XXVIII DEL TEMPO ORDINARIO - Lc 17, 11-19


(2 Re 5, 14-17; Lc 17, 11-19)

Quella dei dieci lebbrosi è una solidarietà che forse in alcuni momenti della vita abbiamo sperimentato: è la solidarietà che si stabilisce tra persone che partecipano alla medesima condizione di sofferenza, quella che si crea ad esempio in un reparto di ospedale, in una catastrofe naturale o che ci vede stringerci vicini nel momento del dolore.

Potremmo parlare addirittura di un ‘ecumenismo’ fondato sulla sofferenza: non è storia tanto lontana quanto avveniva nei lager nazisti, dove cattolici, protestanti, ebrei e atei erano profondamente solidali tra loro e dimentichi delle divisioni che in contesti diversi li avevano visti contrapposti.

Quando si è immersi nel dolore e nella sofferenza si stabilisce una fraternità umana vera, immediata che non ha bisogno di proclami e di regolamenti formali, nasce da qui il grido che abbiamo udito all’inizio del racconto evangelico quando i dieci lebbrosi dicono a una voce sola: Gesù maestro, abbi pietà di noi!

Ve li immaginate un gruppo di dieci lebbrosi tutti insieme: chi non avrebbe cambiato strada? La città li aveva isolati: perché la città si difende. I lebbrosi sono un pericolo gravissimo; la lebbra è un male terribile e contagioso: distrugge addirittura le sembianze umane, corrode il tessuto più resistente, altera la natura, rende un uomo un moncone, come un tronco senza rami.

Proviamo ad immaginare questa colonna di mostri in cammino: chi si trascina perché non ha piedi, chi agita braccia mozzate perché non ha mani … Una sola preghiera sale dalla triste marcia: Gesù maestro abbi pietà di noi!  Per quanto mostruosa, questa umanità di mendicanti e di vite scartate è un’umanità che cerca Gesù.

Come altre volte nel vangelo, lo sguardo di Gesù segna una svolta decisiva, è il punto di inizio di un nuovo cammino: appena li vide … Eppure non compie subito il miracolo, ciò che sorprende è come essi sono inviati ai sacerdoti ancor prima di essere guariti, mentre sappiamo che i sacerdoti avevano appunto il compito di riconoscere e di confermare l’avvenuta guarigione.

Così era avvenuto per Naaman il Siro, il quale si era inizialmente sdegnato sentendosi dire dal profeta Eliseo: va’ e bagnati sette volte nel Giordano. Come per il Siriano era stata una prova di fede andare al Giordano (C’erano fiumi ben più importanti come il Tigri e l’Eufrate!), così possiamo pensare anche per i dieci lebbrosi. Dicendo loro: andate a presentarvi ai sacerdoti, Gesù fa solo una promessa di risanamento, sarà poi la loro fiducia a rendere possibile la realizzazione di questa promessa.

Questo mi sembra il primo messaggio della parola di Dio: il miracolo avviene solo là dove si riscontra almeno un poco di fede. Non è il miracolo che costringe a credere, ma la guarigione è frutto della totale fiducia e obbedienza alla parola di Gesù.

Anche noi all’inizio della nostra liturgia abbiamo gridato al Signore Kyrie eleison! Signore abbi pietà, guarda la nostra condizione, ascolta il nostro bisogno di pace, di serenità, di salute.

Il racconto prende poi una piega inattesa e attira il nostro sguardo su quell’unico che Vedendosi guarito, tornò indietro. Immaginiamo gli altri nove: corrono dai sacerdoti per ottenere il certificato d’igiene, sono proiettati nel futuro, perchè in quel momento era per loro importante dimenticare il passato, l’emarginazione, le umiliazioni subite… I loro passi corrono svelti alle loro case, ai loro affetti, alle loro cose dalle quali erano stati separati a forza.

Gesù ci invita a contemplare i passi silenziosi di quell’unico che, solo, ritorna indietro a rendere lode a Dio: vedendosi guarito. Cosa mai ha visto che gli altri non hanno saputo vedere? Cosa ha visto più di loro? Ha saputo vedere in quello che era accaduto il dono di Dio. Quell’unico è stato capace di accorgersi nell’esperienza vissuta il segno dell’opera di Dio, sa vedere in quella carne rifiorita il segno di una salvezza che lo ha raggiunto in modo gratuito, del tutto immeritato.

Mi colpisce quel suo “tornare indietro”: spesso ci rendiamo conto solo dopo molto tempo di ciò che dobbiamo a persone che hanno abitato il nostro passato e hanno lasciato tracce importanti per noi. La memoria è una sorgente della fede.

Aver fede è ricordare gli eventi nei quali lo spirito di Dio è divenuto una realtà. Non a caso il popolo ebraico non ha conservato gli antichi monumenti: ha custodito gli antichi momenti. «Credere è ricordare» scriveva un teologo ebreo, «le ricchezze di un’anima sono accumulate nella sua memoria» (Heschel). Ormai anche nell’esperienza spirituale si corre il rischio di un continuo consumare parole, esperienze, emozioni … così come per tanti aspetti della nostra vita.

Il sottolineare da parte di Gesù l’importanza del tornare indietro è imbarazzante: non risulta forse una perdita di tempo di fronte al continuo correre e consumare delle cose?

Ma è appunto in questo tornare indietro che si riesce a vedere il dono di Dio e il cuore diventa capace di gratitudine, di riconoscenza, anzi letteralmente, di eucaristia!

Questo samaritano (solo a questo punto Luca ci rivela l’identità di quest’uomo) solo questo samaritano ha saputo vedere in quella guarigione la salvezza e per questa sua fede è stato capace di un atteggiamento eucaristico.

Constatando che uno su dieci è tornato a rendere gloria a Dio, Gesù, non fa l’offeso perché gli altri nove non si sono dimostrati riconoscenti, ma riconosce che l’uomo è autocentrato, vive nella tentazione di cercare sempre qualcosa per sé, così che quando l’ha ottenuto dimentica, se ne va proiettato in un futuro che sembra essere tutto nelle sue mani…

Uno su dieci si ricorda di ringraziare Dio, questa è la percentuale evangelica ed è la percentuale di sempre, è difficile ringraziare perché significa riconoscere che non tutto dipende da noi, noi che in fondo non vorremmo mai dipendere da nessuno.

Gli altri nove dove sono? La domanda continua ancora oggi, è la domanda di un Dio che non si stanca di aspettare figli che camminano verso di lui e che sappiano fare delle loro vite una incessante eucaristia nella consapevolezza di essere dei malati guariti per grazia, dei peccatori perdonati e salvati per pura misericordia.

Anche noi, lebbrosi di questa generazione che ha sostituito alla gratitudine l’arroganza di chi reclama solo diritti e mette la propria dignità nel poter tutto pagare e comperare, impariamo a fermarci per ringraziare il Signore e per saper dire grazie a chi ci sta vicino.