VI DOPO IL MARTIRIO DI S. GIOVANNI IL PRECURSORE - Mt 20, 1-16
«Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa…». Dunque il regno dei cieli non è la vigna. Una lettura affrettata ci porterebbe a identificare il regno con la vigna di cui parla il vangelo, mentre Gesù afferma che il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che cerca operai per la sua vigna.
Il regno è dinamismo, è iniziativa di Dio, non è uno stato o una condizione, è l’amore generoso del Padre che coinvolge e domanda a ciascuno di noi di lavorare per lui. E in questi tempi difficili per il lavoro, in cui è a rischio il posto di lavoro per tanti, comprendiamo come sia davvero generoso che qualcuno ci chieda di lavorare per lui!
Non dovremmo mai dimenticare questo: il regno è di Dio, ma a noi è chiesto di lavorare con lui. Tant’è che il Signore cerca lavoratori ad ogni ora, come dice il vangelo di Matteo, così come cerca lavoratori da ogni popolo, da tutti i confini della terra, come dice Isaia.
Così fa Dio che si manifesta in questa figura del datore di lavoro straordinariamente generoso: assume fino a sera dei disoccupati e dona a tutti un salario intero, offrendo prova di una bontà che va oltre la giustizia, senza d’altra parte, lederla. L’amore di Dio è sovrabbondante e trascende i calcoli umani, le nostre misure.
Che ne sappiamo noi del bene che viene fatto nel mondo, grazie alla misericordia di Dio? Che ne sappiamo noi di coloro che, anche senza saperlo, lavorano dalla parte di Dio?
Questo ci conferma l’annuncio di Gesù che il Padre non è mai stanco di uscire nelle varie ore della storia per prendere operai che lavorino per lui.
Anzi potremmo dire che non c’è ora della storia in cui il Signore si ritragga, si nasconda, sia sfiduciato nei nostri confronti. No!
Il Signore esce nelle prime ore, quelle più proficue, del mattino, quando la speranza riempie l’orizzonte fino all’ora della croce e all’ora del sepolcro, quando invece con il calare delle tenebre, sembra non esserci più fiducia, luce, amore… quando tutto intorno è buio.
Il Signore continua a cercare operai che lavorino per lui. Nel senso che il Signore non sta affacciato a guardare la storia dell’umanità, ma sempre cerca, a qualsiasi ora e da qualsiasi parte di costruire il suo regno di amore e di pace. Il Signore cerca persone che lavorino per lui, che diffondano quella misura di misericordia e di amore che gli sono propri.
Ma ora facciamo un passo avanti, entriamo dentro questa vigna, proprio noi che da tempo siamo già stati assunti da Dio.
La parabola, dopo averci mostrato la grandezza della generosità del Padre, mi suggerisce alcune domande: perchè lavorare ancora nella vigna? E poi: cosa significa «lavorare» nella vigna? Ognuno lavora per se o lavoriamo insieme? Interrogativi che sintetizzerei in un’unica domanda: perchè restare ancora nella Chiesa?
Di questi tempi voltano le spalle alla Chiesa non solo coloro che non credono più a niente, coloro ai quali la fede appare estranea e incomprensibile, troppo retrograda e medievale, ma anche coloro che amano una certa forma storica della chiesa, la liturgia antica e pomposa, coloro che magari sono rimasti nostalgici del suo potere temporale… e ora delusi, come un amante tradito nel suo più grande amore, si tengono alla periferia, se non addirittura si chiamano fuori.
E forse anche noi abbiamo accarezzato l’idea se non di lasciare, forse di stare a vedere di chiamarci fuori e criticare una vigna che si presenta a noi come ricca di grandi slanci di santità, di radicalismo evangelico come quello di Francesco d’Assisi che ricordiamo oggi, ma anche come «un insieme di debolezze umane, una storia vergognosa e umiliante, alla quale non è stato risparmiato nessuno scandalo, dalle persecuzioni degli eretici e dai processi contro le streghe, dalla persecuzione degli ebrei e dall’asservimento delle coscienze fino alla resistenza contro l’evidenza scientifica, cosicché chi appartiene a questa storia non può fare altro che coprirsi vergognosamente il volto» (J. Ratzinger), per non parlare dell’accondiscendenza a tutte le correnti della storia, al colonialismo, al nazionalismo…
Insomma a ben guardare si ha l’impressione che i frutti di questa vigna non sempre abbiano rimandato alla fede, anzi, talvolta hanno costituito addirittura un ostacolo alla fede!
Ora però si impone una risposta personale per ciascuno di noi: perchè io rimango ancora nella chiesa? Perchè ancora lavoro per la vigna di Dio? Per parte mia posso dirvi almeno tre motivi per cui continuo a lavorare per la vigna di Dio.
1. Sono nella chiesa perchè credo che la chiesa non è nostra, la vigna è di Dio, dentro la «nostra» chiesa, vive la «sua» chiesa e io non posso stare vicino a lui se non rimanendo nella sua chiesa. Io sono ancora nella chiesa perchè nonostante tutto credo che essa non sia assolutamente nostra, ma sua. Basterebbe tenere sempre presente l’interrogativo che si poneva Henri de Lubac: «Coloro che accettano ancora Gesù pur rifiutando la chiesa, non sanno che in ultima analisi è da questa che ricevono Cristo?».
2. In secondo luogo non si può credere da soli. Ricorderete le parole di Tommaso quando vide Gesù risorto dopo tutti i suoi dubbi e proruppe in quella bellissima espressione «mio Signore e mio Dio»? Ebbene Tommaso arrivò a dire «mio Signore e mio Dio» perchè ha incontrato e ha ascoltato Gesù nella comunità riunita a Pasqua. La fede è possibile soltanto in comunione con altri discepoli.
Una fede che fosse frutto della mia invenzione sarebbe una contraddizione in termini, perchè mi potrebbe dire e garantire soltanto ciò che io già sono e so, ma niente di più. La fede esige una comunità che mi consegna e mi dona la fede, perchè non diventi una mia creazione, un mio strumento o la realizzazione dei miei desideri.
3. Infine, credo fermamente che la nostra prospettiva sia sempre parziale, che il nostro punto di osservazione privilegi molto lo specifico e così succede che noi vediamo il particolare talmente da vicino e così dettagliatamente che diventiamo ipercritici anche perchè non riusciamo più a cogliere il tutto, l’insieme.
Ma, l’esperienza di vita ci insegna che un uomo vede bene nella misura in cui ama. Perciò per conoscere la vigna, la chiesa, è necessario anche amarla. Anche se oggi si insinua l’idea che l’amore sia il contrario della critica… È questa la scusa a cui quanti hanno in mano il potere ricorrono volentieri perchè eliminando la critica mantengono a loro favore la situazione di fatto.
Ma in realtà l’unica possibilità che abbiamo di cambiare in senso positivo una situazione, una persona è proprio quella di amarla, trasformandola lentamente da ciò che è in ciò che può essere.
Se oggi non riusciamo a realizzare un rinnovamento della chiesa e non diamo i frutti sperati dal Signore della vigna è perchè siamo troppo preoccupati di difendere e di affermare soltanto noi stessi, siamo anche noi accecati dall’invidia e perdiamo tempo, troppo tempo, a mormorare gli uni contro gli altri.
Se la Chiesa ha vissuto una primavera conciliare nel secolo scorso è perchè sorsero uomini e donne che la amarono con cuore intelligente, con spirito critico, capace di cogliere i segni dei tempi e che furono disposti a soffrire personalmente per essa.
Ecco perchè continuo a lavorare nella vigna. In fondo essere a servizio del Vangelo più che una fatica è una benedizione, una fortuna.
(Is 45, 20-24; Ef 2, 5-13; Mt 20, 1-16)