DOMENICA DELLA DEDICAZIONE DEL DUOMO DI MILANO, CHIESA MADRE DI TUTTI I FEDELI AMBROSIANI - Gv 10, 22-30
La festa di oggi nel ricordo della Dedicazione del Duomo è sì volta a celebrare un evento del passato, ma è anche l’occasione per noi per interrogarci su quale chiesa vogliamo essere oggi e soprattutto come possiamo contribuire al volto della chiesa di domani.
L’essere qui in questa casa tra le case, in «una stanza del piano superiore» ci rimanda alla condizione ben nota del gruppo di discepoli riunito intorno a Gesù, piccolo seme, piccolo gregge, comunità disadorna nella periferia dell’impero… e nel contempo pensando appunto al Duomo di Milano, in noi affiora l’immagine di chiesa che è quella che lo stesso Duomo esprime: presenza centrale, imponente, artisticamente strepitosa, potenza religiosa accanto agli altri poteri che costituiscono la città.
Ma tu Signore, quale chiesa vuoi?
La parola di Dio mi suggerisce tre spunti di riflessione alla luce della condizione attuale, così come la possiamo vedere e percepire noi.
Anzitutto la lettura dell’Apocalisse (21,9-27) ci offre la visione di Giovanni di una chiesa bella come una sposa che scende dal cielo… quindi come dire: la chiesa perfetta non c’è sulla terra, quella perfetta scende dal cielo, risplende della gloria di Dio! ma è anche una chiesa che abita la terra, è la Gerusalemme nuova, una città con tre porte su ciascuno dei quattro punti cardinali! Tre porte a oriente, tre porte e settentrione, tre porte a mezzogiorno e ancora tre porte a occidente!
Le porte si aprono e si chiudono. Sono varcate quando si cerca protezione e quando si esce per l’avventura della vita. È curiosa questa immagine di una chiesa con tre porte aperte su ciascuno dei quattro punti cardinali. «Una chiesa in uscita», direbbe papa Francesco, ben diversa da una chiesa arroccata, ripiegata su di sé e sui suoi problemi. In totale le porte sono 12, appunto come i nomi delle dodici tribù dei figli d’Israele, che continuano nell’intenzione di Gesù nei dodici nomi degli apostoli, appunto inviati, mandati a uscire dalla città di Gerusalemme catapultati sulle strade del mondo, carichi di un vangelo non scritto, partiti senza bastone e senza sandali.
Se la chiesa ha tratto l’intera sua vitalità dal respiro di questo invio, non ne troverà in altro modo, in futuro verrà rinnovata sicuramente per questa stessa via.
In secondo luogo Paolo ai cristiani di Corinto scrive: Voi siete tempio di Dio, lo Spirito di Dio abita in voi! (1Cor 3, 9-17). Anche l’Apocalisse affermava che in quella città non c’è tempio, perché l’Agnello è il tempio. Anzi non c’è nemmeno il sole né la luna, perché l’Agnello è la luce! Ora che non ci sia il tempio è curioso: perché proprio oggi che celebriamo la festa della dedicazione del Duomo la parola di Dio relativizza questa imponente istituzione di cui ogni milanese è orgoglioso? Giovanni dice che l’Agnello è il tempio, Paolo scrive alla comunità di Corinto: voi siete il tempio di Dio!
Voi siete il tempio di Dio, dice Paolo, non perché i cristiani di Corinto vivano in maniera esemplare, siano perfetti e integerrimi… anzi è proprio perché non appaiono tali, infatti Paolo rimprovera loro le divisioni, le frammentazioni in partiti, le loro debolezze umane, i loro vizi… proprio per questo si rende necessario un richiamo alla grazia ricevuta di poter vivere secondo quella che Giovanni chiama la logica dell’Agnello, di colui che vive servendo, serve amando, ama consegnando la propria vita. Tempio di Dio è chi vive come Gesù, la presenza di Dio nella storia è nella forma dell’Agnello, quell’agnello che l’apocalisse continua a descrivere come immolato, ma in piedi sul trono.
La salvezza non può consistere nel dare un avvenire alla chiesa nel modo che sappiamo dalla storia, non c’è posto per questo perché il mondo crede di non aver più bisogno di lei! Senza rigettare la tradizione, la chiesa può trovare rilancio, stimolo, solo se risale il suo corso fino alla intenzione del Signore.
Non si tratta di abbandonare i grandi templi che abbiamo costruito, con tutto quello che significano: liturgie, arte, eventi… ma accanto a questa tradizione occorre che crescano forme di cristianesimo semplici e snelle, piccole fraternità radicate nel Vangelo di Gesù e attente agli uomini e alle donne di oggi, alle sfide di oggi!
Infine, la lettura evangelica (Gv 10, 22-30) ci offre la terza indicazione del volto di Chiesa, una visione che oserei dire più affettuosa e affettiva: una comunità di persone che sta nelle mani di Gesù (nessuno le strapperà dalla mia mano v.28) e che per il fatto stesso di essere accolte dalle sue mani sono disponibili ad ascoltare la sua voce (le mie pecore ascoltano la mia voce v.27), proprio come fa un genitore con un figlio: se lo stringe tra le mani e gli parla cuore a cuore…
Impressiona come ancora nel nostro desolato panorama ecclesiale, trovino spazio quelle forme – lungi da me il giudicare la fede di altri – che soddisfano un bisogno religioso primitivo, superstizioso, magico: apparizioni, visioni, pellegrinaggi… a me pare come una reazione disperata di tanta gente che prima si accontentava di far dipendere la propria fede dall’appartenenza alla chiesa dalla nascita e dall’educazione ricevuta, ma che non si è mai curata di personalizzare e vivificare la fede in Cristo attraverso l’ascolto e la meditazione del vangelo.
Il legame di queste persone con la chiesa traeva la sua forza dalla presa della chiesa stessa sulla società e la loro fede in Cristo dalla sopravvivenza di una comune credenza in Dio… ma questo legame è andato disintegrandosi nel momento in cui si sono sfaldate le strutture religiose tradizionali, perché la società non sente più il bisogno del sostegno di questo tipo di trascendenza.
Mi sembra di leggere due fenomeni contrastanti. Per un verso quello sempre più diffuso per il quale il fatto di riflettere sul Vangelo non va necessariamente di pari passo con il bisogno di ricorrere ai sacramenti e al sostegno della Chiesa, per l’altro invece, al contrario, al bisogno di ritualità non corrisponde un bisogno di Vangelo!
Da una parte o dall’altra si rischia di avere una distanza molto grande: ci si può attaccare ai riti e lasciarsi sfuggire il pensiero del Vangelo, come ci si può interessare al Vangelo e non provare interesse per la vita nella Chiesa. Per questo io credo che l’avvenire della Chiesa risiederà in piccole comunità dove ci saranno cristiani e non cristiani, che insieme rifletteranno sui loro problemi leggendo il Vangelo, apprendendo o riapprendendo in questo modo un vivere insieme vicino a Gesù. Penso che la Chiesa possa ripartire così, aprendosi alla società invece di rinchiudersi su se stessa, per essere appunto una chiesa dalle porte aperte, come diceva l’Apocalisse.
È certo che la storia non va all’indietro, e quindi non si potrà fare rivivere esattamente le comunità cristiane d’un tempo; il contesto sociale è troppo diverso! Tuttavia come è nato il Vangelo? Dentro gruppi di persone, di discepoli intorno a Gesù. Dunque si può pensare che la Chiesa possa solo rivitalizzarsi a partire da gruppi di discepoli ancorati al Vangelo.
È un po’ l’idea che ha ispirato non poche comunità di base, in Francia e anche in America Latina: i problemi di queste società non sono gli stessi ma l’ispirazione è abbastanza simile.
In altre parole, la Chiesa che si rende conto di essere in declino ha tutto l’interesse a ricordarsi che non è solamente religione, ma anche – anzi, prima di tutto – Vangelo. Ed è a partire dal Vangelo che essa potrà rivivificarsi anche come religione, ma in modo diverso da come è attualmente o da come era nel passato.
Immagine| Piazza del Duomo di Milano, Dino Buzzati