V DOPO IL MARTIRIO DI S. GIOVANNI IL PRECURSORE - Lc 6, 27-38
Già il solo fatto di poter scegliere una sola riga, una frase delle parole di Gesù per cercare di impegnarsi a viverla e tenerla bene a mente in questa settimana, potrebbe apparirci sufficiente e di per sé assai impegnativo!
Un frammento, basterebbe un frammento capace di offrirci un’apertura su tutto il Vangelo. Quasi una scheggia che fa esplodere tutta la paradossalità cristiana. Una faccia del poliedro che condensa tutta la luminosità della superficie.
Ma non basta. Non basta più questo cristianesimo della volontà. Dobbiamo chiederci se questa era davvero l’intenzione di Gesù. E siccome non possiamo entrare nella sua mente ponendogli direttamente la domanda, facciamo la fatica di andare a scandagliare cosa potevano significare quelle sue parole in quel momento storico, in quel contesto culturale.
Prendiamo il primo esempio pratico, concreto indicato da Gesù con quelle parole diventate ormai proverbiali: A chi ti percuote la guancia, offri anche l’altra. Forse ci sono più familiari nella versione di Matteo: Se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu porgigli anche l’altra (5,38). Parole proverbiali sicuramente, ma anche impraticabili, impossibili da attuare… ma che potrebbero essere intese anche come fondamento della viltà, della rassegnazione al male e alla violenza, come se Gesù volesse dire: lasciate che i violenti facciano il male senza opporvi a loro!
Il testo di Matteo è più preciso nell’indicare la guancia destra. Perché? Proviamo a vivere la scena in diretta: in un mondo di destri, una sberla data con la mano destra andrebbe a colpire la guancia sinistra dell’offeso.
Se invece tiro la sberla con il dorso della mano, avviene quello che dice Gesù nel vangelo di Matteo: colpisco con un manrovescio la guancia destra e questa è un’umiliazione, un insulto più che una rissa! L’intenzione principale del manrovescio è quella di umiliare, di rendere ridicolo e inferiore l’altro.
Infatti i padroni colpivano in questo modo gli schiavi; i mariti le moglie e i genitori i figli; i romani i giudei! Come potevano reagire costoro? Abbassando la testa e zittire.
Gesù si rivolge proprio a costoro, tra i suoi uditori c’erano uomini e donne che erano soggetti a queste umiliazioni, costretti e reprimere la loro rabbia nei confronti di un trattamento disumanizzante riservato loro dal sistema gerarchico di classe, di razza, di genere, di status sociale.
Che senso può avere per questa gente già così umiliata l’invito di Gesù a porgere l’altra guancia?
Porgere l’altra guancia mette l’offensore in grave difficoltà: come può colpire ancora la guancia sinistra? Non certo con un secondo manrovescio. Il messaggio è potente: gli viene sottratto il potere di disumanizzare l’altro.
Chi porge la guancia sinistra dice in realtà: Prova ancora, ma non puoi togliermi la mia dignità; non ti riconosco il potere di umiliarmi. Per quanto tu possa ritenerti superiore per posizione sociale o altro… tu non puoi cambiare l’uomo o la donna che sono, ma io posso cambiare il tuo modo di agire e di pensare. Porgere l’altra guancia è una provocazione che interroga, spiazza, scuote il prepotente perché comprenda e si apra a un’altra possibilità di relazionarsi.
I contemporanei di Gesù ricordavano un episodio che si era verificato a Gerusalemme qualche anno prima, dopo l’insediamento di Pilato come procuratore della Giudea (26 d.C.). Pilato nottetempo aveva fatto introdurre in Gerusalemme i busti dell’imperatore che adornavano le insegne militari (Giuseppe Flavio) e i Giudei ritennero questa una profanazione della città santa.
Una folla di fedeli invase letteralmente il quartier generale di Pilato a Cesarea per chiedergli di ritirare le insegne. Al suo rifiuto essi si prostrarono a terra e rimasero così per cinque giorni e cinque notti. Il sesto giorno, con la promessa che avrebbe dato loro una risposta, Pilato li riunì nello stadio, ma li fece circondare dai soldati… con le spade sguainate al che i Giudei si gettarono tutti a terra e scoprirono la loro nuca proclamando di essere pronti a morire piuttosto che cedere.
Il risultato fu che Pilato fece rimuovere le insegne dal tempio.
C’è un potere che è dato dalla violenza e che pare imporsi, ed è il potere come sostantivo, il potere di chi prevarica e domina. Ma c’è un potere in ciascuno di noi che è la possibilità di trasformare la violenza, è il potere come verbo, è la potenzialità delle nostre capacità morali, spirituali.
Osserviamo anche il secondo esempio citato da Gesù: A chi ti strappa il mantello, non rifiutare neanche la tunica! Matteo dice addirittura: A chi vuole portarti in tribunale per portarti via il mantello… la situazione è quella di chi sta pignorando il mantello, vale a dire la veste esterna di un povero ovviamente. Perché solo i più poveri potevano avere soltanto la veste data in pegno per un prestito.
Ai tempi di Gesù si indossava una veste esterna, un mantello di lana e una sottoveste, una tunica in lino.
È chiaro che la persona cui si fa riferimento e che Gesù ha davanti agli occhi è uno che si è indebitato. Gli imperatori tassavano così pesantemente i nobili per finanziare le loro guerre, che i ricchi investivano in immobili per mettere al sicuro le loro sostanze. La terra andava così concentrandosi in poche mani, in latifondi che venivano gestiti da amministratori e lavorati da fittavoli, braccianti a giornata… La situazione era così grave che uno dei primi gesti compiuti dai rivoltosi giudei del 66 d.C. fu quello di bruciare il registro dei debiti (Giuseppe Flavio)!
Gesù si rivolge dunque a gente che ha sulle spalle una montagna di debiti… ma anche in questo caso il paradosso suggerito dal vangelo è di dar via anche la tunica! Il che significava uscire dal tribunale nudi. Immaginate le risate suscitate dalle parole di Gesù.
Però in questa condizione di paradossalità, la situazione si ribalta a vantaggio del debitore. Il debitore che non aveva nessuna possibilità di vincere la causa, denudandosi provoca: Ora hai tutto, prenditi tutto!
Immaginiamo lo sconcerto e l’imbarazzo in una cultura dove la nudità era un tabù, non solo ma il vestito segnava una differenziazione sociale, economica, di potere. Senza vestiti crollano i confini su cui la società si costruisce e si perpetua, paradossalmente si compie un gesto profetico che fa ricordare Isaia che aveva camminato nudo e scalzo per tre anni come segno di denuncia (20,1-6), così il debitore fa della sua nudità la protesta profetica contro un sistema che l’ha ridotto in quel modo.
Gesù ci dà una chiave che smaschera e ridicolizza un sistema disumano che riduce l’essere umano a spugna da spremere. Una persona che si denuda e che esce dal tribunale così espone la nudità del sistema sociale e economico!
Forse alla luce di questa lettura l’applicazione della parola di Gesù ci pare più complessa e meno ingenua.
Il Signore tra la via della violenza e quella della rassegnazione traccia per noi, con il suo insegnamento e in definitiva con la sua vita, una terza via che non deriva dallo sforzo della volontà, ma dal fatto che attingiamo alla misericordia del Padre. Siate misericordiosi come il Padre. Si supera la misura della reciprocità, non ci si appiattisce con la passività, ma il discepolo attinge dalla forza di Dio che è la sua capacità di perdonare. La forza di Dio è la sua misericordia, per questo il mondo va avanti.
Anche l’invito ad amare i nemici lo possiamo intendere così, non come uno sforzo sovrumano, se mai fosse possibile, ma come un dono. Sì il nemico è un dono perché ci è data la possibilità di rompere il cerchio della violenza e della passività introducendo una terza via, appunto quella evangelica che trasforma dal di dentro la cogente forza della violenza e dell’odio, e poter così combattere il male senza rifletterlo, affrontare l’oppressore senza imitarlo, neutralizzare il nemico senza distruggerlo!
Il nemico non è soltanto un ostacolo che deve essere superato sulla strada che porta a Dio. Al contrario potrebbe accadere che sia egli stesso la strada. Questa cosa è possibile: ci sono stati nella storia uomini e donne che hanno vissuto così, secondo la parola di Gesù: Tolstoj, Gandhi, Luther King, Dorothy Day… e che ci stanno ad indicare un modo nuovo possibile per combattere il male praticando la non violenza come filosofia e stile di vita, come strumento di cambiamento sociale.
Così di fronte alla violenza verbale che oggi dilaga sui social con una pervasività impressionante, possiamo portare la riflessione critica e intelligente di chi spiazza, scuote, interroga e va oltre la rissosità, la cattiveria e la volgarità di giudizi tanto facili quanto superficiali.
Che il Signore ci doni di vincere sempre il male con il bene.
(Lc 6,27-38)