II DI PASQUA - In albis depositis - Gv 20, 19-31


Con questa celebrazione ci introduciamo alla settimana santa, alla settimana che fa memoria dei giorni decisivi di Gesù, di quei giorni che parlano anche dei nostri giorni decisivi nella vita, ovvero quando siamo messi alla prova, quando ci misuriamo con il dolore, con la sofferenza, l’ingiustizia e la morte. Ebbene il nostro cammino quaresimale ci fa salire in cima a questa montagna che è il problema del male e il mistero di Dio.

Ebbene come si pone Gesù di fronte al male? Cosa fa Gesù quando un amico lo tradisce, quando i poteri forti lo condannano ingiustamente? Cosa fa quando sulla croce arriva al culmine dell’assurdità della vita che è la morte? C’è una risposta da parte del Cristo alle nostre domande di senso?

La prima cosa che possiamo dire è che nemmeno Gesù si accontenta della teologia tradizionale che aveva inventato la teoria della retribuzione secondo la quale chi fa il bene viene premiato e chi fa il male viene castigato. Questa teologia si arresta davanti alla sofferenza e al dolore dei bambini, ma anche davanti alle vittime di un terremoto, di una catastrofe ambientale che lascia sul terreno migliaia e migliaia di vittime innocenti… è impossibile sostenere una spiegazione del genere, anche davanti alla croce di Gesù, il Giusto ingiustamente condannato.

C’era al tempo di Gesù anche un’altra teoria di cui ci ha parlato la prima lettura, il 4° canto del Servo, che è un dialogo tra Dio e il popolo su questo tema. Il profeta Isaia mette sulle labbra del popolo una soluzione, quella per cui la gente si attende uno che porterà su di sé tutto il dolore del mondo, uno che offrirà la sua vita in sacrificio di riparazione, un capro espiatorio.

Il profeta Isaia traccia il profilo di un servo non meglio identificato che viene disprezzato e reietto, uomo dei dolori che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia, di cui nessuno ha stima… ed è appunto uno schiacciato non dai suoi peccati, dai suoi errori, ma oppresso dalle nostre iniquità e trafitto dalle nostre colpe.

Ma la questione che si pone però è questa: perché mai Dio dovrebbe avere bisogno di uno che come un capro espiatorio offra un sacrificio di riparazione? Per noi è del tutto inaccettabile più che l’idea del sacrificio, quanto l’idea di un Dio così. Senza sembrare blasfemo, parrebbe di aver a che fare con i caratteriali dèi dell’Olimpo! Un dio che si arrabbia, si offende, un dio che si placa solo con lo scorrere del sangue. Terribile il versetto 10 di Isaia: Ma al Signore è piaciuto prostrarlo con dolori! Perché solo se offrirà se stesso in sacrificio di riparazione vedrà una discendenza, vivrà a lungo…

Davvero una teologia che ci offre un’immagine di Dio tremenda, in-credibile, in senso letterale.

Quando entriamo nella casa di Betania, c’è forse solo una persona che ha compreso davvero cosa era accaduto la settimana precedente. Certo tutti hanno visto l’uscita di Lazzaro dal sepolcro, ma è solo una donna, è solo Maria, sorella di Marta e di Lazzaro ad aver compreso che quello era un segno che voleva dire altro, vale a dire che il dolore, la sofferenza, ma nemmeno la morte erano il castigo di Dio per i peccati di Lazzaro.

Gesù con un gesto di affetto, di amicizia, di amore ha restituito Lazzaro alla vita e all’affetto delle sue sorelle. Gesù che aveva invocato il Padre davanti alla tomba di Lazzaro, dice da che parte sta l’Eterno quando la nostra esistenza viene attraversata dalla prova: è con noi, piange con noi, soffre con noi.

Questo è un anticipo di quanto Gesù farà poi a Pasqua. Ma già oggi si può intuire l’amore gratuito di Dio che Gesù ci dona, e possiamo comprendere come nella casa di Betania ci sia un gesto d’amore straordinario da parte di Maria in risposta ad un amore ancora più grande e senza prezzo che è quello di Gesù ed è per questo che il Signore chiede alla sua amica di tenere da parte quel profumo per la sua sepoltura: l’amore per cui Gesù accetta di arrivare fino in fondo, è un amore che non ha prezzo, se 300 denari poteva sembrare una cifra esagerata, l’amore di Gesù va ancora oltre, non è prezzabile.

Una settimana prima di entrare nel grande mistero della sua passione, morte e risurrezione Gesù, che aveva compiuto un atto d’amore e di amicizia richiamando alla vita Lazzaro, riceve a sua volta un dono profumato! Ieri in quella casa c’era l’olezzo della morte, ora c’è il profumo dell’amore.

Siamo ben oltre la teoria della retribuzione, ben oltre la teologia del capro espiatorio… fintantoché ci sono persone che fanno della propria vita un dono d’amore per gli altri, il mondo potrà godere di un poco del profumo dell’amore che si dona.

Gesù vuol far capire che anche il dono della vita, che egli farà non sarà il prezzo pagato per chissà quale debito contratto dall’uomo con Dio, ma è un atto d’amore di Dio verso l’uomo.

Non è proprio questo il pensiero di Giuda, niente di personale con lui perché rimane nostro fratello come diceva don Mazzolari, ma lui è la voce di chi di fronte al dolore, alla sofferenza, si ripiega sulle cose, sul denaro e su tutto quello che il denaro può dare…

Gesù ancora oggi è nelle condizioni in cui era la settimana prima di Pasqua nella casa dei suoi amici di Betania: in quella casa, come nella nostra società, c’è chi crede che l’amore mandi avanti il mondo e c’è chi pensa ed è convinto che invece sia il denaro a mandare avanti le cose.

Non guardiamo come Giuda il prezzo del nardo, guardiamo l’amore di Maria; non guardiamo, come Giuda, il mancato guadagno, gustiamo il profumo che riempie la casa; non guardiamo il costo dell’unguento, impariamo la generosità dell’amicizia.

Vale la pena credere nell’amore, vogliamo continuare a sperare che il voler bene possa cambiare le cose. Non siamo eterni illusi o ingenui sognatori che il cuore delle persone possa definitivamente cambiare, riusciamo a malapena a correggere qualche nostro difetto, come potremmo pensare che il mondo da se stesso possa migliorare?

Nell’ultima parte della pagina di Isaia, quando prende la parola l’Eterno dice una profonda verità: il giusto mio servo giustificherà molti. Questa è la giustizia di Dio, quella in virtù della quale l’Eterno dona al peccatore ciò che non si merita: il perdono invece della condanna.

Questo fa Gesù portando il peccato del mondo. È la giustizia di Dio che giustifica il peccatore, dove giustifica non vuol dire che il peccatore è scagionato come non colpevole, ma che riconosciuto colpevole, è perdonato. Il suo peccato è cancellato dall’amore di Dio che rende giusto.

Isaia annuncia quello che poi è avvenuto sulla croce, quando Gesù a un prezzo carissimo, attesta che Dio è puro amore, amore del peccatore, amore di ciò che non è amabile e che proprio per questo il suo amore è gratuito. Diceva Martin Lutero: Dio non ci ama perché siamo belli. Ma siamo belli perché Dio ci ama. È questo il grande mistero di Dio. Non è un segreto rivelato a pochi iniziati, ma un dono talmente grande da sorprenderci e stupirci ogni giorno.

Come possiamo salvarci dalla nostra riduzione a numero, a merce, a cosa, per recuperare la nostra individualità, la nostra coscienza, la consapevolezza del dono dell’amore di Dio? Dobbiamo isolarci, allontanarci dal rumore, chiuderci nel silenzio, e pensare, così ci dice Papa Francesco: «Vi invito a prendere dieci minuti, seduti, senza radio, senza tv; e pensare alla propria storia».

Ormai siamo andati molto avanti con la nostra riduzione a cose e forse l’unico modo per salvarci è recuperare quei cinque-dieci minuti di tempo «nostro», per le nostre cose, i nostri pensieri e preoccupazioni, un tempo in cui «ascoltarci», interrogarci, e risponderci.

Il vero progresso oggi è togliere più che aggiungere, rallentare più che accelerare, dare valore al silenzio, alla luce, alla fragilità, alla dolcezza dell’amicizia.

Come amava ripetere Madre Teresa: noi non possiamo fare grandi cose, ma piccole cose con grande amore. Accompagniamo il Signore in questa settimana, passo passo e impareremo da lui a stare di fronte al problema del male, dell’ingiustizia e del dolore con amore, con il dono e la gratuità che riempiono di profumo la casa comune.

(Is 53,1-12; Gv 11,55-57;12, 1-11)