IV DI QUARESIMA o Domenica del Cieco - Gv 9, 1-38b
E noi dove siamo in questo momento della nostra vita? Stiamo presso la sorgente o stiamo assetati accanto a un qualche tipo di pozzo?
Potrebbe essere questa l’immagine che condensa la pagina di Giovanni: il pozzo e la sorgente.
Perché la prossimità di Gesù a una donna con la quale non doveva nemmeno parlare – un giudeo del suo tempo sarebbe morto di sete piuttosto che chiedere a una donna di Samaria un bicchiere d’acqua! – è quella propria di chi entra nel cuore delle persone, di chi non si ferma alle appartenenze, alle etichette, alle demarcazioni di spazi che poniamo tra noi e gli altri, non si arresta davanti a quello che uno vuol far vedere… Non si arresta davanti a queste cose, perché anche Gesù ha una sete.
Quella del Cristo è una sete, come dice Giovanni, di portarci alla sorgente, di donarci qualcosa che ha solo lui, dopo che noi abbiamo camminato per anni e anni dissetandoci ai vari pozzi disseminati sui sentieri della vita.
Ma certo che abbiamo bisogno dei pozzi, abbiamo bisogno di attingere alle nostre storie, alle opere dell’umanità, alla letteratura, alla poesia, alla scienza, alla filosofia… così come abbiamo bisogno di scavare dentro di noi, perché il pozzo è anche un simbolo dell’analisi profonda e noi abbiamo tutti bisogno e necessità di fare un profondo lavoro di ripensamento e di ascolto delle nostre emozioni, dei nostri sentimenti e dei nostri pensieri, delle nostre biografie.
La questione è che poi appena arriviamo a gustare un poco di quell’acqua che abbiamo attinto, ci mettiamo a costruire muretti di recinzione, diciamo che quel pozzo è di Giacobbe, quell’altro è di tizio… crediamo e mettiamo il logo su ogni cosa, appiccichiamo l’etichetta di identità, di proprietà… ognuno pensa di avere la verità, di essere titolare di un pensiero più autorevole dell’altro.
Lo dice la storia della filosofia, della letteratura, del pensiero umano: appena uno dopo aver lavorato duro arriva a gustare di un’acqua, ovvero di un senso, ne diventa padrone, proprietario, si sente in diritto di recintarla. E così anche nella storia delle chiese.
La Samaritana non è da meno, anch’essa viveva dentro questa gabbia ideologica e se alla gabbia ideologica aggiungiamo un poco di religione, di nazionalismo e di pregiudizio storico, comprendiamo bene come ella ogni giorno andasse ad attingere a quel pozzo lì, alla ricerca comunque di una conferma di quello che già sapeva e viveva.
Quello che sorprende e affascina in tutta la sua bellezza nel modo e nel tratto è che lo stesso Gesù si presenta all’inizio al pozzo come un giudeo assetato e finisce poi per rivelarsi una sorgente inedita.
Eppure, come dicevo prima, un giudeo del tempo sarebbe morto di sete piuttosto che chiedere un bicchiere d’acqua a una donna, per di più samaritana. Secondo i rabbini Dio aveva parlato con Abramo e poi aveva parlato anche con Sara (Gen 18,15), ma poi quando ella negò di aver riso della promessa di Dio, l’Eterno non rivolse più la parola né a lei né ad altre donne. Per questo i discepoli di ritorno dalla spesa, si meravigliavano che egli parlasse con una donna (v.27)!
Inoltre è adultera, conduce una vita immorale, contraria alla legge: conviveva con un uomo, senza che fosse suo marito. Aveva un amante, non uno sposo secondo la legge, insomma proprio non era fedele ai comandamenti così come ce li ha annunciati il libro dell’Esodo.
Infine era una donna la più sbagliata che Gesù potesse incontrare perché era una samaritana. I samaritani erano discendenti di quelle popolazioni assire che erano subentrate agli abitanti in seguito alla deportazione delle tribù d’Israele e che finirono per adottare le pratiche religiose ebraiche. Al punto i samaritani credevano che Adamo fosse stato plasmato dalla polvere del Garizim; che l’arca di Noè fosse approdata lì e non sull’Ararat; lì e non sul Sinai che Mosè ricevette le tavole della Legge… per questo i Shamarin, parola ebraica che significa “i custodi”, consideravano il tempio ebraico di Gerusalemme un’empia innovazione di Davide, figura loro invisa, al punto che ancora oggi a nessun samaritano è mai dato il nome di Davide.
Al tempo di Gesù, i rapporti erano al minimo storico, perché nel 9 d.C. durante una Pasqua, una banda di Samaritani di notte profanarono il tempio di Gerusalemme, spargendo ossa umane nei cortili e impedendo così di celebrare la festa, avendo reso impuro il luogo sacro per eccellenza. Da allora ai samaritani fu proibito per sempre l’accesso al tempio. Considerati nemici, per i rabbini i samaritani non hanno comandamenti, neppure i resti di un comandamento e perciò sono sospetti e degeneri. Al punto che nella Mishna si afferma che le samaritane sono mestruate fin dalla nascita, e quindi impure!
Insomma, con gente così non si ragiona. Infatti Giovani constata laconicamente che i Giudei non hanno rapporti con i samaritani. Non dice che non vanno d’accordo, che litigano, che hanno delle vertenze… non hanno proprio alcun tipo di rapporto. Se gli ebrei avessero potuto avrebbero costruito un muro, come quello che costruiscono ora a Gerusalemme per separarsi dai palestinesi.
Insomma, Gesù aveva tutti gli elementi per rimproverarla, per farla sentire in colpa. Nella nostra generazione i genitori non usavano fare complimenti ai figli. Prevaleva su tutto la cultura del rimprovero e del lamento, uno era sempre in debito. Se portavi a casa una buona pagella, quello che ti potevi aspettare era un laconico: hai fatto il tuo dovere.
Gesù non è venuto per fare il moralista, sa bene che quella donna non è sbagliata, è sbagliato il suo modo di rispondere alla sete che ha in cuore. E allora fa suo questo desiderio e dà voce alla sete della donna con le parole: Se tu conoscessi il dono di Dio! E uno che ascolta queste parole si fa delle domande, si mette a pensare quale sia questo dono di Dio cui si possa attingere gratuitamente.
Perché sempre di acqua si tratta, ovvero di senso, di gusto della vita, di pienezza. Eppure non basta quella che attingi ai vari pozzi, estingui la sete alla sorgente dove l’acqua sgorga generosa e puoi attingere con una mano.
Occupando il posto al pozzo, Gesù si propone come sorgente. La donna conosce il dono di Giacobbe che è il pozzo, dove per attingere acqua deve avere braccia robuste, vale a dire che nella religione nulla è gratuito, tutto ha un prezzo e anche l’amore del Signore va meritato.
Gesù offre alla samaritana la sua acqua, quella della sorgente di Dio la cui acqua è gratuita. L’acqua è immagine dell’amore gratuito del Padre. La fede in Gesù è accogliere la grazia, la sovrana disponibilità dell’amore di Dio.
Quando bevi di quest’acqua viva, fresca, zampillante che è il Vangelo di Gesù, succede che non la puoi tenere per te, come è accaduto alla donna samaritana: lei che era tutta ripiegata sulle sue questioni sentimentali, ora diventa discepola, anzi apostola.
La stessa cosa era successa a Pietro e Giacomo, ad Andrea e a Giovanni, quando sulle rive del lago avevano risposto a Gesù abbandonando le barche e le reti per seguirlo, ora lei, abbandonata la brocca al pozzo, la dimentica e corre in città a raccontare di questa sorgente. D’altronde non ha più bisogno della brocca perché ormai in lei zampilla acqua viva.
E allora la donna corre ad annunciare non per impone alla sua gente un dogma, per proclamare una verità espressa in termini categorici, ma per raccontare il suo incontro con Gesù. Porta la sua esperienza, la sua storia, la sua biografia e l’incontro con la sorgente.
Dall’ascolto di Gesù è nata la fede della samaritana, dall’ascolto della samaritana nasce la fede della sua gente. Il vangelo era iniziato con un dialogo a due e si conclude con un’intera città e un popolo che credono. Chi mai, viste le premesse, avrebbe scommesso potesse realizzarsi una cosa del genere?
Abbiamo dimenticato il mistero in cui siamo immersi, scambiando le misure che prendiamo alle cose, con le cose stesse. Non è la “crescita” la nostra salvezza, la nostra soddisfazione. La nostra salvezza è l’incontro con l’altro, con il diverso, con lo scismatico, con l’immorale, con il peccatore, con chi riteniamo sia distante da noi…
Se riuscissimo a imparare da Gesù la capacità di incontrarci, di uscire da noi stessi per unirci agli altri, magari si tratta di sederci a un qualche pozzo, di “perdere tempo” ad ascoltare, ma quanto ci farebbe bene. Il vangelo della Samaritana ci incoraggia a correre sempre il rischio dell’incontro con il volto dell’altro, con la sua presenza, col suo dolore e la sua sete, perché è anche la nostra sete.
Navighiamo in un mare di merci e intorno a noi è tutto un panorama di navi incagliate: le nazioni, gli individui, le idee… in uno scenario del genere, l’unica cosa che rimane è attingere alla sorgente che ci può permettere di navigare nel mare delle merci e nutrire la nostra anima.
Come scrive papa Francesco: L’autentica fede nel Figlio di Dio fatto carne è inseparabile dal dono di sé, dall’appartenenza alla comunità, dal servizio, dalla riconciliazione con la carne degli altri. Il Figlio di Dio ci ha invitato alla rivoluzione della tenerezza (EvG 87).
(Es 20,2-24; Gv 4,5-42)