DOMENICA DELLA DEDICAZIONE DEL DUOMO DI MILANO, CHIESA MADRE DI TUTTI I FEDELI AMBROSIANI - Gv 10, 22-30
(Ap 21, 9-27; 1Cor 3, 9-17; Gv 10, 22-30)
Con la celebrazione di oggi nel ricordo della Dedicazione del nostro Duomo, vogliamo dare inizio come comunità all’anno della fede indetto da Benedetto XVI in occasione dei 50 anni dall’apertura del Concilio Vaticano II, inizio che coincide anche con l’avvio del mio servizio pastorale in mezzo a voi.
Tutte queste circostanze sono illuminate dalla parola di Dio che abbiamo ascoltato e che ci aiuta a vivere questi eventi non solo nel ricordo di un passato glorioso, come può essere la celebrazione della Dedicazione del nostro Duomo che attinge le sue origini già nel V secolo allorquando nella terza domenica di ottobre si passava dalla cattedrale estiva di s.Tecla (più ampia) a quella invernale di s.Maria Maggiore (più piccola), due edifici che non esistono più e che sorgevano sull’area tra l’attuale piazza del Duomo e la Galleria. Quando s. Carlo il 20 ottobre 1577 consacrò il Duomo così come lo conosciamo ora si era solo a metà dei lavori: iniziati intorno al 1386, si conclusero con la facciata solo nel 1814, più di quattrocento anni per quella che i milanesi opportunamente chiamano la «fabbrica del Duomo»!
La parola di Dio appunto ci aiutare ad andare dentro il simbolo del luogo per coglierne i significati più profondi per la nostra vita.
Giovanni nell’Apocalisse al cap. 21 infatti descrive la Chiesa come la sposa dell’Agnello, ma attraverso il linguaggio di un’architettura originale di Gerusalemme, la città santa, una Gerusalemme che scende dal cielo, nel senso che è un dono di Dio, non è solo opera dell’uomo. Una città dalle alte mura di difesa, ma anche con dodici porte: a oriente tre porte, a settentrione tre porte, a mezzogiorno tre porte, a occidente tre porte! Non una città chiusa su se stessa, ma una città aperta per dire una chiesa dinamica, aperta su tutti i fronti, capace di accogliere e di inviare…
E questa immagine delle porte mi ha fatto pensare alla lettera con cui Benedetto XVI ha indetto appunto l’anno della fede che porta il titolo: La porta della fede.
Quante volte in una giornata attraversiamo una porta. Attraversare la porta significa passare da una condizione a un’altra, significa passare dal pericolo alla sicurezza, dalla fatica al riposo, dall’estraneità alla familiarità… e viceversa, significa uscire per compiere un lavoro, una missione, una visita…
Gesù ci dice che la porta della fede è una porta stretta, così come stretta e angusta la vita che conduce alla vita (Mt 7, 13-14). Anzi in Giovanni afferma: «Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo» (Gv 10, 9).
La fede come una porta, credere in Cristo come varcare la soglia … sono immagini che ci restituiscono la consapevolezza della fede sia nel suo contenuto, il Cristo (fides quae) così come è cristallizzato nel Credo, sia nel suo atteggiamento (fides qua), che è il nostro affidarci, l’atto con cui si crede che è sempre in divenire, che non è mai dato una volta per tutte, che è dinamico come è dinamica la nostra esistenza.
Allora oggi vogliamo pregare insieme perché l’anno della fede possa essere l’occasione per la riconferma della nostra fede, uniti in quel «Credo» che viene da coloro che ci hanno consegnato il testimone per consegnarlo alle nuove generazioni.
Ma questo è anche il tempo in cui come gli apostoli gridiamo al Cristo: Signore accresci in noi la fede (Lc 17, 5), perché siamo consapevoli della nostra poca fede e talvolta sembra che il Signore ci metta alla porta! Nel senso che anche noi qualche volta ci troviamo fuori dalla porta, attraversiamo quelle che con una certa sofferenza, chiamiamo crisi di fede e che spesso non sono altro che un modo in cui il Signore ci lavora, ci purifica e ci plasma affinché non abbiamo mai a renderlo un idolo, un oggetto a nostro uso e consumo. Il Signore in un certo senso ci mette alla porta, non perché ci rifiuta o si è stancato di noi, ma perché ci rimette in discussione, ci rimette in cammino e impariamo a fidarci di lui.
La porta così intesa, anche nella sua dimensione di crisi e di dubbio diventa preziosa al punto che l’Apocalisse afferma «le dodici porte sono dodici perle» … E mi viene in mente un libro che è stato pubblicato in occasione dei 50 anni del Vaticano II, e che vi consiglio vivamente dal titolo appunto “Le perle del Concilio”, e che offre una selezione dei documenti attraverso una scelta di 365 perle conciliari, una per ogni giorno dell’anno, per aiutarci a coltivare una fede da non confondere o barattare con quella bigiotteria a buon mercato che ci viene proposta dai megastores dell’offerta religiosa, molto attiva anche nelle TV e in internet.
Credo che molti di noi non abbiano mai affrontato la lettura di un testo conciliare, perché sono testi difficili, non immediati … Potrebbe essere questo l’ impegno di lettura per l’anno della fede, d’altronde se vogliamo acquistare delle perle dobbiamo pagare un certo prezzo a differenza della chincaglieria propinata a buon mercato.
Scorrendo i vari Bollettini parrocchiali in quello pubblicato nel settembre 1962, che tra l’altro annunciava l’ingresso del nuovo prevosto, don Paolo Pagliughi, e siamo alla vigilia del Concilio, ho trovato questo invito: «Ogni fedele si preoccupi di portare il suo contributo personale per il buon esito del Concilio. Si terrà in parrocchia la Novena per il Concilio…». E già nell’aprile del 1964, quando ancora il Concilio era all’opera, il parroco per tutta la quaresima predicò sulla costituzione della riforma liturgica (SC) e i frutti non mancarono se sul Bollettino dell’ottobre del 1966 ho trovato scritto: «All’Incoronata ogni domenica accorrono 2.500 fedeli»!
Non che la fede si misuri dai numeri, come ci insegna il Vangelo, certo è che sono indicatori di un risveglio e di una primavera che il Concilio contribuì a far fiorire, e infatti ho trovato che già nel 1967-68 venne indetto un anno della fede caratterizzato da un’intensa formazione biblica (Ogni domenica a tutto il popolo verrà presentata la prima delle Letture nel suo contesto esegetico e un articolo della Costituzione sulla Rivelazione. Ogni martedì in due orari diversi, lettura della Genesi…).
Nel frattempo tante cose sono cambiate, viviamo un contesto diverso, anzi la comunità sta vivendo un cambiamento importante. Abbiamo salutato don Enrico dopo 17 anni di presenza e io mi appresto ad iniziare il mio servizio pastorale in mezzo a voi con la consapevolezza che mi viene suggerita da Paolo quando scrivendo ai cristiani di Corinto usa un’espressione che ci aiuta a vivere questo tempo di cambiamento con un atteggiamento di fede: «Siamo collaboratori di Dio e voi siete campo di Dio». Chiedo al Signore e a ciascuno di voi di poter tenere sempre questa prospettiva in ogni azione e scelta pastorale: siamo collaboratori di Dio.
Una parola che acquista un significato particolare in un momento di cambiamento. Il cambiamento dei pastori in una comunità non dovrebbe mai ridursi a una questione personale se sappiamo di essere collaboratori di Dio.
Nel senso che anch’io iniziando il mio servizio pastorale sono consapevole di raccogliere l’eredità preziosa di quanto don Enrico ha fatto in questi anni nel suo servizio pastorale: un servizio appassionato e intelligente che spero di poter continuare e arricchire anche con il mio contributo.
Vigilando come ammonisce Paolo che «Ciascuno stia attento a come costruisce», perché il fondamento di ogni nostra scelta, di ogni decisione, di ogni atteggiamento pastorale non sia su un fondamento diverso da quello che già c’è, che è Gesù Cristo.
Da questa prospettiva siamo tutti nella medesima condizione che ci viene suggerita dalle parole di Gesù nel vangelo di Giovanni: Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono.
Anche qui sembra che il Signore ci metta alla porta: se ascolti, segui, cammini, vai. Ascoltiamo la voce del Cristo, mettiamo la parola di Gesù, come abbiamo fatto proclamando tutto di seguito il vangelo di Luca, al cuore della nostra vita spirituale personale e di comunità e con questa docilità il Signore ci rende testimoni semplici che non hanno bisogno di inventare altre strategie pastorali!
C’è la successione apostolica che è garanzia per l’ortodossia della fede, ma c’è anche una successione discepolare, fatta da una fedeltà quotidiana nelle piccole cose, a partire dall’ascolto del Vangelo fino all’educazione dei figli, dall’assistenza all’anziano e al malato fino alla solidarietà tra famiglie, all’ascolto reciproco, al perdonarci gli uni gli altri … e credo che questa successione discepolare a sua volta possa essere una porta attraverso la quale il Signore può toccare il cuore di tanti.