I DI AVVENTO - Mc 13, 1-27
C’è una violenza che attraversa le parole di Gesù da farci preoccupare. Non è una violenza che Gesù susciti o alimenti in qualche modo, è piuttosto una condizione che abita dentro le vicende, le relazioni, le cose stesse. Le pietre del tempio che crollano, e non crollano da sole di sicuro; popoli che lottano gli uni contro gli altri, terremoti, carestie, processi, divisioni in casa, sangue di fratelli e di sorelle… per giungere all’epilogo di questa violenza: Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire… dall’estremità della terra fino all’estremità del cielo.
Finché si tratta delle estremità della terra possiamo capire le parole di Gesù… ma quando si riferisce alle estremità del cielo non sappiamo più cosa pensare!
Anche Isaia con linguaggio apocalittico parla del futuro della terra e lo descrive con otto verbi minacciosi: cadrà, crollerà, barcollerà, vacillerà… e poi anche quando si tratta del sole: impallidirà e della luna: arrossirà… e noi così ci immaginiamo la fine del mondo, la fine di tutto e di tutte le cose.
Ma com’è allora che il Signore regnerà sul monte Sion e a Gerusalemme? Se cade tutto e tutto finisce… com’è che il regno del Signore sta sul monte Sion e in Gerusalemme? Siamo di fronte a un linguaggio portatore di senso più che preoccupato di fare previsioni.
Paolo tocca uno dei vertici della sua teologia, quando scrive al termine del passo di oggi, l’epilogo della storia umana: Perché Dio sia tutto in tutti. È un’espressione folgorante, ci fa perlomeno intuire il senso profondo delle cose, della vita, del mondo e del cosmo: Perché Dio sia tutto in tutti.
Non è che con questo abbiamo risolto la questione, ma perlomeno ci aiuta ad abbandonare la pretesa di descrivere l’orizzonte ultimo della storia, il futuro verso cui va il cammino dell’umanità. Paolo è sicuro che il mondo cammina verso un orizzonte: fino a quando Dio sarà tutto in tutti.
Ricordate le prime pagine della Genesi: Dio creò l’uomo a sua immagine, maschio e femmina li creò… Se la ascoltiamo da questa prospettiva allora più che spiegare le origini la Genesi ci dice che l’immagine di Dio è il traguardo della terra, della storia e del cosmo.
Non bisogna identificare la fine del tempio di Gerusalemme, dice Gesù, con la fine del tempo, perché, pur con gli ingredienti di sempre, vale a dire inganni, falsità, violenze, terremoti, carestie… e poi odio e tanto odio… la storia va verso una pienezza, va verso l’incontro con Cristo.
Non ci è dato di sapere come sarà questo incontro, in cosa consista la pienezza del regno di Dio, però possiamo imparare dall’esempio di un grande teologo del secolo scorso, il p. Teilhard de Chardin che come paleontologo ha studiato il passato, ha ripercorso le grandi tappe della storia non solo umana, ma dello stesso cosmo ed è nello studio del passato che si è poi affacciato all’esplorazione del futuro come pellegrino dell’avvenire[1], un futuro che è un incontro tra il cammino dell’uomo e del cosmo e l’irrompere di Dio.
C’è un movimento che viene da lontano: «Sono 300 milioni di anni che la Vita si eleva paradossalmente nell’improbabile…. Il nostro mondo moderno si è fatto in più di diecimila anni; e in duecento anni è cambiato più velocemente che nel corso di tutti i millenni precedenti. Abbiamo mai immaginato come potrà essere psicologicamente il nostro pianeta tra un milione di anni?».
E noi di questo movimento ne abbiamo una percezione importante, anche perché negli ultimi secoli c’è stata una grande accelerazione da parte dell’uomo. Basta guardare la storia più recente: l’Ottocento era iniziato ancora con i velieri e le candele e si è chiuso con i grandi transatlantici, le automobili, le ferrovie, il telefono e nella storia del pianeta non era mai accaduto niente di simile.
Nel Novecento ogni generazione ha dovuto modificare il proprio stile di vita in seguito alla diffusione di nuove tecnologie, tant’è che si è cominciato a misurare il tempo in decenni: negli anni Trenta si volava in aereo, si ascoltava la radio. Gli anni Cinquanta: la televisione, l’atomica, i jet, gli antibiotici, la plastica e i transistor. Gli anni Settanta: i trapianti, l’elettronica, l’esplorazione della Luna e l’uso dei satelliti e poi negli anni Novanta: il tramonto dell’industria meccanica, le nanotecnologie, internet, i cellulari, la bioingegneria.[2]
E se ci confrontiamo con le ere precedenti, adesso ci rendiamo sempre più conto che niente di quel chiamiamo natura, il cosmo, la terra, la vita, è mai stato fermo. Pensiamo a come la vita sia andata via via adattandosi e ricombinandosi un numero incredibilmente alto di volte per dare luogo nel corso del tempo a una grandissima varietà di specie… che ci hanno portato a contare oggi sulla terra più di un milione di specie di animali diversi, tra i quali oltre cinquemila mammiferi. Quale futuro ci attende? Verrebbe da dire che la specie umana abbia un futuro interamente da scoprire.
Anche perché accanto a quella che è stata la selezione naturale, c’è stato anche un grande sviluppo della mente, del pensiero umano. Basta guardare il caso, ad esempio, degli antibiotici: dal momento in cui vengono sintetizzati, la specie umana non è più selezionata dall’evoluzione sulla base della propria attitudine a produrre antibiosi, perché anche individui che prima non avrebbero potuto sopravvivere ora sono in grado di tramandare il loro patrimonio genetico. Questo ci fa dire che nemmeno la nostra mente è mai stata ferma, pensiamo ai progressi scientifici, agli sviluppi tecnologici che arrivano fin dentro la mappatura del genoma.
Certo che tutto questo processo tecnologico, scientifico… deve fare i conti con il resto della nostra civiltà, vale a dire con la gestione politica, la responsabilità etica, la progettualità sociale che invece vanno lentissime in confronto.
Perché è in questa intersezione che si possono inserire tendenze regressive, scollamenti tra generazioni, mancanza drammatica di regole… è in queste lacune che la forbice tra ricchi sempre più ricchi e poveri con sempre più figli si va allargando; succede che di fronte alla possibilità di godere dei benefici della rivoluzione tecnologica ci saranno sempre più diseguaglianze, che già ora avvertiamo e che devono farci pensare e preoccupare.
Noi non sappiamo quale sarà l’esito della nostra storia evolutiva, ma oggi abbiamo molta più responsabilità degli uomini e delle donne di ieri. E allora quando Genesi stabilisce la somiglianza tra l’uomo e Dio, questa non va attribuita a una o a all’altra figura che l’umano ha assunto nel corso della sua storia, ma all’umano come progettualità e come sviluppo. La somiglianza riguarda il compimento del nostro futuro.
Paolo intuisce questo e comprende che somigliare a Dio non sarebbe per l’uomo la condizione di partenza da cui procede un inesorabile declino, ma il punto d’arrivo. Non già per una competizione con Dio, ma per realizzare un ricongiungimento, finalmente fuori dalla storia, e ben dentro un principio universale d’amore e d’alleanza come morale assoluta del divino.
In una prospettiva di fede il divenire dell’umanità non è un semplice svolgersi di ciò che già è stato immesso nell’uomo, bensì una vera irruzione di novità: non è solo del futuro che si sviluppa, ma un Avvenire che si costruisce davanti a noi. In termini cristiani potremmo dire che il futuro è un ad-ventus, un avvento: accade, si avvicina, sopravviene, è un muoversi “verso” perché attratti da un’energia avvolgente che chiamiamo Amore.
Secondo Teilhard l’avvenire dell’uomo si colloca sul piano spirituale. Come il cervello umano è composto di milioni di neuroni, costituiti in unità per mezzo di innumerevoli connessioni che danno all’uomo una coscienza unica, così l’uomo non tenderà più a possedersi nella propria interiorità, ma a perdersi per essere posseduto da un Altro.
E questa è un’esperienza profondamente spirituale: l’umanità non può attingere il suo punto supremo di unità interna se non nel momento in cui si abbandona senza resistenze all’amore di Dio, dissolvendosi in un amore superiore. Infatti la crescita continua dell’unificazione sociale, sta a dimostrare come l’umanità sia in processo verso una laboriosa unificazione per la quale una polvere d’anime distinte da Dio ma sospese in Lui, si incorporano progressivamente a Cristo attraverso l’edificazione dell’unità umano-cristiana.
Per la sua seconda venuta, afferma Teilhard, il Cristo attende che la comunità umana sia divenuta capace, perché pienamente sviluppata nelle sue potenzialità ‘naturali’ di ricevere da lui la sua pienezza, il suo compimento.
Noi siamo abituati a pensarci sempre e quasi esclusivamente nella nostra singolare salvezza, a questa la parola di Dio ci suggerisce una prospettiva più ampia quella dell’umanità tutta che converge e muove verso una prospettiva escatologica che interessa la terra nel suo insieme e che, Teilhard chiama il punto Omega.
Ed è camminando in questa direzione che si giocano le nostre responsabilità etiche, morali, civiche. La venuta del regno ha come condizione la maturazione umana, la pienezza della socializzazione dell’uomo, per questo l’urgenza imprescindibile di questa fase della storia umana è lo sviluppo della dimensione spirituale. L’avvenire dell’umanità è condizionato sempre più dalle dinamiche spirituali che popoli, gruppi sociali, comunità famigliari e persone singole espandono nel mondo.
(Is 24,16-23; 1Cor 15,22-28; Mc 13, 1-13.24-27)
[1] Teilhard de Chardin, L’avvenire dell’Uomo, 2011
[2] Aldo Schiavone, Storia e destino, 2007