XXXIII DEL TEMPO ORDINARIO - Lc 21, 5-19
(Ml 3, 19-20; Lc 21, 5-19)
La liturgia ci propone un passo difficile del vangelo di Luca: è la prima parte del discorso che Gesù, secondo i sinottici, tiene alla vigilia della sua morte, quindi si tratta del suo ultimo discorso. Ecco proviamo ad immaginarci confusi tra i pellegrini che sono saliti a Gerusalemme, per rimanere con loro abbagliati dalla stupenda costruzione del tempio iniziato da Erode il Grande nel 19 a.C. e che al tempo di Gesù era pressoché completato. Quando oggi visitiamo il Muro occidentale con i resti delle fondamenta, siamo colpiti e impressionati dalla potenza che emanano, immaginando cosa poteva essere una costruzione fatta con pietre dall’altezza media di 1,20 mt e lunghe dai 9 ai 12 metri, ravvivata da placcature d’oro, col tetto punteggiato di guglie dorate…
Gesù ci sorprende dicendo: “Verranno giorni nei quali di quello che vedete non sarà lasciata pietra su pietra…”. Un’affermazione che suona come blasfema per i religiosi e per tutta la casta sacerdotale che aveva fatto del tempio la ragione di vita, e come una minaccia per i politici. Infatti Erode, che non era ebreo ed era stato accolto con ostilità dalla gente, aveva investito molto sulla costruzione del tempio per accattivarsi la simpatia dei sudditi: da una parte aveva dato così lavoro a diecimila persone, dall’altra aveva voluto fare in modo, lui un non ebreo, che si ricostruisse un edificio ricco di un alto valore nazionalistico.
Eppure Gesù pubblicamente non ha paura di dire: non sarà lasciata pietra su pietra… Infatti al processo una delle prime accuse che gli verranno rivolte sarà proprio quella di aver detto: posso distruggere questo tempio e ricostruirlo in tre giorni. Quello del Signopre è un linguaggio tipicamente profetico, non perchè prevede il futuro, ma nel senso che ci invita a guardare la storia facendo memoria del passato così che possiamo affrontare con fiducia il futuro. Infatti se inseguiamo la cronaca perdiamo di vista il senso, non sappiamo più dove va il mondo, anzi lo sappiamo bene dove, lo diciamo spesso, pensiamo che vada verso il disastro, la distruzione. E allora avremmo tutte le ragioni per scoraggiarci e per chiederci perché mai valga la pena di impegnarsi …
Quando entra sulla scena d’Israele il profeta Malachia, (circa 600 anni prima di Gesù) il popolo sta attraversando un momento disastroso – non è vero forse che ogni momento è disastroso per chi lo vive ?-, la gente si domanda: a che cosa serve osservare i comandamenti? I giusti sono derisi, gli arroganti trionfano, i presuntuosi, i superbi fanno sempre bella figura, bisogna essere dalla parte dei potenti e dei corrotti per stare al mondo! Ecco a questo popolo, nel quale tanta gente oggi si ritrova, il profeta che conosce la storia d’Israele, annuncia che la fedeltà sarà premiata.
Anche se ad oggi non sembra che il Signore ascolti, tuttavia sta per venire il giorno del Signore. Vi sembrerà in contraddizione con quanto dicevo prima: se i profeti non sono indovini, se Malachia annuncia che ci sarà il giorno del Signore, cosa significa allora? C’è una profonda differenza tra noi e l’uomo biblico. Noi siamo abituati a misurare il tempo con unità di misura legate al calendario lunare e a quello solare, ecco allora gli anni, i mesi; e poi i giorni, le ore (è il kronos), il profeta sa che oltre al calendario, c’è un altro tempo la cui misura è nota solo al Signore, ed è un tempo che non si adatta ai nostro orologi, alle nostre unità di misura digitali o meno. Questo tempo si chiama: kairòs, è il momento opportuno, il tempo in cui il Signore realizza la sua promessa. Quando Gesù ci insegna a pregare, ci insegna a chiedere che venga il tuo regno, venga il kairòs, il tuo, non il mio o il nostro. Il regno di Dio.
In questi giorni sono stato a Dumenza, nel monastero benedettino della Trinità, sopra Luino (Lago Maggiore), per un tempo di preghiera e di riflessione con questa piccola comunità monastica che mi è tanto cara. Salire i tornanti per raggiungere il monastero, e sono più di venti mi assicura il priore, è una vera e propria impresa che assorbe tutta la concentrazione di cui sono capace. Non solo, ma non faccio nemmeno a tempo a scendere dall’auto che comincia a scendere la prima neve di stagione.
Ecco in queste due immagini trovo descritto il tempo in cui viviamo: un Paese al limite del collasso che sembra dribblare, come facevo salendo con i tornanti, un problema dopo l’altro, senza che a breve si intravveda la fine. E su tutto questo avverto che per molti scende la fede come gelida neve che tutto copre e non scalda il cuore . Anzitutto ripenso ai “tornanti” del nostro Paese: viene subito agli occhi la questione morale di chi ci governa (manca solo una consonante perché non diventi mortale); e poi il dissesto del territorio sotto le piogge (ce ne accorgiamo sempre dopo delle conseguenze delle nostre irresponsabilità); una crisi economica che mette a dura prova numerose famiglie (e intanto continuiamo con la retorica ideologica senza iniziative concrete atte a sostenere le gravi difficioltà che vive); e poi ci sono i giovani dai quali si pretendono disponibilità tali da tradurre il lavoro più in schiavitù che in occupazione o viene imposta una retribuzione ridicola a fronte dell’impegno lavorativo richiesto, o ancora si pretendono mansioni così ampie per le quali servirebbe farsi assumere in due. E poi leggo che l’ennesima edizione del Grande fratello ha superato ogni record … Credo proprio che ottenga un apprendimento che la nostra scuola nemmeno si sogna. E ripenso a quegli operai sulla gru a Brescia che non chiedono al Paese che di riconoscere il loro diritto. È vero celebriamo i 150 anni di unità del Paese, ma forse abbiamo perso la memoria. E i tornanti potrebbero essere ancora più impervi se solo dovessimo considerare la scena internazionale.
Ma se questa è appunto la cronaca – per rimanere solo al nostro Paese – cosa dice il Vangelo? Credo che un primo passo, per evitare che la fede sia solo una coltre che copre i problemi e ci fa rimanere in silenzio, complici e inetti, consista nel cogliere questo invito del Cristo a comprendere il tempo, il kronos, con uno sguardo di fede, per trasformarlo in kairos. Tutto questo, dice Gesù, vi darà occasione di rendere testimonianza. Le difficoltà, le opposizioni, i contrasti che, secondo il vangelo, arrivano anche fin dentro gli affetti della famiglia possono essere l’occasione per rendere testimonianza. Nonostante il muro di odio che si leva attorno e nonostante la solitudine e l’isolamento il discepolo sa di non essere mai solo: io vi darò parola e sapienza, dice Gesù.
Non esistono condizioni ideali per vivere il Vangelo: ogni condizione può essere vissuta da noi come il kairòs per rendere una testimonianza piena di speranza. Ma, attenzione, la testimonianza richiesta è al Vangelo, non ad altro. Non ad opportunismi di qualsivoglia vantaggio o di presunti valori che facilmente si confondono con l’ideologia. Perché la cronaca diventi tempo di Dio teniamo alto il riferimento al Vangelo, unico nostro punto fermo in questa confusione.
Qui sta la radice dell’altro atteggiamento che Gesù ci insegna, la perseveranza: Non vi terrorizzate! Nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto. Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita. Con la vostra perseveranza (ypomoné): è il sostantivo della chiesa nell’Apocalisse, è la parola d’ordine di una chiesa appunto perseguitata, che dice l’atteggiamento di resistenza, di attesa e di pazienza di una chiesa che va incontro al martirio piuttosto che tradire il suo Signore. Il sostantivo usato in greco è ypomoné, che è normalmente tradotto con pazienza, perseveranza, sopportazione. Lett. è ‘portare da sotto’, in lat. sub portare, da cui il verbo ‘sopportare’ che è un verbo di forma attiva ma di significato passivo, perché dice una dimensione di fatica, se non di rassegnazione. Mentre un altro verbo che deriva sempre da quella radice, è supportare che esprime l’azione generosa, volontaria e anche di per sé gioiosa di chi si mette a disposizione per soccorrere e aiutare chi è debole, di essere appunto di supporto a qualcuno.
Credo che nella vita questi due significati li abbiamo coniugati molto più spesso di quanto immaginiamo: quante volte abbiamo sopportato una situazione difficile, dolorosa appunto. E quante volte abbiamo offerto ad un amico un supporto, lo abbiamo portato come un peso … senza farglielo pesare! Perché lo abbiamo accolto nella sua fragilità, nella sua debolezza ed egli percependo questo ha ritrovato la voglia di andare avanti.
Così è importante per noi oggi resistere, resistere e resistere ancora per trasformare la cronaca in tempo di Dio.