II DI AVVENTO - Lc 3, 1-18
Vi invito a notare la solennità con cui l’evangelista Luca inizia il capitolo: Nel 15° anno di Tiberio, mentre Pilato era governatore, Erode tetrarca della Galilea… sotto i sommi sacerdoti Anna e Caifa… L’evangelista, passando in rassegna tutti i poteri del tempo, sembra adattarsi alla lettura della storia secondo i potenti, i vincitori, i ricchi e i forti, una storia nella quale quel che conta è il potere e le sue divisioni.
Ebbene dopo un’introduzione del genere, cosa accadde? La parola di Dio venne su Giovanni nel deserto.
Dio, dice semplicemente Luca, sta da un’altra parte, Dio parla in altri contesti, abita i luoghi poveri, dove vivono i ‘senza potere’. E guarda caso, Dio riprende il dialogo con il suo popolo proprio dal deserto, come a dire: non è la terra la promessa, la promessa è oltre, la promessa di Dio non ha confini, riguarda tutti gli altri figli e figlie suoi. Il disegno di Dio è la fraternità umana.
La parola di Dio risuona nel deserto nell’intento di ridare le misure per costruire un’altra società, un’altra umanità.
Come a voler riprendere un dialogo interrotto e incistato nel nazionalismo, nel particolarismo di quel pezzo di terra, perché è vero che quando si è ottenuta la liberazione e fatta la rivoluzione, si finisce per ripetere e tornare a fare quello che i tuoi aguzzini hanno fatto a te.
Ecco cosa viene a dire la parola di Dio nel deserto: ripartiamo da lì, dalla conversione, dal cambiamento perché così è possibile costruire una nuova umanità, quella che il profeta Baruc descrive nella prima lettura assumendo come simbolo Gerusalemme, la città per eccellenza, la città messianica che non è una città della Palestina, ma è la città dell’uomo, la città di tutti.
Dice Baruc: Avvolgiti del manto della giustizia di Dio… sarai chiamata per sempre ‘Pace di giustizia’ … e poi ancora sul finale: con la misericordia e la giustizia che vengono da lui.
Il profeta non sogna uno stato clericale, un paese teocratico, ma una città, una società giusta, un’umanità fondata secondo la giustizia di Dio, che non è semplicemente la giustizia indicata dalle nostre norme positive, ma da quella più radicale, di fondo, che nessuna legge traduce bene e che ha un carattere così universale che rimane ferita a morte ogni volta che si accetta una qualsiasi discriminazione di cultura, di religione, di razza, di sesso…
Il lavoro per costruire una città dell’uomo degna di tale nome, deve perseguire la giustizia di Dio, è appunto la conversione che comporta raddrizzare i sentieri, abbassare i monti e riempire le valli.
Raddrizzate anzitutto i sentieri, ovvero raddrizzate le deviazioni della giustizia che sono la corruzione e tutti gli altri usi distorti.
Abbassate i monti che sono le escrescenze del potere come le disuguaglianze e le ingiustizie.
Colmate le valli, i buchi neri dei diritti umani, le derelizioni, le sofferenze degli scartati e degli oppressi dal potere.
Questo è il nostro compito storico, a questa dimensione ci rimandano l’avvento e la liturgia del Natale, alla concretezza storica della nostra vita e convivenza umana. In altri termini la parola di Dio viene a dirci la passione dell’Eterno per la città dell’uomo, una passione per la quale Egli disegna un orizzonte di giustizia, di equità e di libertà che richiede la nostra conversione, il battesimo di conversione del Battista.
Infatti non ci meravigliamo che noi ancora siamo non solo immersi, ma alimentiamo continuamente un mondo di ingiustizie, di disuguaglianze e di vite scartate, lo alimentiamo anche con la nostra indifferenza.
Vorrei essere più concreto per porre rimedio all’indifferenza che domina sovrana perché come diceva Martin Luther King il male non è neanche il male che succede, il vero male è il silenzio e l’indifferenza degli onesti.
Gli esempi sono purtroppo numerosissimi. Il primo viene da un evento che dovrebbe essere esemplare in quanto a rispetto e giustizia e di cui si parla poco, ed è il fatto che da quando la FIFA ha affidato l’organizzazione della Coppa del Mondo 2022 al Qatar nel 2010 – che tra l’altro è iniziata oggi -, si ritiene che siano morte 6.500 persone durante la realizzazione dei grandi progetti infrastrutturali del paese e sono una parte di coloro che possiamo tristemente a ragione considerare ‘schiavi moderni’.
Schiavi moderni perché si tratta di migliaia di lavoratori che vi lavorano ancora in condizioni spaventose per un dollaro l’ora. La FIFA intascherà più di sei miliardi di dollari, eppure si rifiuta di risarcire questi lavoratori e le loro famiglie. Questa è giustizia?
Un altro esempio ci viene suggerito dalla condizione delle donne nel mondo, penso in particolare a quelle maltrattate (come ci ricorda la giornata contro la violenza sulle donne che ricorre il prossimo 25 novembre), a quelle che vengono segregate, umiliate. Devo riconoscere che sono rimasto sorpreso dal coraggio delle donne iraniane. Osservando il coraggio di quelle donne dovremmo trovare la forza di cambiare la nostra coscienza patriarcale e maschilista.
Un tempo per dire a un uomo che ha coraggio si diceva: Sei un vero uomo. Oggi dobbiamo dire: Sei una vera donna perché dobbiamo riconoscere che quelle donne stanno dimostrando di avere più forza di noi. Ed è così. E non avviene soltanto in Iran.
Ricordate le madri di Plaza de Mayo in Argentina? o in Tunisia le madri dei desaparecidos del Mediterraneo, nell’Afghanistan abbandonato colpevolmente e ipocritamente al destino segnato dai Talebani? nell’Egitto senza diritti, in Colombia, Messico, Guatemala e Honduras a reclamare il ritorno dei figli inghiottiti nel nulla dei narcostati?
Gli uomini non riuscirebbero ad avere quello stesso coraggio che giunge fino al dono della vita.
Potrei continuare a descrivere un interminabile elenco di valli e di monti di ingiustizia e di violenza: pensiamo alle guerre, alle politiche nei confronti dei migranti, ma anche ai 76 suicidi che sono avvenuti in carcere quest’anno e che per la maggior parte riguarda giovani dai 20 ai 39 anni.
Per non parlare delle famiglie che sono nelle condizioni di spegnere il frigorifero perché, mi dicono, a metà mese è vuoto: cosa lo tengo acceso a fare?
La parola di Dio scende in questo deserto di umanità, di diritti e di amore e come ha investito della sua forza il Battista, così lasciamo anche noi che ci prenda dentro, nelle fibre del nostro vivere, e abbiamo a cuore la giustizia di Dio che vuole un mondo, un’umanità giusta, solidale e rispettosa dei diritti.
E noi cosa possiamo fare? La nostra domanda è la stessa che pongono a Giovanni il Battista coloro che ricevono il suo battesimo e lui di rimando alle folle dice: Se hai due cappotti e se mangi tre volte al giorno… dai qualcosa a chi non ne ha. Condividete.
Ai pubblicani: se dovete riscuotere le tasse, non imbrogliate la gente per guadagnare più denaro, siate onesti, siate trasparenti, sappiate accontentarvi.
Ai militari: non maltrattate, non angariate con la prepotenza della vostra condizione, ma portate rispetto per le persone, per la vita umana.
Già questo è Vangelo, come Luca scrive nel finale della pagina di oggi: Giovanni evangelizzava il popolo. Già, Giovanni prima ancora che Gesù iniziasse il suo ministero, evangelizzava e annunciava il Vangelo della giustizia di Dio, del rispetto dei diritti umani, della trasparenza, dell’equità… di quello stile di vita che Gesù incarnerà dal primo suo giorno fino all’ultimo, pagandone il duro prezzo fino al dono della sua vita.
Che il Signore ci doni di essere profeti della giustizia di Dio.
(Bar 4,36-5,9; Lc 3, 1-18)