I DI AVVENTO - Mt 24, 1-31
(Is 51, 4-8; 2Ts 2, 1-14; Mt 24, 1-31)
Raccoglierei intorno a tre pensieri il messaggio della parola di Dio che abbiamo ascoltato, all’inizio di questo tempo di avvento, un tempo che viene a ricordarci una dimensione della nostra fede che non abbiamo sempre in grande considerazione, anche se ogni volta nella preghiera eucaristica al mistero della nostra fede la ripetiamo dicendo: Annunciamo la tua morte Signore, proclamiamo la tua risurrezione, «nell’attesa della tua venuta». Ecco noi siamo qui a fare memoria viva di Gesù morto e risorto per noi, ma ci dobbiamo aiutare a tenere presente che siamo qui nell’attesa della sua venuta. E proprio per questo il tempo di avvento viene a ricordarci che andiamo verso l’incontro con il Signore, un giorno il Cristo tornerà.
Questo è il primo pensiero, un punto fermo della nostra fede: un giorno Cristo tornerà. Certo è una dimensione difficile da tenere presente, perché il passato ce lo portiamo sulle spalle, il presente lo viviamo con l’intensità di cui siamo capaci, ma l’attesa dell’incontro con Cristo, come orizzonte che va al di là della storia, un poco ci sfugge. La massima aspirazione della filosofia illuminista fu quella di emancipare l’umanità dai vincoli del passato. Oggi la nostra aspirazione sembra essere quella di proteggerci dal futuro.
Infatti c’è sempre qualcuno che vede la fine del mondo come se dovesse venire ad ogni istante e che vede ovunque solo i segni della devastazione: non c’è mai stato degrado morale come in questo tempo, crescono le varie forme di violenza… e poi le guerre e ancora come è successo in questi giorni, sembra che anche la natura stessa si rivolti contro l’uomo.
Già ai tempi di Paolo c’erano questi profeti di sventura, infatti l’apostolo è costretto a scrivere ai cristiani di Tessalonica: «Fratelli e sorelle Il mistero dell’iniquità è già in atto, ma voi non lasciatevi troppo presto confondere la mente!».
Ma anche al tempo di Isaia quando il popolo viveva deportato a Babilonia e pensava che tutto fosse finito e che l’Eterno avesse ritirato la sua promessa, Isaia, siamo a metà della pagina, dice: Alzate al cielo i vostri occhi e guardate la terra di sotto.
Queste parole di Isaia mi suggeriscono il secondo pensiero, che è una domanda: come abitare l’attesa del ritorno del Signore? Cosa vuol dire attendere la sua venuta? A Natale ricorderemo la nascita di Gesù, ricorderemo l’incarnazione di Dio nella storia dell’uomo, ma in queste prime settimane la parola di Dio ci invita ad alzare al cielo i nostri occhi e il nostro cuore per poi rivolgere lo sguardo sulla terra, e osservare da questa prospettiva la storia che viviamo.
È un po’ questo il compito del profeta… Non è uno che sa cosa accadrà domani, come se gli fosse dato di prevedere il futuro, il profeta tiene viva le tensione tra la storia dell’uomo e la fedeltà di Dio; è uno che vive con i piedi piantati nella realtà, ma con lo sguardo verso il Veniente. Per dirla con un’immagine di Enzo Bianchi, è come il pendolo che oscilla sempre tra l’umanità e Dio, il profeta tiene viva questa tensione, anzi alcune volte si arrabbia con l’Eterno quando sembra abbandonare l’uomo alle sue malvagità… Per questo il profeta diffida da coloro che sempre si schierano o che presumono di difendere Dio, perché non sanno rimanere fedeli all’uomo, che è la vera passione dell’Eterno.
Il rabbino Laras concentra intorno a tre nuclei che cosa significhi essere profeti. Anzitutto il profeta è una persona che sottomesso alla Parola, la studia e la approfondisce. In secondo luogo il profeta è una persona onesta, corretta, moralmente trasparente. E poi il profeta è uno che sa immaginare, sa vedere oltre le cose. Con tutto ciò non è detto però che abbia successo, anzi! Il successo è proprio dei falsi profeti, di coloro che approfittano del malessere diffuso tra la gente, dallo sbandamento generale e lo cavalcano perché hanno sempre un secondo fine e un loro tornaconto.
Più che mai il nostro tempo, la nostra chiesa, la nostra umanità hanno bisogno di profeti così, di discepoli che vivono la fedeltà a Dio e alla terra persone che per dirlo con una metafora delle meteorologia, sono come dei nuclei di condensazione tra terra e cielo.
Mi riferisco al processo che avviene in natura, appunto il processo di condensazione. Succede infatti che parte delle nuvole, strutture vaporose e gassose, viene trasformata in pioggia grazie alla presenza di «nuclei di condensazione» che aggregano e trasformano. Nuclei che nella maggioranza dei casi sono una cosa semplicissima: cloruro di sodio (sale). In assenza del sale le nuvole aumentano la propria struttura gassosa e si interrompe un ciclo vitale.
Così, mi sembra che nel vortice di emozioni, di esperienze, a volte centrifughe, di contraddizioni, di desideri e di frustrazioni di cui è fatta la storia dell’umanità di sempre, occorrano nuclei di condensazione che con il sale del Vangelo trasformino in pioggia, in ciclo vitale ciò che uno sguardo superficiale considera alla stregua di segni da fine del mondo!
Troppo facile e ovvio guardare le cose come se tutto stesse per finire, questo porta alla deresponsabilizzazione, al disimpegno, al fatalismo. Infatti Gesù, ed è il terzo pensiero che condivido con voi, riconosce che: sorgeranno molti falsi profeti e inganneranno molti; per il dilagare dell’iniquità, l’amore di molti si raffredderà.
Per il dilagare dell’iniquità, l’amore di molti si raffredderà. L’iniquità, il male, la cattiveria ci sono, esistono, lo vediamo tutti i giorni e non ci facciamo facili illusioni… ed è proprio a causa di questo che l’amore può raffreddarsi.
Mentre attende il ritorno del Signore, quello stesso Signore che continuamente viene con la sua parola, la comunità rischia di distrarsi, di irrigidirsi, di stancarsi, di esporsi all’impazienza a causa, come dice Matteo, del dilagare dell’iniquità. Il diffondersi del male che quasi sembra prevalere può far raffreddare l’amore. Certamente, quando il male intorno sembra eccessivo può renderci rinunciatari, può farci perdere la voglia di contrastarlo con il bene, può portarci a immaginare dei compromessi…
Gesù ci chiede di vigilare perché non si raffreddi l’amore. Vigilare, vegliare è saper alzare lo sguardo al cielo e guardare la terra, come diceva Isaia, perché se sappiamo guardare così la storia e la vita, saremo capaci di amore, di un amore che sa dialogare, che non teme la diversità, che sa entrare in relazione e sa riconoscere il bene che c’è nell’altro, il bene che Dio opera comunque. Perché laddove il falso profeta vuole essere dalla parte di Dio vede solo sciagure; il profeta veglia, cioè fa in modo che l’amore non si raffreddi.
Impariamo a guardare la terra dal cielo. Vegliamo con il nostro amore sugli altri, prestiamo attenzione alle loro parole e ai loro silenzi, al mistero divino nascosto nel profondo del loro essere.
Vegliate e amate. In questo modo saremo pronti alla venuta del Signore il quale, per il suo regno, cerca persone ricche di quella particolare intelligenza che è l’intelligenza del cuore.