PENTECOSTE - Gv 14, 15-20


(At 2, 1-11; 1Cor 12, 1-11; Gv 14, 15-20)

Del tuo Spirito, Signore, è piena la terra. Così abbiamo pregato con il salmo in questa festa di Pentecoste nella quale la liturgia non solo ci riporta a Gerusalemme quasi ad essere contemporanei della primitiva comunità cristiana che ha vissuto un’esperienza straordinaria, ma ci invita ad accogliere il dono dello Spirito di cui è pervasa la terra ancora oggi.

Ma davvero la terra è piena dello Spirito santo? Ne siamo convinti?

Siamo in grado di vederne qualche traccia nella nostra vita quotidiana? e non già solo nella Chiesa – dove dovrebbe essere di casa – ma sulla terra intera?

E come possiamo riconoscere i segni e le tracce dello Spirito santo?

Il libro degli Atti racconta che lo Spirito di Dio irrompe nella casa dove sono riuniti i discepoli (sono 120 e non solo i 12!), e sono riuniti a celebrare la festa ebraica della Pentecoste nel ricordo del Sinai e del dono della Torah a Mosé.

Quasi rievocando quella teofania, Luca che per forza di cose deve ricorrere a un linguaggio umano per raccontare l’indicibile, scrive in poche parole: Dal cielo, viene un fragore quasi un vento, e poi lingue come di fuoco… e tutti furono colmati di Spirito santo.

Anzitutto dal cielo, che è come dire che arriva un dono, una grazia, qualcosa che viene dall’alto perché i discepoli in quelle ore erano capaci solo di produrre paura e angoscia.

Questo dono poi è un fragore quasi un vento, qualcosa che c’è e ne avverti la presenza, ma non è controllabile, e l’effetto è quello di un vento che squassa la casa e sospinge fuori i discepoli che vi stavano rinchiusi per paura.

Ancora è un dono simile a lingue come di fuoco. Questo dono dall’alto è un fuoco che parla, nel senso che non conosce limiti di lingua e di frontiere: appunto riempie la terra, è per tutti i popoli di ogni longitudine e latitudine.

Ma sono queste le tracce dello Spirito che possiamo vedere nella nostra vita oggi?

Anzitutto il dono dello Spirito viene dall’alto, è un dono di Dio gratuito proprio come il vento! Sì, perché la storia non è fatta solo da noi, dal nostro impegno, dal nostro lavoro, dalle nostre attività. La Pentecoste ci ricorda che l’umanità vive e cammina anche grazie al dono di Dio che percorre la terra e pervade la storia e questo dono è appunto come al Sinai una Parola tonante, oppure anche una voce di silenzio sottile come dirà Elia… ma che cos’è la Parola, anche quella di Dio, se non un soffio fragile?

Eppure Dio non si stanca di effondere sulla terra il suo Spirito, il suo soffio, la sua Parola.

E come già duemila anni fa la prima comunità dei discepoli di Cristo si trovò nella condizione di poter morire soffocata, proprio per la mancanza di un respiro che la liberasse dalle paure che la tenevano rinchiusa nel Cenacolo, così avvertiamo la sensazione condivisa di questi tempi nella Chiesa di un senso di oppressione, quasi manchi il respiro, di una chiesa che nasconde l’affanno che la attraversa dietro tante ed enfatiche affermazioni auto celebrative.

Eppure il vento dello Spirito soffia ancora e mette nel cuore di tanti il sogno di una chiesa estroversa e non solo preoccupata del proprio funzionamento, di una chiesa attenta al cammino arduo e difficile di molti cuori inquieti, delle sofferenze quasi insopportabili di tanta parte dell’umanità. Il sogno di una chiesa che già il Concilio Vaticano II ha descritto come una chiesa meno verbosa, con meno documenti e più sottomessa alla Parola di Dio.

Non solo, ma lo Spirito viene ancora in quella forma un po’ particolare che sono le lingue come di fuoco di cui ci parlava Luca, quel fuoco che già parlava ai tempi di Mosè nel roveto ardente, che è un fuoco che ha ancora qualcosa da dire, che oggi invochiamo per noi tutti, il dono dello Spirito come fuoco che purifica e che crea comunione.

Sì, è sotto gli occhi di tutti noi, specie in questi giorni, la necessità del fuoco dello Spirito che purifica, quello Spirito di verità, annunciato da Gesù, spirito di una verità che non abita soltanto i dogmi della fede, ma che pervade tutta la storia degli uomini e soprattutto quella in cui agiscono credenti e pastori.

Spirito di verità che ci restituisce all’essenziale e che purificandola rende il cammino della Chiesa più libero e spedito, la rende una Chiesa leggera, semplice e povera e proprio perché più povera è libera e capace di dialogare con tutti dal Nord al Sud, da Est a Ovest, proprio come i popoli che vengono descritti negli Atti.

Ma abbiamo bisogno anche del fuoco dello Spirito che crea comunione e unità. E qui ci dobbiamo aiutare a ricordare gli uni gli altri le parole che Paolo scrive ai cristiani di una città come Corinto dove i carismi erano molteplici e addirittura esuberanti: A ciascuno è data una manifestazione dello Spirito per il bene comune. In quella lettera Paolo è costretto a richiamare la comunità di Corinto perché tutti quei doni non creavano comunione, ma divisione. Ciascuno minacciava di essere orgoglioso del suo dono o del suo potere e dimenticando il donatore, l’unico Signore, Gesù Cristo.

È relativamente facile vedere quanto questo pericolo sia ricorrente nella Chiesa, che cioè ciascun carisma – per esempio, ciascuno ordine religioso, ciascun gruppo o movimento spirituale, ciascuna parrocchia – rivendichi con orgoglio i propri doni credendo che la salvezza derivi da quel cammino o da quel gruppo e non invece, come sempre, dalla grazia di Dio. I molti doni cessano allora d’essere doni dello Spirito e diventano mere tradizioni umane con tutta la zavorra delle meschinità e delle debolezze del mondo.

Disponiamoci ad accogliere il dono dello Spirito che riempie la terra, perché ci porti quella parola che come un vento impetuoso spazzi via le nostre paure e le nostre mediocrità.

Invochiamo lo Spirito di verità che come fuoco scaldi i nostri cuori della passione per il Vangelo e per un’umanità più giusta e più unita, in una parola, più umana.