ULTIMA DOPO L’EPIFANIA detta "del perdono" - Lc 19, 1-10


audio 27 feb 2022

Se, come Zaccheo, vogliamo oggi cercare di vedere Gesù, non ci basta salire su un albero, abbiamo da scavalcare muri di odio, di violenza e muraglie e trincee di guerra che gli uomini continuano a costruire.

Come possiamo vedere Gesù che, notate non sta in alto ma in basso, nelle strade della città, nelle vie bombardate di Kiev, di Odessa, di Mariupol?

Ancora una volta papa Francesco brilla come icona evangelica: prende di sua iniziativa, rompe i protocolli e va di persona a casa dell’ambasciatore russo in Vaticano. Potrà sembrare poca cosa di fronte alla forza dei missili, degli aerei da guerra e delle bombe. Un gesto inedito – si sono precipitati a dire i cronisti -, un gesto secondo me anzitutto profetico.

Con papa Francesco la Chiesa sembra abbandonare quelle posizioni tipiche di presunta neutralità che hanno caratterizzato secoli e secoli di diplomazia vaticana. Il ruolo della chiesa, la via della chiesa nelle convulsioni del mondo non è la neutralità, ma la ‘profezia’. Sapendo che la profezia ha un caro prezzo. Come accadde nel 1968 al cardinale Lercaro dopo la dura condanna contro i bombardamenti americani in Vietnam – posizione in evidente contrasto con la linea diplomatica vaticana: dovette dimettersi da vescovo della diocesi di Bologna per aver preso una posizione profetica e non neutrale contro la guerra in Vietnam.

La profezia denuncia il male, non scende a patti. E la profezia non è monopolio della chiesa, anzi. Sentite le parole di un coraggioso giornalista russo Dimitri Muratov, odiato ovviamente da Putin, premio Nobel per la pace 2021 che nel ricevere il premio disse: «Nel nostro paese (e non solo) è comune pensare che i politici che evitano lo spargimento di sangue siano deboli. Mentre minacciare il mondo con la guerra è il dovere dei veri patrioti. I potenti promuovono attivamente l’idea della guerra. Il marketing aggressivo della guerra influenza le persone ed esse cominciano a pensare che la guerra è accettabile…Per di più, nelle teste di alcuni pazzi geopolitici, una guerra tra Russia e Ucraina non è più qualcosa di impossibile».

Putin è al potere da oltre 22 anni. La solitudine del comandante unico non è mai parsa così arrogante quanto patetica come nelle immagini televisive di lui seduto a un capo di quel tavolo lunghissimo che parla e pontifica e racconta la sua versione della storia.

Lo aveva già detto la giornalista Anna Politkovskaja, assassinata nel 2006 (nel giorno del compleanno di Putin!) perché scriveva delle repressioni disumane dell’esercito e delle uccisioni dei difensori dei diritti umani in Cecenia. La Russia sta per precipitare in un abisso, scavato da Putin e dalla sua miopia politica, diceva.

In quanto discepoli di Cristo abbiamo iscritto nel nostro DNA di battezzati il dovere non della neutralità, ma della profezia. Profezia è annunciare il vangelo di Gesù qui e oggi, profezia è discernere il bene e il male alla luce del Vangelo. Profezia è prendere posizione quando l’ingiustizia, l’arroganza e la violenza vogliono schiacciare i diritti e le vite delle persone.

Profezia vuole che in questi frangenti di guerra ci saremmo aspettati parole evangeliche dal patriarca di Mosca Kirill, quando invece, dopo giorni di imbarazzante silenzio, abbiamo dovuto ascoltare parole generiche, appiattite sulle posizioni governative.

E un motivo c’è, e potevamo comprenderlo quando Kirill, patriarca di Mosca e di tutte le Russie, decise di disertare il concilio panortodosso di Creta del 2016. Già quel gesto di rottura della comunione fra Mosca e Costantinopoli dopo l’autocefalia concessa a Kiev era un segnale di guerra.

La via della profezia richiede dunque di confessare che il modo in cui le Chiese hanno vissuto la divisione è parte della guerra, è porta della guerra. Nel momento in cui mettiamo al primo posto le nostre strutture, le nostre organizzazioni, succede che rinunciamo ad annunciare la profezia del Vangelo.

Infatti come chiese non abbiamo denunciato con il coraggio doveroso e necessario il fatto che mentre il mondo della medicina e della scienza si spendeva per salvare vite umane dal Covid, altri spendevano per acquistare strumenti di morte, da mettere in mano a quelle stesse vite salvateDurante la pandemia sono cresciute a livello planetario – inclusa l’Italia – la produzione e la vendita di armamenti. Ecco l’insensatezza della guerra, che inizia ben prima di scoppiare.

Lo scorso anno la spesa militare mondiale si è aggirata sui duemila miliardi di dollari. E sappiamo che il riarmo di una parte è da sempre contagioso. La pesante militarizzazione della Cina sta spingendo ora le nazioni del Pacifico a fare altrettanto: Giappone, Corea del Sud, Malesia e Taiwan. Nel 2020 perfino l’Africa ha superato i 43 miliardi di dollari in armi. Ma ancora più agghiacciante è la corsa al riarmo nucleare da parte delle grandi potenze, soprattutto Usa, Russia e Cina.

«La prima vittima della guerra è la verità». Lo affermava Eschilo duemilacinquecento anni fa e lo si può ripetere per ogni guerra combattuta da allora fino ad oggi. Quella in Ucraina non fa eccezione.

La prima vittima è la verità della persona, delle comunità, della convivenza pacifica, tutte trucidate in nome di interessi ammantati da giustificazioni storiche e identitarie che, prima o poi, il tempo si prende il compito di sbugiardare con il suo inesorabile giudizio. Intanto però la gente muore, gli innocenti soffrono e il terrore si diffonde.

Ha ragione papa Francesco quando, nell’enciclica Fratelli tutti, scrive che «Ogni guerra lascia il mondo peggiore di come lo ha trovato. La guerra è un fallimento della politica e dell’umanità, una resa vergognosa, una sconfitta di fronte alle forze del male» (n.261).

Ora credo che possiamo anche noi qualcosa perché non ci possiamo accontentare di promuovere la pace in forma di appello generico. Anzitutto dobbiamo ancora imparare molto da Zaccheo, il quale appena Gesù è entrato in casa sua, non ha perso tempo in chiacchiere e ha fatto delle cose, ha deciso dei cambiamenti per rinnovare la sua vita.

Per quanto riguarda noi penso anzitutto a tre cose. La prima, quanto sia urgente educare alla pace. Educare alla pace in famiglia, a scuola, nello sport. Nessuno educa alla pace. In questo mondo si educa per la competizione. E la competizione, diceva Maria Montessori, è l’inizio della guerra. Quando cominceremo ad educare alla cooperazione e a insegnare a offrirci l’un l’altro solidarietà, quel giorno allora possiamo sperare in un futuro di pace.

Una società attraversata dalla competizione e dai conflitti sarà sempre terreno fertile per la guerra. Ma se impariamo a praticare l’ascolto, il confronto, il riconoscimento anche nei riguardi di chi ci appare meno simile e diverso da noi, concimeremo campi di pace.

Una seconda cosa possiamo fare ed è ancora Zaccheo che la insegna, consiste nel prepararci ad accogliere i profughi che inevitabilmente questa guerra assurda costringerà a lasciare la propria casa, la propria terra. Prepariamoci ad accogliere nei modi e nelle possibilità che ciascuno di noi ha a disposizione, con cuore grande, perché anche nelle nostre case, come nella casa di Zaccheo, nell’esercizio della giustizia e dell’amore possa entrare la salvezza.

Infine, una terza cosa possiamo e dobbiamo fare, perché quando le bombe fanno rumore e le esplosioni urlano l’odio, quando la politica, il dialogo e la diplomazia cedono il passo allo stato maggiore e alla tattica militare, questo è il tempo della preghiera di intercessione, come ci ha insegnato il cardinale Martini.

Questo per noi è il tempo per scendere in piazza, per esprimere la nostra solidarietà, ma è anche il tempo del silenzio che si fa preghiera, come le lacrime e il dolore delle vittime.

Questo è il tempo di pensare con gli occhi e con l’anima.

Raccogliamo l’invito di papa Francesco: «E ora vorrei appellarmi a tutti, credenti e non credenti. Gesù ci ha insegnato che all’insensatezza diabolica della violenza si risponde con le armi di Dio, con la preghiera e il digiuno». «Invito tutti a fare del prossimo 2 marzo una giornata di digiuno e preghiera per la pace».

Che il Signore doni alle sue Chiese di essere profezia di pace.

(Lc 19, 1-10)