III DOPO L’EPIFANIA - Mt 15, 32-38
Ascoltando il passo di Vangelo secondo Matteo, non ho potuto fare a meno di pensare a quanto abbiamo ascoltato nella settimana appena trascorsa nella quale è stato pubblicato il rapporto Oxfam che alla luce di alcuni indicatori economici, sociali, sanitari, culturali ha messo in evidenza di come la nostra umanità sia malata di disuguaglianze, malata cronica ormai di disuguaglianze crescenti che si sono aggravate per via della pandemia.
Ci basti sapere che nei primi due anni di pandemia i 10 uomini più ricchi del mondo hanno più che raddoppiato i loro patrimoni, passati da 700 a 1.500 miliardi di dollari, al ritmo di 1,3 miliardi di dollari al giorno. Nello stesso periodo 163 milioni di persone sono cadute in povertà a causa della pandemia[1].
Disuguaglianze che fanno percepire tutta la nostra impotenza. Ci sembra di stare nel deserto di cui parlava Matteo: intorno a noi poveri e poveri sempre più numerosi, dall’altra parte ricchi che diventano sempre più ricchi. Cosa possiamo fare?
La parola di Gesù risuona oggi in tutta la sua forza di denuncia e di profezia: ai discepoli che chiedono come fare, Gesù risponde chiedendo loro di mettere in discussione l’atteggiamento, anche per loro inconsapevole ormai, di chi pensa che le cose debbano sempre andare avanti così e si aspettano da lui un miracolo.
Il primo atteggiamento gentile del Cristo è di denunciare, di mettere in discussione l’esserci assuefatti a vivere in un’economia ingiusta, in un sistema iniquo.
Il primo scoglio da superare è credere che si possa vivere altrimenti. E saperci indignare per il fatto che non siamo riusciti a dare a tutti gli esseri umani le stesse opportunità e possibilità, non siamo riusciti a garantire a tutti il pane di ogni giorno, anche se lo ripetiamo nella nostra preghiera quotidianamente.
È vero, ormai non avvertiamo più l’inquietudine per un sistema economico ingiusto e ci siamo rassegnati al dolore del mondo, così che confidiamo solo nella generosità di alcuni che possano far cadere briciole dalle loro tavole sovrabbondanti. Il rapporto Oxfam calcola che per spendere le proprie fortune al ritmo di 1 milione di dollari al giorno ciascuno, questi 10 ultra-miliardari necessiterebbero di 414 anni di vita!
L’atteggiamento del Cristo scuote il modo di pensare dei discepoli, li costringe a non rassegnarsi all’andamento delle cose, l’indignazione non basta se non pone in essere parole e gesti come fa Gesù. Parole e gesti che sono profetici. Quanti pani avete? Sette? Ebbene distribuiteli, condivideteli…
La profezia sta nella condivisione: la condivisione rende giustizia, la condivisione ridistribuisce ciò che l’iniquità accumula. Prendi quello che hai e condividilo.
Condivisione, una parola desueta, non la insegniamo più nemmeno ai nostri figli. Eppure non v’è altra strada. Non c’è altra dottrina economica, non c’è ideologia sociale, occorre che diventiamo dei poeti sociali, come li ha chiamati papa Francesco. Nell’ottobre 2021, ai partecipanti dei movimenti popolari disse: Voi siete poeti sociali, in quanto avete la capacità e il coraggio di creare speranza laddove appaiono solo scarto ed esclusione. Poesia vuol dire creatività, e voi create speranza. Con le vostre mani sapete forgiare la dignità di ciascuno, quella delle famiglie e quella dell’intera società con la terra, la casa e il lavoro, la cura e la comunità.
Laddove abbondano scarto ed esclusione occorrono i poeti sociali. Gesù lo è stato per primo quel giorno di fronte alla fame di tanta gente. Secondo la logica in cui siamo immersi avrebbe potuto decidere che ognuno dei presenti si arrangiasse, così che chi aveva pane e pesci avrebbe mangiato e gli altri, pazienza.
Il poeta sociale inventa, per così dire, una cosa tanto semplice quanto difficilissima: prese i pani, disse il ringraziamento, li spezzò e si mise a darli ai discepoli e i discepoli alla folla. Sono i verbi dell’eucaristia, gli stessi che pronuncerà nell’ultima cena: prese il pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede. Questo fa il poeta sociale: trascorre tutta una vita a condividere, fino a condividere se stesso, dove liturgia e vita si confondono, si integrano.
Non dovrebbe più esserci un andare a messa che poco o nulla incide nella vita reale, se anche noi, ripetendo quegli stesi verbi in ogni eucaristia, imparassimo a diventare poeti sociali facendo della nostra vita un pane che si spezza, che si dona, ogni volta che condividiamo con chi non ne ha.
Sempre in quell’incontro papa Francesco però ha osato con voce profetica chiedere anche a ciascuno dei grandi poteri del mondo di imparare a condividere. E ha cominciato così il suo lungo elenco: Ai grandi laboratori, che liberalizzino i brevetti. Compiano un gesto di umanità e permettano che ogni Paese, ogni popolo, ogni essere umano, abbia accesso al vaccino. Ci sono Paesi in cui solo il tre, il quattro per cento degli abitanti è stato vaccinato.
Voglio chiedere, in nome di Dio, ai gruppi finanziari e agli organismi internazionali di credito di permettere ai Paesi poveri di garantire i bisogni primari della loro gente e di condonare quei debiti tante volte contratti contro gli interessi di quegli stessi popoli.
Voglio chiedere, in nome di Dio, alle grandi compagnie estrattive – minerarie, petrolifere –, forestali, immobiliari, agroalimentari, di smettere di distruggere i boschi, le aree umide e le montagne, di smettere d’inquinare i fiumi e i mari, di smettere d’intossicare i popoli e gli alimenti.
Voglio chiedere, in nome di Dio, alle grandi compagnie alimentari di smettere d’imporre strutture monopolistiche di produzione e distribuzione che gonfiano i prezzi e finiscono col tenersi il pane dell’affamato.
Voglio chiedere, in nome di Dio, ai fabbricanti e ai trafficanti di armi di cessare totalmente la loro attività, che fomenta la violenza e la guerra, spesso nel quadro di giochi geopolitici il cui costo sono milioni di vite e di spostamenti.
Voglio chiedere, in nome di Dio, ai giganti della tecnologia di smettere di sfruttare la fragilità umana, le vulnerabilità delle persone, per ottenere guadagni, senza considerare come aumentano i discorsi di odio, il grooming [adescamento di minori in internet], le fake news [notizie false], le teorie cospirative, la manipolazione politica.
Voglio chiedere, in nome di Dio, ai giganti delle telecomunicazioni di liberalizzare l’accesso ai contenuti educativi e l’interscambio con i maestri attraverso internet, affinché i bambini poveri possano ricevere un’educazione in contesti di quarantena.
Voglio chiedere, in nome di Dio, ai mezzi di comunicazione di porre fine alla logica della post-verità, alla disinformazione, alla diffamazione, alla calunnia e a quell’attrazione malata per lo scandalo e il torbido; che cerchino di contribuire alla fraternità umana e all’empatia con le persone più ferite.
Voglio chiedere, in nome di Dio, ai Paesi potenti di cessare le aggressioni, i blocchi e le sanzioni unilaterali contro qualsiasi Paese in qualsiasi parte della terra. No al neocolonialismo. I conflitti si devono risolvere in istanze multilaterali come le Nazioni Unite.
Questo sistema, con la sua logica implacabile del guadagno, sta sfuggendo a ogni controllo umano. È ora di frenare la locomotiva, una locomotiva fuori controllo che ci sta portando verso l’abisso. Siamo ancora in tempo.
Ai governi in generale, ai politici di tutti i partiti, voglio chiedere, insieme ai poveri della terra, di rappresentare i propri popoli e di lavorare per il bene comune. Voglio chiedere loro il coraggio di guardare ai propri popoli, di guardare negli occhi la gente, e il coraggio di sapere che il bene di un popolo è molto più di un consenso tra le parti (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 218).
Voglio chiedere anche a noi tutti, leader religiosi, di non usare mai il nome di Dio per fomentare guerre o colpi di Stato. Stiamo accanto ai popoli, ai lavoratori, agli umili e lottiamo insieme a loro affinché lo sviluppo umano integrale sia una realtà. Gettiamo ponti di amore perché la voce della periferia, con il suo pianto, ma anche con il suo canto e la sua gioia, non provochi paura ma empatia nel resto della società.
Che il partecipare all’Eucaristia faccia di noi dei poeti sociali.
(Mt 15,32-38)
[1] Solo per Jeff Bezos, il numero uno di Amazon, Oxfam calcola un “surplus patrimoniale” nei primi 21 mesi di pandemia di 81,5 miliardi di dollari, l’equivalente del costo stimato della vaccinazione (due dosi e booster) per l’intera popolazione mondiale.
In questa dinamica, secondo Oxfam, i monopoli detenuti da Pfizer, BioNTech e Moderna hanno permesso di realizzare utili per 1.000 dollari al secondo e creare 5 nuovi miliardari, ma meno dell’1% dei loro vaccini ha raggiunto le persone nei paesi a basso reddito.