XVIII DEL TEMPO ORDINARIO - Mt 14, 12-21
(Is 55, 1-3; Mt 14, 12-21)
Credo che se dovessimo essere noi a riscrivere la pagina della “moltiplicazione dei pani e dei pesci”, non esiteremmo ad usare espressioni in grado di attirare l’attenzione, di mettere in evidenza la straordinaria entità del miracolo. Matteo invece ricorre semplicemente a quattro verbi per descrivere un’azione che passerà alla storia: Gesù prese i pani, disse la benedizione, li spezzò e li diede. Tutto qui: in quattro verbi è raccontato il mistero di cinque pani che diventano cibo per cinquemila uomini (senza contare donne e bambini).
Quattro verbi che ritroviamo nell’ultima cena e che noi riviviamo nella celebrazione ogni domenica: prendiamo il pane, diciamo la benedizione, lo spezziamo e lo doniamo. Celebriamo cioè l’Eucaristia. Quando Luca descrive la comunità cristiana che si riunisce di domenica utilizza però un altro termine, non dice celebravano l’eucaristia, piuttosto scrive che i discepoli erano perseveranti nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione, nella frazione del pane e nelle preghiere (At 2,42). Non dice: “erano a Messa”, o come scrive Paolo: alla Cena del Signore, ma erano riuniti nella frazione del pane.
Non è solo una questione di termini: le parole hanno una loro forza, le parole fanno le cose.
Se nel tempo la frazione del pane è diventata la messa, qualcosa è successo non solo a livello linguistico, ma nella sostanza e nella prassi cristiana. Tra i cinque pani e i due pesci per i cinquemila che quel giorno erano sulle rive del lago di Tiberiade e l’ultima cena per i dodici c’è una continuità segnata appunto dal gesto della frazione del pane, non a caso i discepoli di Emmaus riconobbero Gesù nel momento allo spezzare del pane.
Un gesto capace di esprimere la passione di tutta una vita, una vita appunto spezzata per la condivisione di tutti. Un gesto che è passato a identificare la persona stessa del Signore.
Quando torneremo a chiamare le cose con il loro nome?
Forse quando non ci accontenteremo di celebrare l’eucaristia di Gesù con la precisione del rito, ma con una forma dell’esistenza sempre più vicina alla frazione del pane. Nutrendoci di questo pane spezzato, dovremmo essere riconosciuti anche noi per coloro che sanno condividere, sanno donare, sanno amare.
Le immagini della carestia che giungono dal Corno d’Africa ci provocano ad una rilettura, drammaticamente fedele, del passo evangelico di oggi. Oltre dieci milioni di persone stanno combattendo contro lo spettro della fame e della sete. E se per un verso è importante partecipare alla solidarietà internazionale, per un altro è doveroso considerare che non siamo di fronte all’ennesima e imprevedibile “catastrofe naturale” o a un’inevitabile “realtà delle cose”.
Dobbiamo assumere la consapevolezza che possa essere il frutto della responsabilità degli uomini e il risultato delle logiche che continuano a governare il mondo. Ci sono fili sottili, ma non invisibili per chi li vuol vedere, che legano la crisi ambientale prodotta dal nord del mondo con la povertà estrema nel sud; la finanza globale con la crescita delle disuguaglianze sociali e la distruzione delle risorse naturali; il complesso militare-industriale con la crisi dei debiti sovrani; le guerre, il terrorismo, l’incremento delle spese militari con i bambini che muoiono di fame .
Certo la politica, in Italia e dovunque, nasconde questi fili per ignoranza o per interesse, ma per l’umanità e per la “madre terra” il risultato non cambia. Infatti, scriveva un quotidiano in questi giorni: «Ancora una volta la tragedia africana dimostra che l’avvento del mercato privo di una morale che lo regoli crea distruzione e morte nelle aree in via di sviluppo, privando le loro popolazioni delle storiche difese da esse create per far fronte alle catastrofi e impedisce la crescita economica, a svantaggio di tutti».
E noi siamo qui a compiere il gesto profetico e storico della frazione del pane, col cuore in subbuglio e col pensiero inquieto.
Arriverà mai il giorno in cui, come diceva la prima lettura, potremo sederci sulle rive del ruscello di Isaia, dopo aver accolto il suo invito modellato su quello degli acquaioli e dei venditori ambulanti nelle piazze d’Oriente: «Venite comprate senza denaro, senza pagare, vino e latte»? Quando l’umanità potrà sedersi pacificata e saziata sotto il cielo di Dio «senza denaro e senza spesa»? Il profeta Isaia sogna un futuro per l’umanità avulso da ogni logica di mercato, dove l’essere umano non è semplicemente un consumatore.
Il nostro destino sarà scritto non per noi, sembra dire Isaia, ma da noi, da tutti coloro che non vogliono accontentarsi del mondo com’è, ma che hanno il coraggio di rifare il mondo come dovrebbe essere, fondando le relazioni e i rapporti sulla base della gratuità, del dono e della condivisione. Il miracolo di cui ha bisogno il mondo è la condivisione.
Anche gli apostoli hanno dovuto imparare ad entrare in questa logica diversa. Inizialmente affrontano il problema con piglio organizzativo: Congeda la folla perché vada a comprarsi da mangiare … Ebbene a questa obiezione, a questa mentalità succube della logica dello mercato, il Signore risponde sostituendo al verbo «comprare» il verbo «donare»: Voi stessi date loro da mangiare!
Dicendo così, lui che ha moltiplicato il pane per i cinquemila, dice di aver bisogno ancora oggi di discepoli capaci di cambiare i verbi con cui si coniuga la quotidianità, di discepoli che credono nel miracolo della condivisione per continuare a sperare in una società in cui tutti gli uomini possano sedere sulle rive del sogno di Isaia, quando cioè i beni della creazione ritorneranno ad essere quello che intimamente sono: un dono di Dio per tutti.
Allora verrà il momento in cui anche noi cristiani, torneremo a parlare non più della Messa, per dire che aspettiamo che finisca presto , ma della frazione del pane, perché anche la nostra vita diventi un continuo dono. La forza profetica della parola di Dio di oggi ci aiuti a restituire all’eucaristia che celebriamo l’energia che sbaraglia l’intimismo nel quale spesso la soffochiamo e che la disancora dalle sfide della vita.