IV DI AVVENTO - Mc 11, 1-11
(Is 16, 1-5; 1 Ts 3, 11- 4,2; Mc 11, 1-11)
L’aver ascoltato la lettura dell’ingresso di Gesù in Gerusalemme può sembrarci fuori luogo in questo tempo di avvento, abituati come siamo a ripercorrere le tappe della vita del Signore secondo una cadenza cronologica.
Personalmente ascoltare questa pagina, tra l’altro nell’imminenza della festa di s. Ambrogio che tanto ha fatto per il bene della città, mi ha fatto pensare a Gesù come a colui che entra anche nella città, che può ancora entrare nella nostra città, così come entra in ogni città dell’uomo.
E che cosa può dire il Signore a questa città, a noi che amiamo questa nostra città, che viviamo in questo quartiere e in questo tempo?
Ripensando alle condizioni in cui si trovava Gerusalemme quel giorno in cui Gesù è entrato, pur con la distanza significativa che ci separa, troviamo alcune affinità con la condizione della nostra città. Anzitutto Gerusalemme si presentava a Gesù come una città fragile, attraversata da numerose tensioni, dai problemi dovuti alla eterogeneità dei popoli che vi salivano per motivi religiosi, economici, politici. Una città resa fragile anche dall’occupazione romana che la teneva sottomessa e dai vari re fantocci più o meno corrotti, capricciosi e inaffidabili che l’hanno governata. Gerusalemme era fragile allora, com’è fragile ancora oggi.
Come lo sono tutte le città, e come lo è la nostra città. Anche Milano è vissuta da noi come città fragile sia per la congiuntura economica, sia perché l’aria è avvelenata, sia perché le moderne schiavitù dettate dalla mafia, dalla ndrangheta e in genere dalla corruzione, tengono sottomessa gran parte dell’imprenditoria, sia perché i diversi quartieri sono attraversati dalla paura e dall’insicurezza o anche perché ci sono gruppi e popolazioni non integrati …
Ebbene, come il Signore entra in città e vince la paura e la fragilità della città? Gesù non entra in città come entrerebbe un generale d’armata esibendo strumenti di forza e di potere per dare sicurezza; non viene come tiranno per dare sicurezza al futuro incerto, non è esibendo un potere persuasivo che offre la pace, la fiducia e la speranza. Gesù ama Gerusalemme, città fragile, e vi entra come Messia mite e umile, realizzando le parole di Isaia che aveva annunciato: «allora sarà stabilito un trono sulla mansuetudine … sul quale siederà un giudice sollecito del diritto e pronto alla giustizia».
Gesù entra in città come giudice sollecito della giustizia. Ma di quale giustizia stiamo parlando? La parola giustizia è un termine facilmente equivocabile, ha più significati … Se ora ognuno di noi dicesse che cosa pensa sia la giustizia, potremmo avere una certa sintonia sicuramente, ma otterremmo anche tante sottolineature diverse.
Molto spesso per dire cos’è la giustizia si usano parole come: equità, uguaglianza, parità, diritti … Ad esempio, si può dire che la giustizia consista in una distribuzione equa delle opportunità e dei beni. Che cosa vuol dire ‘equa’?
Eppure è come se ciascuno di noi avesse dentro di sé il concetto di giustizia, anche se poi è vero che anche tra fratelli ad esempio c’è sempre quello che dice: ma non è giusto perché la fetta di torta dell’altro è più grande della mia … per questo pur intuendone l’importanza e la necessità, è difficile definire bene l’idea di giustizia.
Quello che ci viene dalla Scrittura (e dal magistero) e che ci riporta alla dimensione essenziale, prima ancora che normativa, è la giustizia anzitutto come relazione. Gesù entra in città come giudice di giustizia, nel senso che ristabilisce la relazione con Dio, infatti di lì a poco dopo l’ingresso messianico, entrerà nel tempio e farà “giustizia” dell’uso del tempio.
Non solo, ma Gesù entrato in Gerusalemme ha uno sguardo intenso sulle persone che abitano la città, uno sguardo che si ferma sui volti dei più fragili, di chi sta ai margini, di quelli che non contano e che non frequentano i salotti della “Gerusalemme bene”, per restituirli alle relazioni con gli altri, con la vita. In questo senso Gesù viene come il Messia, promesso da Isaia, riallacciando quelle relazioni perché la mancanza di relazioni è mancanza di giustizia.
Ancora oggi, possiamo dire, Gesù entra come giudice sollecito al diritto e pronto alla giustizia nella nostra città, non promulgando un nuovo codice, non inventando pene più severe per gli ingiusti, ma ricostruendo anzitutto la relazione lacerata con il Padre e in secondo luogo riconnettendo le relazioni soprattutto con coloro che stanno ai margini della città, con coloro che non contano e non hanno voce per farsi ascoltare.
La soluzione dell’ingiustizia, ci insegna Gesù, sta nella ricostruzione di quelle relazioni che sono state violate. In questo senso fare giustizia è costruire o ricostruire le relazioni.
Ci sono delle ricerche che ci dicono una cosa molto interessante, anche se un po’ tragica: chi è che ha più paura oggi in città? Chi esce di meno di casa, chi ha poche relazioni. Chi ha più paura? Chi passa più ore davanti alla televisione. È la città dove mancano relazioni, che non viene frequentata, che non viene fruita, che non viene vissuta, quella che fa paura maggiormente e che viene vissuta come ingiusta. Sono le persone che più si chiudono in casa, qui gioca certo anche l’età, ma anche una serie di altri fattori più psicosociali, le persone che fanno più fatica a uscire, che si fanno spaventare, sono quelle che stanno di più in casa, che hanno i rapporti con il mondo mediati dalla televisione e che quindi, tendono a sviluppare ancora un maggiore senso di insicurezza e di paura.
Alda Merini in una sua struggente poesia così descriveva Milano:
«Nelle strade nevrotiche della città
gli uomini si rincorrono mangiandosi l’un l’altro.
Triste osservare
le zanne saettare dietro il loro prossimo,
la precisione meccanica dei loro egoismi».
Gesù, giusto giudice, ci chiede di abitare la città capaci di costruire relazioni e ponti. Un racconto dice che quando Dio creò il mondo, tutto era bello e tutti vivevano pacificamente. Un giorno il diavolo invidioso graffiò profondamente la terra, creando così burroni e valli che divisero i popoli. La gente si trovò improvvisamente divisa e prese a chiamarsi dalle sponde opposte. Vedendo come le persone si cercavano e piangevano, Dio inviò loro degli angeli perché con le loro ali facessero da ponte e gli uomini potessero ricostruire le relazioni interrotte.
Sia che saliamo sull’autobus o in metro, sia che partecipiamo alla vita culturale o politica della città, sia che ne usufruiamo in qualche modo, possiamo vincere la paura e rendere più sicura la città con l’apertura e non irrigidendoci; con la fiducia di chi guarda l’altro negli occhi, di chi ascolta le storie di vita, di chi costruisce relazioni così come si costruiscono ponti e occasioni di incontro e di confronto, anziché muri e distanze.
Costruiamo relazioni e contribuiremo a una città di giustizia, cerchiamo il dialogo e salveremo la città, perché anche Gesù, facendosi uomo, è entrato nella città e l’ha amata in modo mite e umile, ristabilendo la relazione con Dio e con i poveri.