preghiera, il dialogo intenso intimo e profondo con Dio. Non si tratta di dire tante preghiere, tante parole, ma di entrare in questa relazione con l’Eterno senza paura, senza timore e con la fiducia dei bambini, loro sì che sanno ringraziare, sanno lodare, perché i bambini e solo loro conoscono l’abbandono fiducioso.
Poi c’è una seconda cosa. Avete notato il contrasto tra i gesti di Gesù: prima si arrabbia e scaccia i mercanti e rovescia i tavoli… poi però si lascia avvicinare da ciechi e storpi e li guarisce, e siamo sempre nel tempio!
Nella sua vita, breve vita, Gesù ha sempre tenuto insieme queste due dimensioni: la relazione col Padre, con Dio e la cura del debole, dei poveri.
Con questo gesto Gesù smaschera l’ipocrisia per dire che la relazione con Dio non è affatto garantita dalla frequentazione del tempio, anzi molte volte diventa l’alibi per sentirsi migliori degli altri. Dio può fare a meno dei tuoi sacrifici di colombe e delle tue offerte, ma non può proprio fare a meno dell’amore e della cura per chi fa più fatica, per chi rimane indietro e non ce la fa a stare al passo. Ciechi e storpi erano i primi della lista di coloro che non potevano accedere al sacerdozio del tempio. Gesù attesta così che la prova di autenticità della religione, della fede sta nell’amore per chi è ai margini, per chi è scartato. Questa è la sovversione di Cristo che fa dire a Ireneo di Lione: La gloria di Dio è l’uomo vivente.
Possiamo costruire templi, chiese, edifici di culto strepitosi e bellissimi… ma nulla può eguagliare la bellezza della vita di una persona, di un essere umano anche il più sfigurato. Nulla conta di più davanti a Dio e agli uomini del valore di una vita umana, perché come dice Paolo Noi siamo il tempio del Dio vivente(v.16).
Ma così ci troviamo di fronte a un dilemma: perché se è vero che ogni persona è immagine del Dio vivente e finché parliamo dei poveri, dei malati, di coloro nei quali Gesù stesso si è identificato, ci pare facile in teoria, anche se poi è difficile mettere in pratica l’amore necessario, l’attenzione richiesta, la cura che Gesù ci chiede per loro.
Ora, l’immagine di Dio è anche in coloro che compiono i gesti più terribili? Nei carnefici del Congo, nei militari e paramilitari del Nicaragua che sparano, ammazzano e torturano? Che immagine di Dio possiamo leggere e riusciamo a vedere in questi volti deturpati dall’odio, dalla violenza? Dovremmo chiederci anche quale volto umano di Dio troviamo o possiamo anche solo intravvedere nei commercianti di armi, in coloro che senza assurgere alle cronache e senza mai apparire si arricchiscono vendendo strumenti di guerra, sapendo che il loro utilizzo è solo per uccidere, ferire, mutilare altre vite umane? Come nei trafficanti di droga, nei pedofili…
Ora in queste situazioni non è possibile vedere se non il contrario di Dio, la sua negazione. Questo ci continua a dire Gesù e lo continua a dire a chi vuole usare il crocifisso: puoi mettere tutti i crocifissi del mondo (al di là di qualsiasi discussione sulla laicità dello Stato), ma con questo ti condanni da solo perché rendi la croce l’esatto contrario del suo significato: «Usare il Crocifisso come un Big Jim qualunque è blasfemo», ha twittato padre Antonio Spadaro, direttore della “Civiltà cattolica”, «la croce è segno di protesta contro peccato, violenza, ingiustizia e morte, non è mai un segno identitario. Grida l’amore al nemico e l’accoglienza incondizionata. È l’abbraccio di Dio senza difese».
Big Jim, la bambola maschile tutta muscoli e snodabile, adattabile a qualsiasi posizione e circostanza, è immagine cruda quanto drammatica di un Cristo che oggi in croce ci torna tutti i giorni, brandito come arma e usato come alibi per respingere il prossimo. Gesù è morto per amore, ha donato la sua vita per tutti e oltretutto era migrante e profugo poiché, per scampare a Erode, la famiglia riparò in Egitto, che per fortuna non praticava respingimenti, altrimenti Salvini non avrebbe un Vangelo su cui giurare.
Insomma, questi vangeli, questi rosari, questi crocifissi riemersi dal sacro Po, paiono nuovi di pacca e scartati giusto per impugnarli contro qualcuno, il che non è molto religioso sebbene sia accaduto che le religioni lo abbiano fatto. Ma quello che Gesù dice con quel gesto nel tempio è che Dio è sempre dalla parte delle vittime.
Due cose portiamo a casa dalla parola di Dio di questo oggi: anzitutto tenere viva un’autentica relazione col Padre, nella preghiera, nell’ascolto della Parola, darci dei tempi distesi di silenzio per rientrare in noi stessi, perché come diceva, con una certa ironia, la prima lettura e ci pare un paradosso “i sacerdoti non potevano rimanere nel tempio a causa della nube perché la gloria di Dio riempiva il tempio”! Ironia disarmante: entra l’Eterno, se ne escono i sacerdoti. Qui c’è un monito anche per noi, perché il mistero di Dio non è proprietà intellettuale di nessuno e tantomeno degli addetti ai lavori, è un mistero sempre da cercare.
Gesù stesso entra nel tempio non come sacerdote, ma come profeta che scuote e disturba noi credenti per dirci che se vuoi farti paladino di Dio, ecco dunque la seconda cosa, impara ad avere un cuore secondo la sua volontà, un pensiero secondo il suo modo di agire, una vita che agisca come agirebbe Dio, che è appunto prendersi cura di chi è debole, fragile. Amare il povero, l’uomo e la donna, il bambino… perché la gloria di Dio è l’uomo vivente!
(1Re 7,51-8,14; Mt 21, 12-16)