II DOPO IL MARTIRIO DI S. GIOVANNI IL PRECURSORE - Gv 5, 37-46


Veniamo da una settimana che rimarrà segnata nella storia dalla fotografia di Aylan, il bambino siriano di tre anni riverso sulla battigia di Bodrum, morto annegato insieme al fratellino più grande e alla mamma. Quella fotografia, come era già accaduto per la foto della bambina vietnamita con la pelle bruciata dal napalm o al bambino ebreo con le braccia alzate nel ghetto di Varsavia, ci indigna, ci commuove, ci fa anche piangere pensando ai loro tragici ultimi momenti, pensando al loro papà sopravvissuto e schiacciato dal dolore, pensando a ciò di cui siamo capaci.

Non è stato difficile pensare che quel piccolo di 3 anni poteva essere nostro figlio o nostro nipote. Ma non è una possibilità, non è un’ipotesi, è una realtà: abbiamo fratelli e sorelle piccoli e grandi tra i siriani, gli eritrei, i somali… se crediamo nella dichiarazione dei diritti universali, se crediamo, come dice la lettera agli Ebrei (3, 1-6), che colui che ha costruito tutto è Dio, allora c’è una comune dignità che ci rende fratelli e sorelle in umanità.

Non è questa la fatica della fede? Non separare Dio e l’uomo perché, come dice Giovanni nella sua prima lettera, non puoi dire di amare Dio che non vedi, se non ami l’uomo che vedi!

Giovanni ha imparato quello che Gesù dice nel vangelo di oggi (Gv 5, 37-47) rimproverando ai credenti del suo tempo che lo criticavano perché aveva guarito un uomo paralizzato da 38 anni di sabato… «Non avete in voi l’amore di Dio» (v. 41)! Costoro accusavano Gesù proprio in nome della legge di Dio e, siamo davvero al paradosso, perché a loro non importa nulla che un uomo sia  stato guarito dopo tanti anni di sofferenza, questa cosa proprio non sembra sfiorarli, sono talmente fanatici della loro idea di Dio che dietro al pretesto del sabato dicono: Guarda che però non poteva portare la barella di sabato! (v.10).

Ma come, quest’uomo dopo 38 anni è stato guarito e voi vi preoccupate della barella?  Succede che in nome di una vostra idea di Dio si possa andare contro l’uomo? Si può perversamente arrivare a pensare che sia meglio per un uomo stare rattrappito nella sua paralisi piuttosto che portarsi in spalla la sua barella di sabato?

È un’amara costatazione quella di Gesù, ma è vera ancora oggi: Voi potete andare al tempio anche tre volte al giorno e fare tutte le devozioni che volete… ma se agite così, dice il Signore, Non avete in voi l’amore di Dio.

Ci sembra assurdo che delle persone colte, intelligenti, capaci, come i farisei non fossero disposte a cambiare nemmeno davanti a un fatto evidente!

Ma, perché, pensate che forse potrà bastare la fotografia del piccolo Aylan a cambiare qualcosa, a smuovere le cancellerie europee? La forza del sentimento potrà smuovere i burocrati ingessati nelle loro livree da funzionari del potere? Ma potere non è (solo) un sostantivo, è un verbo che noi possiamo coniugare.

Possiamo, possiamo cambiare.

I problemi e le sfide della storia, possono essere – sempre di potere si tratta – occasione per irrigidirci, per spaventarci, per reagire, per arrabbiarci… ma possono essere anche l’occasione per abbandonare la superficialità e la frivolezza e considerare la vita da un’altra prospettiva, rientrare in noi stessi per fare una cosa importante, come dice Isaia (63, 7-17): Voglio ricordare i benefici del Signore… quanto egli ha fatto per noi! (v.7). Nei momenti più difficili prima ancora di agire e soprattutto di reagire, occorre rientrare in se stessi e ricordare – riportare al cuore – quello che il Signore ci ha fatto sperimentare nella nostra storia di vita.

Di fronte all’ingiustizia denunciata da un bimbo, purtroppo uno dei tanti morti in mare, dobbiamo ricordare i doni di Dio, perché dimentichiamo facilmente questi doni, pensiamo di esserci conquistati tutto da noi e diventiamo capaci di indifferenza e di pregiudizio.

Dimentichiamo che la terra è dono di Dio, la vita è dono di Dio, l’amore è dono di Dio… se tutto è dono suo, perché pensiamo che condividerli possa impoverirci? Temo che se non ricordiamo la storia ci potremmo trovare dalla mattina alla sera razzisti, nazisti e quant’altro. Non è necessario essere cattivi, basta essere smemorati.

Ma c’è una seconda cosa che Isaia chiede alla sua gente di ricordare: Allora si ricordarono dei giorni antichi, di Mosè suo servo… (v.11). Ricordare Mosè per Israele significa da sempre e per sempre, ricordare che Dio libera, Dio salva, ma per farlo ha bisogno di qualcuno che lo aiuti. Il ricordo di Mosè per noi oggi è il ricordo concreto storico di persone che si sono messe in gioco, si sono fidate di Dio per amore dell’uomo.

Perché dimenticare significa perdere traccia del nostro passato, non portarne nessun segno addosso, non sentire il peso del lavoro e della fatica dei nostri avi, dei nostri nonni. Dimenticare significa perdere la nostra storia e guardarci in uno specchio per non vedere nulla dietro la nostra immagine, se non un cupo e profondo nero che assorbe ogni altra cosa che non sia quella del momento! Siamo diventati così? Senza profondità? Senza storia?

Noi non saremmo oggi quello che siamo, se qualcuno prima di noi non si  fosse messo in gioco per la libertà, la dignità della persona umana, la democrazia e la partecipazione. Se noi oggi godiamo della condizione di vita in cui siamo, è grazie all’impegno, alle fatiche e addirittura al dono della propria vita  di qualcuno che ha creduto ed è stato capace di pagarne il prezzo.

Saremmo noi capaci di tanto? È questione di «potere», è ancora il verbo e non il sostantivo che ci riguarda. Possiamo cambiare. La morte del piccolo Aylan, come quella della sua mamma e del fratellino e la morte di tanti piccoli giusti hanno il potere di cambiare i cuori ottusi e induriti dei nostri burocrati e dei nostri politici. Abbiamo bisogno di persone che ci governano ma che siano all’altezza della storia. Abbiamo fatto un’Europa di moneta prima ancora di un’Europa di valori condivisi! Abbiamo la moneta comune, ma non abbiamo uno straccio di carta costituzionale che ci permetta di salvaguardare i valori fondamentali.

Ma anche noi cristiani abbiamo delle responsabilità, perché troppo miopi, come spesso è accaduto nella storia, eravamo come ossessionati dal voler inserire nel testo le radici cristiane, volevamo a tutti i costi mettere le radici cristiane nella Costituzione europea… e oggi non abbiamo né radici, né Costituzione.

Però i frutti sono lì da vedere: tolleriamo che i bambini affoghino con le loro madri. Rinchiudiamo la gente dopo averla marchiata come si fa con i vitelli destinati al macello. Se questi sono i frutti… allora dobbiamo domandarci: di quali radici stiamo parlando?

In nome della sicurezza, in nome del denaro, in nome della nostra stupidità, lasciamo che siano i manichini della demagogia a tracciare il volto del cristianesimo?

C’è ancora una cosa in nostro potere, sempre inteso come verbo, e ce la suggerisce sempre Isaia, perché quando come lui anche noi avvertiamo di fronte alle responsabilità della storia tutta la nostra pochezza, possiamo pregare.

Dal v.15 il profeta rivolge una struggente preghiera al Signore: Guarda dal cielo e osserva! … Non forzarti all’insensibilità, perché tu sei nostro padre… Perché Signore ci lasci vagare lontano dalle tue vie e lasci indurire il nostro cuore, così che non ti tema?

Isaia non prega il Signore perché cambi le cose del mondo, ma chiede all’Eterno di non lasciarci vagare lontano dalla sua via, dalla sua parola, dai suoi precetti… Isaia prega il Signore perché non lasci indurire i nostri cuori. Allora, se pregare è questo, anche noi possiamo rivolgere una preghiera al Signore.

Eterno Padre,

nessun figlio ti è indifferente

e tu ami tutti coloro che, cristiani, musulmani, indù, buddisti…

vivono sulla terra nella via della giustizia.

Perché non tocchi i nostri cuori

e ci rendi capaci di costruire un’umanità senza confini,

senza barriere, un’umanità che sia come un grande villaggio

di persone libere e solidali?

Donaci un cuore grande

e capace di comprendere il dolore del mondo

Donaci un’intelligenza per inventare vie di dialogo

e di convivenza nella diversità

Donaci braccia e piedi per costruire ponti e non muri,

piazze d’incontro e non centri di reclusione.

Ritorna o Dio, nostro padre,

per amore di questa umanità

che sembra tradire la sua stessa identità.

Amen.

Tre sono le cose in nostro potere: possiamo ricordare i doni di Dio, possiamo ricordare le persone grazie alle quali siamo oggi quello che siamo; e infine, possiamo pregare il Signore che ci cambi il cuore.

Declinate queste tre modalità del verbo potere, allora forse potremo anche cambiare l’andamento delle cose.