VI DI PASQUA - Gv 16, 12-22
Per i discepoli della prima ora non era stato affatto facile fare i conti con la crocifissione di Gesù, lo abbiamo rivissuto nella settimana santa, nei giorni del triduo pasquale: di fronte alla morte del Maestro il gruppo pareva disgregarsi, ognuno alle prese con mille dubbi e pensieri. Ed erano state le donne per prime a impedire al dispersione perché erano tornate dal sepolcro annunciando che Gesù è vivente, è risorto!
Eppure non era ancora superata questa crisi, ecco che i discepoli devono fare i conti anche con l’assenza del Cristo dopo la sua risurrezione (Un poco e non mi vedrete, un poco ancora e mi vedrete). Nelle righe di Giovanni che abbiamo ascoltato traspare tutta l’angoscia dei suoi amici che pensavano di averlo ritrovato dopo la risurrezione e di aver ricomposto il gruppo, invece Gesù annuncia che lui va e manda qualcun altro: «Verrà lui, lo spirito della verità». Noi sappiamo dello Spirito consolatore, dello Spirito Paraclito, dei sette doni dello Spirito santo… chi è questo Spirito della verità?
L’assenza di Gesù espone i discepoli a due rischi, che storicamente continuano a sussistere. Il primo rischio è la mondanizzazione del vangelo: il gruppo di uomini e donne che avevano seguito Gesù poteva diventare uno dei movimenti antagonisti, poteva costituirsi in una cordata politica, poteva diventare un gruppo esclusivo e chiuso come gli esseni… insomma i discepoli dopo aver seguito Gesù potevano andare incontro a una deriva ideologica, appunto mondana, che seguisse i criteri e i parametri di un qualsiasi apparato religioso: occupazione di posti di potere, collusioni finanziarie, alleanze economiche…
Accanto a questo, c’era – e sussiste oggi – un altro rischio che è quello della spiritualizzazione. Vale a dire potevano restare un gruppo interno all’ebraismo, una devozione magari un poco più radicale, oppure poteva coltivare un certo intimismo religioso, un sentimentalismo spirituale, svuotando il vangelo di tutta la sua carica storica e civile, nel senso di cura della polis, della città, del bene comune.
Potremmo dire che Gesù annunciando lo Spirito di verità, lo Spirito che avrebbe guidato a tutta la verità, aveva ben presente questi rischi, queste derive del cristianesimo e quindi ha promesso il dono dello Spirito di Dio sia per evitare che la fede diventi ideologia mondana sia per evitare che si volatilizzi in una spiritualizzazione disincarnata.
Come può la fede cristiana evitare di scivolare in queste derive? Grazie al dono dello Spirito, che è quel magistero mandato ad aiutare la comunità dei discepoli affinché non dimentichi le parole di Gesù.
L’opera dello Spirito è proprio quella di evitare che la comunità diventi mondana, che la chiesa diventi fine a se stessa, si metta al centro del mondo; ma lo Spirito è donato alla chiesa perché non si rifugi nemmeno nella spiritualizzazione del messaggio, ma sia capace di rispondere alle sfide della storia.
Allora anche noi oggi invochiamo il dono dello Spirito perché, come dice Gesù, «Quando verrà lui, lo Spirito della verità vi guiderà a tutta la verità».
Nel testo greco – e non è un particolare da poco – non c’è il complemento di moto a luogo, come a dire che lo Spirito ci conduce verso la verità, quasi a scoprire un qualche segreto esoterico, ma si tratta del complemento di stato in luogo: lo Spirito ci conduce dentro la verità. Questo vuol dire che lo Spirito non ci porta ad avere la verità in tasca, come se noi fossimo quelli che hanno sempre e comunque le idee chiare su Dio e le utilizzano come i pagani facevano con i loro idoli. Si tratta piuttosto di un continuo camminare per entrare e dimorare nella verità, ovvero di entrare in relazione con Dio, Gesù infatti afferma che la verità non è un’idea, un principio o un’astrazione, ma la verità è lui: «Io sono la via, la verità e la vita» (Gv 14,6).
E «tutta la verità» è «tutto il mistero di Gesù», tutta la sua vita, la sua missione, ed è per stare in questo senso di totalità che invochiamo il dono dello Spirito, perché noi siamo abituati a leggere la vita di Gesù a frammenti, per episodi, ricorrendo a citazioni, sottolineando alcuni particolari della sua missione, siamo abituati a mettere la lente d’ingrandimento su una parabola, un miracolo … Il dono dello Spirito Santo è perché non ci perdiamo nei particolari, ma camminiamo verso il Cristo totale, verso il Cristo completo, verso tutta la vita di Gesù, verso tutto il dono di Dio, non solo ma anche perché tutta la nostra vita sia in Cristo. Perché ogni aspetto della nostra esperienza sia illuminato, guidato dal Vangelo di Gesù.
È l’esperienza che Paolo, ci racconta nella prima lettura, perché dopo aver incontrato Gesù lungo tutta la sua vita e il suo impegno per il vangelo, dovrà rispondere a due domande fondamentali: «Chi sei tu Signore?» e l’altra: «Che devo fare io?».
Anche noi per rispondere a queste due domande abbiamo bisogno dello Spirito e tra i tanti aspetti che potremmo approfondire, cogliamo quello che ci suggerisce la coincidenza della celebrazione domenicale con quella del Primo maggio ed è il tema quanto mai urgente del lavoro.
In che senso il dono dello Spirito che ci conduce alla verità totale di Gesù illumina un aspetto così quotidiano e concreto come quello del lavoro? Non stiamo a riandare a ciò che ci insegna in proposito la dottrina sociale della Chiesa, ma ci basti raccogliere alcune provocazioni che ci vengono dalla situazione attuale e quotidiana.
Certo oggi non viviamo più il contesto di fine ‘800, quando i lavoratori praticamente senza diritti, lavoravano anche 16 ore al giorno, in pessime condizioni e con un tasso di incidenti mortali impressionante. Il primo maggio venne scelto come data per ricordare uno sciopero di lavoratori di una fabbrica di macchine agricole a Chicago che era stato represso nel sangue[1].
L’iniziativa superò i confini nazionali e divenne il simbolo delle rivendicazioni degli operai che in quegli anni lottavano per avere diritti e condizioni di lavoro migliori. Così, nonostante la risposta repressiva di molti governi, il 1° maggio del 1890 registrò un’altissima adesione. Nel nostro paese, sotto il fascismo nel 1923 questa festa venne abolita per tornare dopo la liberazione, nel 1947, come festa nazionale, e così in moltissimi paesi del mondo.
È importante per noi ricordare queste cose, perché oggi sia pure con le conquiste e i riconoscimenti dei diritti dei lavoratori, è troppo frequente che ai giovani che cercano lavoro venga detto: «Se ti va bene sono 500/600 euro al mese per dieci ore di lavoro, se non ti piace vattene tanto c’è la coda, c’è la fila fuori di gente che cerca lavoro». Per cui uno che ha la necessità e l’esigenza di uno stipendio è costretto ad accettare e a subire condizioni che di fatto sono di sfruttamento.
Ma cosa fa un giovane che non lavora? Dove finisce? Nelle dipendenze, nel gioco, nelle malattie psicologiche. E non sempre si pubblicano i dati dei suicidi giovanili. Questo è il dramma dei nuovi esclusi del nostro tempo che vengono privati della loro dignità. La giustizia umana chiede l’accesso al lavoro per tutti. Penso anche ai giovani per i quali sposarsi o avere figli è un problema, perché non hanno un impiego sufficientemente stabile o non hanno la casa.
Per non pensare al lavoro del personale domestico, delle badanti… Quanti uomini e donne non sono trattati con giustizia, con equità e vengono sfruttati?
Viviamo in un tempo in cui il lavoro non è proprio sempre al servizio della dignità della persona. Dobbiamo formare, educare ad un nuovo umanesimo del lavoro, dove l’uomo, e non il profitto, sia al centro; dove l’economia serva l’uomo e non si serva dell’uomo.
Ma aggiungerei che oggi, nel mondo del lavoro – e non solo – è urgente educare a percorrere la strada, luminosa e impegnativa, dell’onestà, della rettitudine, fuggendo le scorciatoie dei favoritismi e delle raccomandazioni che sono il terreno fertile per la corruzione. Ci sono sempre queste tentazioni, piccole o grandi, ma si tratta di «compravendite morali», indegne dell’uomo: vanno respinte, abituando il cuore a rimanere libero. Altrimenti, ingenerano una mentalità falsa e nociva, quella dell’illegalità, che porta alla corruzione della persona e della società. L’illegalità è come una piovra che non si vede: sta nascosta, sommersa, ma con i suoi tentacoli afferra e avvelena, inquinando e facendo tanto male.
Ecco perché è importante per noi raccogliere l’invito di Gesù e invocare il dono dello Spirito perché ci doni di trovare forme, metodi, atteggiamenti e strumenti, per combattere la “cultura dello scarto”, come ripetutamente la chiama papa Francesco, la “cultura dello scarto” coltivata dai poteri che reggono le politiche economico-finanziarie del mondo globalizzato, dove al centro c’è il dio denaro.
Il dono dello Spirito di verità ci aiuti a tenere viva la Parola di Gesù e a saper rispondere con la nostra vita, come ha fatto Paolo, alle due domande che sono l’essenza della vita spirituale: Chi sei tu Signore? e Cosa devo fare io? e che impediscono al cristianesimo la deriva mondana e spiritualista.
(At 21, 40-22,22; Eb 7, 17-26; Gv 16, 12-22)
[1] Il primo maggio come festa dei lavoratori nasce a Parigi il 20 luglio del lontano 1889 durante il congresso della Seconda Internazionale, che in quei giorni era riunito nella capitale francese. La scelta della data non fu certo casuale: si optò per il 1° maggio perché tre anni prima, nel 1886 Il 1° maggio 1886 fu indetto uno sciopero generale in tutti gli Stati Uniti per ridurre la giornata lavorativa a 8 ore. La protesta durò 3 giorni e culminò, il 4 maggio, col massacro di Haymarket: una vera e propria battaglia in cui morirono 11 persone.