III DOPO PENTECOSTE - Gv 3, 16-21
Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Queste parole di Gesù ci indicano proprio una bella prospettiva da cui guardare la vita, il mondo, il cosmo. Il mondo è amato da Dio, il cosmo è amato da Dio. È una bella prospettiva anzitutto perché è un dono suo, il mondo, il cosmo sono un dono di Dio, un dono che Dio ama e quando noi amiamo qualcosa facciamo il possibile perché abbia a riuscire bene, abbia a crescere, a svilupparsi e a realizzare la sua vocazione.
Sono parole che vanno oltre un immaginario che ci fa pensare a una condizione della creazione e del cosmo per così dire statica: le cose sono così, sono fatte in questo modo, funzionano in questa maniera… tutto bello e tutto buono.
In realtà che Dio abbia amato tanto amato il mondo da mandare suo Figlio e che lo continui ad amare… ci fa uscire dall’idea di una creazione fissata una volta per tutte, governata da eterne leggi immutabili, da un cosmo statico per comprendere che l’universo è in continuo movimento, in evoluzione, come diceva il grande scienziato e prete belga, Georges Lemaître (1894-1966).
Lemaître già nel secolo scorso aveva capito che tutte le cose che vediamo intorno a noi sono emerse da una grande esplosione di alcuni miliardi di anni fa, come se l’Universo si fosse espanso a partire da un punto iniziale, che egli chiamò atomo primigenio e che noi oggi chiamiamo Big Bang.
Recentemente la Specola Vaticana gli ha dedicato un convegno, proprio perché Lemaître fu il primo a capire che ad esempio lo spostamento verso il rosso della luce delle stelle era la prova dell’espansione dell’universo, regalandoci così questa affascinante visione in cui l’universo intero evolve, l’evoluzione sulla terra può andare mano nella mano con l’evoluzione cosmica e l’evoluzione sociale e forse può portare a un futuro migliore e più luminoso per tutta l’umanità. Prima di morire pronunciò una delle sue più celebri frasi: «L’espansione dell’universo è provata soprattutto dalla costante espansione delle capacità umane».
La vita umana è il risultato di un viaggio biologico partito da una singola cellula comparsa 3.800 milioni di anni fa, un viaggio che continua…
600 milioni di anni fa la vita nelle sue forme animali e vegetali lasciò il mare e iniziò a stabilirsi sulle rive dei fiumi e sugli estuari.
Da 180 fino a circa 65 milioni di anni fa i rettili furono i signori del pianeta, i dinosauri dominarono fino a quando la collisione di un grande meteorite con la terra alterò radicalmente il clima, modificando le forme di vita, scomparvero i dinosauri e iniziò il predominio dei mammiferi.
Da questi animali dal sangue caldo emerse la linea dei primati, 4-5 milioni di anni fa. Il cervello di queste creature si ingrandì, la mandibola si ritrasse, scese la laringe, si sviluppò la capacità di parlare…
Come è compatibile questa visione con le pagine della Genesi quando dicono che l’uomo viene dall’adamah, dalla terra, dall’humus? Se facciamo dei racconti di Genesi una lettura letterale, risultano incompatibili con la consapevolezza scientifica che è propria del nostro tempo.
Gli autori della Genesi ci narrano un’esperienza empirica: la decomposizione riduce l’organismo a un pugno di polvere. La stessa esperienza oggi la possiamo guardare con occhi più precisi, vale a dire sappiamo che il nostro corpo è fatto di polvere di stelle, letteralmente senza nessuna concessione alla retorica o alla metafora. I nostri atomi si sono formati dall’esplosione delle supernove.
Non solo, ma tutti gli esseri viventi, dai primi batteri comparsi sulla terra passando per i dinosauri e arrivando a noi, presentano gli stessi elementi di base che costituiscono la vita, ovvero gli stessi venti aminoacidi e i quattro elementi chimici (adenina, guanina, citosina, timina) che combinandosi rendono possibile la biodiversità. Le molecole del sangue del corpo umano sono identiche a quelle della clorofilla delle piante verdi, tranne che per un atomo di ferro che sostituisce un atomo di magnesio.
Nulla di ciò che ha a vedere con la vita è statico. Non c’è mai stato nulla di statico riguardo alla vita e mai ci sarà. Siamo esseri umani incompleti, e se per un verso abbiamo bisogno di essere salvati dal peccato, d’altra parte abbiamo anche bisogno dello Spirito di Dio, del soffio dello Spirito per accogliere la vita nelle forme che sempre si vanno espandendo.
La preoccupazione della Genesi non era quella di dire come era fatto Adamo, allora ci avrebbe detto se era bello o brutto, ci avrebbe descritto il colore della sua pelle, invece non ci dice nemmeno quanti anni avesse[1]!
Racconta il midrash che Dio stesso quando volle creare l’uomo dalla polvere, decise di prendere un poco di polvere dai quattro angoli della terra. Perché se a un uomo dell’oriente fosse accaduto di morire a occidente o a un uomo dell’occidente di morire a oriente, la terra non potesse rifiutarsi di accogliere il morto e non lo rimandasse là da dove era venuto! Ovunque un uomo muoia e ovunque sia sepolto egli tornerà alla terra dalla quale ha avuto origine.
Non solo, ma la terra che l’Eterno raccolse era di diversi colori: rossa, nera, bianca e verde; rossa per il sangue, nera per le viscere, bianca per le ossa e le vene, verde per la pelle.
Questo per dire che la parola di Dio non vuole descrivere come è avvenuta la creazione, ma a partire dalla propria consapevolezza l’uomo cerca con gli strumenti che ha a disposizione di cogliere il disegno del Creatore, del Donatore.
Creare non significa produrre, le macchine producono, non creano. Creare significa esprimere la propria interiorità nella materia. Ed è ciò che fa l’artista: le sue creazioni sono il suo essere spirituale che prende forma nella materia.
Dio è la profondità spirituale di tutto ciò che esiste, è l’Amore assoluto che non abita in cielo, ma nel cuore di tutto ciò che esiste e porta costantemente tutte le cose a evolvere, spingendo gli esseri umani a essere più umani, a essere più amore.
Siamo nelle condizioni di Nicodemo, di lasciarci evangelizzare da Gesù per poter camminare verso la luce, verso la quale l’amore di Dio sospinge il mondo. Dio inteso come l’amore che anima, crea, fa sorgere, alimenta dall’interno del cosmo la vita.
Possiamo comprendere in questa chiave dinamica la prospettiva della Genesi per la quale dopo aver consegnato il giardino alla cura dell’uomo – e chi ha esperienza di giardinaggio sa cosa vuole dire, non sono fiori e frutti di plastica, ma realtà che divengono e che hanno bisogno appunto di cura – negli ultimi versetti della pagina di oggi si dice: Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare perché certamente dovrai morire… (vv.16-17).
A parte la questione che abbiamo trasformato l’albero della conoscenza del bene e del male nell’albero delle mele… che l’uomo mangi dell’albero della conoscenza del bene e del male esprime nel linguaggio mitico una concezione fortissima: l’uomo riceve in dono la creazione, così come uno abita un giardino, per cui vive se si immerge obbediente alla legge della vita. Non è l’uomo a decidere cosa è bene e cosa è male, ma non solo e non tanto in senso etico così come l’intendiamo noi, quanto piuttosto in senso esistenziale, quello proprio di chi obbedisce alle leggi della vita.
Obbedendo così l’uomo vive. In realtà che l’uomo fosse mortale era scritto fin dal v.7: Allora il Signore plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente.
Se l’uomo è fatto appunto dalla polvere del suolo, dall’adamah, era già scritto nel suo DNA che andasse incontro alla morte. Niente di nuovo. E infatti così accade.
Dobbiamo notare la sfumatura importante di cosa cambia quando Dio soffia nelle narici il suo alito, l’alito di vita… ovvero rende l’uomo un essere vivente. Che differenza c’è fra l’uomo e l’essere vivente? Ci parrebbe una riduzione dei termini, l’uomo ha una sua dignità che gli viene dal soffio di Dio e che lo fa vivere di quella vita. Ed è appunto quanto dice Gesù a Nicodemo: Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio, perché chi crede in lui abbia la vita eterna.
Ecco dove ci conduce l’amore di Dio, ecco dove ci porta la creazione di Dio, attraverso Gesù, ci porta ad accogliere quella vita che, con tutti i cambiamenti e le modificazioni che può subire nel corso degli anni e dei secoli, non finisce mai di palpitare, a ricevere in dono una vita che non muore mai.
(Gen 2, 4-17; Rm 5,12-17; Gv 3, 16-21)
[1] Quell’Adamo siamo noi, ciascuno di noi. L’uomo di ieri, di oggi e di domani. L’etimologia greca curiosamente fa del nome Adam un acronimo: A, Anatolé, cioè Oriente; D, Dusis, cioè Occidente; A, Arktos, cioè settentrione e M, Mesembria, cioè meridione.
Questo per dire che l’uomo di cui si parla è l’essere umano in qualsiasi parte della terra si trovi a nascere e a vivere.