IV DOPO PENTECOSTE - Mt 5, 21-24


Nel cap.4 della Genesi abbiamo ascoltato ancora una domanda di Dio, la seconda domanda, dopo quella posta ad Adamo, di un Dio che appare impossibilitato a capire la sua stessa creatura, la domanda di un Dio che non riesce a farsi una ragione di tanto scempio del suo dono, del dono più importante che è la vita.

Dov’è Abele tuo fratello? Non perché Dio non sappia che Abele è ormai sottoterra, ma la domanda è per Caino: Perché? Perché tanta violenza, perché arrivare al punto di uccidere tuo fratello e poi ti inganni nel far finta di niente?

È una domanda che attraversa la storia, i secoli, i confini e le muraglie: perché voi europei chiudete le porte in faccia agli altri e li lasciate affogare in mare? Perché voi sunniti uccidete gli sciiti, tutti fratelli dello stesso Islam? Perché voi cristiani cattolici avete ucciso i fratelli valdesi? Perché voi uomini e donne bianchi di pelle avete in odio altri uomini e donne col colore diverso della pelle? Perché tu africano della Libia riduci in schiavitù un africano della Nigeria, dell’Eritrea? Perché tu israelita che tanto hai sofferto, ora fai soffrire i palestinesi? Perché?

È la domanda rivolta alle grandi multinazionali, ai latifondisti, ai mercanti d’armi, ai politici, alle banche: Dov’è tuo fratello?

È la domanda che Dio pone anche alla sua chiesa, quando è troppo preoccupata del potere e dell’organizzazione e dimentica il volto del povero e del piccolo.

È ancora la domanda per ciascuno di noi: Dov’è tuo fratello, dov’è tua sorella, dov’è colui che non sopporti, colui che invidi, colui che ignori e fai finta di non vedere?

Ha forse ragione lo psicanalista Luigi Zoja quando scrive che così come nel momento in cui Nietzsche proclamò la morte di Dio, oggi siamo alla soglia di un territorio radicalmente nuovo. La morte del prossimo?

Oppure da che mondo è mondo è sempre andata così? I miti fondativi delle civiltà spesso riconducono l’origine di una popolazione o di una città a una violenza fratricida. Il mito getta l’ancora nel passato quasi a rassegnarsi di fronte al fatto che le cose da sempre vanno in questo modo, non c’è convivenza senza violenza. Non c’è umanità senza guerra.

Anche la Genesi ricorre al linguaggio mitico delle origini, infatti Caino e Abele non sono due figure storiche, ma dentro la narrazione più che la risposta del mito, risuona la domanda di Dio: Dov’è tuo fratello? Anche qui già come poteva fare con Adamo, la domanda poteva agire sul senso di colpa: cosa hai fatto? Come hai potuto? Mentre quella che pone l’Eterno è una domanda maieutica, quasi un obbligo a scrutare la nostra anima.

L’area semantica della fraternità appartiene al linguaggio della famiglia: nella famiglia i fratelli e le sorelle vengono appunto dalla stessa madre e dallo stesso padre, eppure sono diversi tra di loro, a volte diversissimi. Dico un’ovvietà, ma è la chiave di lettura della condizione del genere umano: siamo fratelli e sorelle in umanità, ma siamo popoli diversi tra di noi, culture diverse, tradizioni diverse… eppure siamo tutti creati a immagine di Dio, siamo pari in dignità, abbiamo gli stessi diritti e doveri, anche se non siamo uguali né identici.

La fratellanza non si sceglie, fratelli si nasce, siamo fratelli e sorelle per il fatto che, come dice il termine greco noi tutti veniamo dallo stesso grembo (adelfov, dallo stesso grembo) della terra, della creazione. Tutto il genere umano è generato dal grembo di Dio.

Questo è il dato biblico che traccia anche la strada della fraternità: un sentiero che tiene insieme la comune dignità di figli e al tempo stesso il rispetto delle diversità dei fratelli.

Ma anche noi ci vogliamo sottrarre a questa evidenza come Caino dice di non sapere: Non lo so. Sono forse io il custode di mio fratello? Che è come dire: Sono forse responsabile di mio fratello? È già tanto se sono responsabile di me stesso.

Eppure questa, dopo Weber, Lévinas, Jonas è la condizione che rivela la contraddizione dell’umanità di sempre: sentirci responsabili degli altri e al tempo stesso fuggire da questa responsabilità, nasconderci.

Jonas discusse polemicamente con Heidegger sulla questione del nazismo e dell’appello “al destino tedesco” e alla “comunità di destino” da parte del Fuhrer, perché temeva la deriva, come poi di fatto avvenne, di un “essere con gli altri”, ma senza responsabilità.

Infatti il mito della nazione, l’ideologia della fraternità nella Germania nazista, favoriva il riconoscersi fratelli germanici, ma non prevedeva alcuna responsabilità nei confronti degli altri, anzi.

Jonas invece pone al centro del suo pensiero il principio di responsabilità: “Agisci in modo che le conseguenze della tua azione siano compatibili con la sopravvivenza di un’autentica vita umana sulla terra”.

Ed è da qui che possiamo osservare quel passaggio in cui Dio quasi sembra avere quasi più cura di Caino che di Abele, al punto da impedire che qualcuno si vendichi su di lui del sangue di Abele! Siamo al paradosso: Dio non ha protetto Abele, protegge invece Caino dalla vendetta.

Certo era più facile amare Abele, ma se Dio stesso impedisce la vendetta su Caino, è perché anche Caino, nonostante tutto, rimane suo figlio.

Caino ha salva la vita: Perché? Potrebbe essere una buona domanda che ci fa pensare, perché se la Scrittura dice questo un significato deve averlo. Genesi dice che verrà punito chi reagisce al male con il male (chiunque ucciderà Caino subirà vendetta sette volte).

Abbiamo qui un’anticipazione di quanto Gesù dice nel vangelo: in qualche modo la catena di reazione violenta va fermata, va interrotta.

Gesù stesso fa così, non parla molto di fraternità, ma si è fatto fratello non solo di chi lo ha amato e seguito, di chi era più facile amare, ma anche dei più miserabili, dei più repellenti, addirittura di chi gli ha usato violenza, di chi lo ha inchiodato al legno, perdonandoli e impedendo di fatto di vendicarlo! Perché?

Per responsabilità. Per dare all’umanità un’alternativa possibile all’odio, alla violenza, alla barbarie.

E così oggi la responsabilità del discepolo deve tenere insieme i due comandamenti: amare Dio e amare il fratello. Al punto che sei in chiesa e ti ricordi che tuo fratello ha qualcosa contro di te, Dio è più contento se vinci la logica dell’odio e del rancore.

Ecco la nostra responsabilità per il futuro del mondo, della società umana. Consapevoli che la domanda da cui siamo partiti è ancora e sarà sempre aperta: non siamo fratelli quando ci si sente tali o si crede di esserlo. La fraternità è sempre ancora davanti, sempre di nuovo da farsi, che chiama a nuove responsabilità.

E allora rientriamo in noi stessi e ascoltiamo la domanda di Dio, per fare i conti con il Caino che ci abita, come scrive Mariangela Gualtieri:

«Io sono Caino. Non sono l’antenato

non abito un passato favoloso

non sono la pagina di un libro…

Non sono la favola stantia

di due fratelli nello scenario vuoto

del principio. Io vivo adesso

dentro ogni umano…

Sono io il mistero

del male che ti attrae

e con cui ti batti. Sempre»[1].

 

(Gen 4, 1-16; Mt 5, 21-24)

[1] Mariangela Gualtieri, Caino, Einaudi 2011