I DI AVVENTO - Lc 21, 5-28
Credo che ciascuno di noi non possa fare a meno di accostare le parole di Gesù a quanto succede intorno a noi, all’ennesima follia omicida che ha insanguinato le strade di Parigi, come anche all’insensato accoltellamento di un ebreo per le strade della nostra città. Insomma ogni giorno, come già dice il Vangelo, il mondo è attraversato da «distruzione, guerre, rivoluzioni, terrore» e poi «terremoti, carestie e pestilenze»; «Persecuzioni, tradimenti, odio, uccisioni, omicidi, vendette, calamità»… E tutto questo, continua ancora Gesù, produce «angoscia, ansia e paura».
Sentimenti questi che ben descrivono i nostri stati d’animo e le nostre reazioni di fronte a una violenza e a un massacro che ci lasciano sgomenti. Non è qui il luogo di riflessioni di macro politica sul governo della situazione mondiale, sulle decisioni operate in medio oriente… riflessioni che pure sono necessarie e importanti e che devono vederci impegnati in una informazione più critica… nostro compito oggi è operare un discernimento attento e fedele alla realtà e radicato nella parola di Dio.
Noi dobbiamo fare come ha fatto Luca. L’evangelista che vive una situazione molto diversa da quella in cui Gesù ha pronunciato queste parole, compie lo sforzo di leggere la sua realtà alla luce della parola di Cristo.
Gesù pronuncia parole come quelle che abbiamo ascoltato di fronte ai discepoli che sono sgomenti e consapevoli che il loro Maestro va verso un epilogo ingiusto e cruento della sua vita: ai loro occhi crolla un mondo, la croce di Gesù costituisce uno scandalo tremendo.
Ci spostiamo di qualche anno e siamo negli anni 70 d.C., l’evangelista Luca assiste al massacro e alla distruzione di Gerusalemme e come reagisce? Ricordando le parole del Cristo, ricordando come Gesù ha saputo leggere le cose che andavano accadendo. Così facendo Luca ci sta consegnando un invito, anzi un compito e una missione urgente che compete anche ai discepoli di oggi che siamo noi. Sta qui la nostra responsabilità nella storia: essere capaci di discernimento mentre accadono violenze, ingiustizie, omicidi, guerre e terrorismo.
Penso che a ciascuno di noi ascoltando le notizie di quanto andava accadendo e vedendo le immagini sia capitato di piangere e di pregare per le vittime, per quei giovani che hanno avuta stroncata la vita in maniera assurda, per tutte quelle persone che non avevano altra colpa che quella di trovarsi per caso al centro di un disegno inumano, spietato.
E poi questo sentimento di commozione ha lasciato il posto alla rabbia, al disgusto, finanche all’imprecazione per tanta crudeltà. Rabbia e disgusto anche perché ci troviamo del tutto impotenti e ci riconosciamo noi stessi vulnerabili…
Un terzo atteggiamento ci fa poi cercare l’attribuzione delle colpe, delle cause e delle responsabilità che stanno a monte delle persone che materialmente eseguono omicidi efferati come questi. Si inserisce qui una necessaria valutazione politica, la lettura dei fenomeni storici e delle politiche internazionali, dei rapporti di forza e degli interessi economici…
Ed è a questo livello che, come ormai sappiamo da tempo, abbiamo a che fare con un terrorismo che bestemmia il nome di Dio. Per questo la nostra reazione non si esime dal pronunciare un giudizio sull’islam, su un certo islam guerriero e crudele, dal quale peraltro hanno preso fin da subito le distanze diversi organismi islamici francesi. L’Unione delle organizzazioni islamiche di Francia (Uoif) ha dichiarato di essere «inorridita e scioccata da questi attacchi infami che seminano il caos e la paura» ed ha voluto esprimere «piena comunione con la nazione», associandosi al «dolore dei famigliari delle vittime così come a tutto il popolo francese … In una simile prova solo l’unità permetterà di vincere questo terrorismo barbaro».
Penso che questo sia un poco il percorso emotivo e mentale di ciascuno di noi, insieme condividiamo la preoccupazione per il futuro, per la pace, per la convivenza dei popoli. Ed è appunto guardando al futuro che chiediamo alla parola di Dio di darci un po’ di luce per comprendere, per discernere e non lasciarci vincere dal terrore, ma per trovare uno modo umano per stare al mondo, per stare in questo mondo da uomini e donne liberi e non schiavi della paura.
Come già Luca suggeriva alla sua comunità, è anche per noi l’invito di Gesù nel cuore della pagina di oggi, quando dice: Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita! (21, 19).
Gesù rivolge queste parole ai discepoli che sono preoccupati e tristi perché si rendono conto che il loro Maestro sta andando verso una fine ingiusta e cruenta. Gesù sa che i suoi discepoli di allora, e noi con loro, siamo terribilmente fragili di fronte alla violenza, all’odio, al terrorismo. Ci chiediamo che esseri umani possono essere coloro che pensano di cambiare la storia infliggendo morte e spargendo sangue di altri fratelli. Ci domandiamo che religione sia quella che sopprime la vita umana in nome di Dio… ed è chiaro che hanno buon gioco i populisti di sempre, gli sciacalli che alimentano la propria notorietà sulle sciagure degli altri.
Luca ricorda le parole che allora Gesù rivolse ai suoi e che permangono di attualità: Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita.
Cos’è questa perseveranza? È un semplice invito ad avere pazienza che il temporale passerà, è una pia esortazione all’indifferenza propria di chi si chiude in se stesso? In greco perseveranza si dice: upomoné, lett. stare sotto, ed esprime l’idea di portare da sotto un peso, come quelle cariatidi che curvate e piegate portano sulle spalle una struttura enorme.
Diceva bene il cardinale Martini a proposito di perseveranza: «Mentre la prova tende a far tornare indietro, induce a perdersi d’animo, l’atteggiamento direttamente contrastante non è necessariamente quello della vittoria immediata ma del resistere, del rimanere fermo, saldo»[1].
Essere perseveranti di fronte al dilagare del male, dell’odio e della violenza, non vuol dire vincere, ma significa per noi oggi resistere, rimanere saldi e fermi nei valori della libertà, della democrazia, del rispetto. Se dopo essere stati presi dal dolore, dalla rabbia, dall’accusa non approdiamo a un discernimento spirituale come questo, diventa facile andare dietro agli sciacalli populisti che ci solleticano a dare il peggio di noi.
È chiaro che siamo davanti a terroristi, a persone pericolose che hanno un piano preciso, un piano di guerra, e sono contro tutti. Sono terroristi e sono contro la vita. Sono contro i musulmani che considerano “finti” perché non violenti come loro e quindi più infedeli degli infedeli. Sono contro gli altri perché rei di non partecipare alla loro ideologia di morte.
Il loro scopo è chiaro, quasi lampante, vogliono la nostra disgregazione, vogliono suscitare paura, vogliono farci vivere nell’angoscia. Vogliono che ci guardiamo in cagnesco, che cominciamo a odiarci, a darci mille e più coltellate. Quindi seguire un pensiero populista, fare di tutta un’erba un fascio, odiare il prossimo, significa solo fare il gioco dei terroristi e diventare complici di chi vuole annientarci.
Ma io non voglio avere paura. Voglio che il prossimo resti mio fratello. Come dice un proverbio: vivere con la paura è come vivere a metà. E farci vivere a metà è quello che vogliono i terroristi. Sta a noi non permetterlo.
Questi assassini posseduti da un odio insensato si chiamano terroristi proprio perché vogliono diffondere il terrore. Al terrorismo, alla guerra e all’odio rispondiamo con più libertà, più uguaglianza, più fraternità. Se noi ci lasciamo spaventare, hanno già raggiunto un loro primo obiettivo.
Viviamo allora un vero avvento: perseveriamo nell’attesa, rimanendo saldi nel bene e nel giusto, continuando a costruire anche se altri distruggono, ad avere il coraggio dell’amore anche se altri vogliono l’odio. Non dimentichiamo che il primo a perseverare nella misericordia in questo mondo così malato è proprio Dio. Se l’Eterno non fosse perseverante avrebbe già cancellato l’uomo dalla faccia della terra. Se Gesù non avesse egli stesso perseverato fino alla fine non avrebbe fatto altro che spegnere ogni speranza. La speranza dà ali alla perseveranza e ci strappa dal ripiegamento su noi stessi per resistere nell’attesa del Signore che viene. Sì. Il Signore tornerà e noi vogliamo vegliare con responsabilità.
(Is 13, 4-11; Ef 5, 1-11a; Lc 21, 5-28)
[1] “Avete perseverato con me nelle mie prove”. Riflessioni su Giobbe, 14-16.