NATALE DEL SIGNORE - messa nel giorno - Lc 2, 1-14


(Is 8, 23 – 9,6a; Eb 1, 1-8a; Lc 2, 1-14)

Non credo che se avessimo dovuto scrivere noi il racconto della nascita di Gesù, avremmo usato uno stile così dimesso e sobrio come quello di Luca. Per raccontare la nascita del Cristo e presentarlo come figlio di Dio il vangelo non ricorre al linguaggio del mito che esalta gli effetti speciali, ma addirittura racconta che Gesù comincia col sottoporsi al censimento dell’imperatore di turno.

Un censimento per la gente non lascia mai presagire nulla di buono: più tasse, più controlli, più problemi … Anche nella Bibbia il censimento non è mai visto bene: viene inteso come un atto di orgoglio e di superbia del potente di turno per misurare le proprie forze e per ricordare a tutti che sono parte di un sistema, come quello della pax romana dell’imperatore Cesare Augusto (dal 27 a.C. al 14 d.C.).

Siamo tutti abituati a pensare che Maria e Giuseppe non si fossero organizzati e si immagina così che fossero costretti a rifugiarsi in una grotta di pastori. Ma sappiamo tutti che in oriente l’ospitalità è sacra, come possiamo pensare che nessun albergatore o nessuna famiglia abbia accolto una coppia in quelle condizioni?

Noi amiamo immaginare anche che Maria e Giuseppe siano partiti da soli e che all’ultimo Giuseppe abbia cercato un posto per far partorire Maria. Ora è impensabile che nel viaggio da Nazareth a Betlemme Maria e Giuseppe non si siano aggregati ad una carovana o comunque non abbiano avuto la compagnia di altri (se davvero erano così tanti da riempire tutti gli alberghi).

E poi, onestamente, Giuseppe era proprio così irresponsabile da affrontare un viaggio da Nazareth a Betlemme, cinque giorni di cammino per fare circa 150 Km, senza poter contare all’arrivo sull’ospitalità di qualche parente? Non si dovrà piuttosto pensare che egli ancor prima di partire avesse già in mente in quale casa si sarebbe fermato a Betlemme insieme con Maria? Anche perché dopo il parto Maria avrebbe avuto bisogno di riprendersi e non sarebbero ripartiti subito … Insomma il modo in cui nasce Gesù è ancor più ordinario di quello che possiamo immaginare. Non abbiamo bisogno di caricare l’evento di fantasie indebite.

Anche l’insistenza del vangelo nel riferire che il neonato è deposto in una mangiatoia – che è l’indicazione data anche ai pastori – che cosa vuol dire? Il neonato viene messo nella mangiatoia, perché non c’era posto per loro nell’alloggio, dice Luca. Dove per alloggio si intende l’unica stanza – nelle case normali – destinata alla famiglia. Qui dobbiamo essere attenti e rispettosi per la tradizione, ma anche fedeli al testo evangelico. Il termine “alloggio” in greco è lo stesso che incontriamo in Luca (22, 11) quando viene usato per indicare la stanza dell’ultima cena, laddove Gesù celebrerà il dono di sé.

Dovendo cercare in quella stanza un posto che garantisse lo spazio sufficiente e la discrezione necessaria per il parto, allora ci si trasferì nella grotta della stessa casa, che fungeva da magazzino, ma anche da stalla per gli animali domestici (asino, capre, pecore, pollame). Qui si trovava anche una greppia per gli animali dove venne deposto il bambino, dopo essere stato avvolto in fasce.

Come si vede le circostanze della nascita di Gesù non sono drammatiche, però sono sicuramente singolari per raccontare di un Dio che salva.

In una greppia il discendente regale di Davide?

Ma da che cosa può salvare un Dio così?

Un messia che appena nato viene deposto in una mangiatoia?

Quale garanzia di sicurezza e di futuro potrà dare?

La narrazione si fa ancora più suggestiva nella seconda parte del vangelo quando Luca racconta l’annuncio dell’angelo ai pastori, perché c’è un contrasto che non può non sorprendere: il contrasto tra l’annuncio e il segno.

Quel che si va a vedere è molto diverso da quello che ci si poteva attendere, l’angelo parla di un segno: un bambino avvolto in fasce e deposto in una mangiatoia è il re Messia, il Signore, il Salvatore. Un segno che ha del paradossale, proprio come sarà paradossale l’annuncio del Risorto

Ricordiamo di essere nella regione di Davide, nel territorio di Betlemme. Davide stesso era stato pastore e scelto per essere re, preferito ai suoi fratelli che erano in battaglia a combattere i Filistei. La letteratura rabbinica tardiva parlerà male dei pastori, come di persone non troppo per bene, ma stando al Primo testamento, al contrario, dei pastori si parla un gran bene, proprio quei pastori di cui Gesù parlerà nelle sue parabole dove ci racconta che l’essere pastore appartiene al DNA di Dio, il pastore per eccellenza.

Dal racconto possiamo trarre almeno due considerazioni che spero ci aiutino a vivere bene e intensamente il Natale.

C’è qualcosa da salvare oggi? Per alcuni Paesi si tratta di salvare la libertà e la democrazia, per molti oggi si tratta di salvare il posto di lavoro e il proprio impiego; il pianeta stesso attende qualcuno che lo salvi dal disastro ambientale. La salvezza riguarda poi ciascuno di noi intimamente: se sei giovane senti il bisogno di essere salvato dalla noia del presente. L’adulto vuole essere salvato dall’angoscia del futuro. L’ anziano malato e stanco ha bisogno di essere salvato dalla disperazione per trovare un senso nello scorrere dei giorni… Questo desiderio di salvezza dice che la vita di ognuno di noi è un’attesa incompiuta.

In un primo momento cerchiamo una risposta con le cose e nelle cose e passiamo gran parte della nostra vita a ricercare oggetti ed esperienze che ci possano dare soddisfazione.

Non ci sono cose o esperienze che possano soddisfare la nostra attesa, se lo fanno è di breve durata, poi finalmente ci è dato di accorgerci che ci manca qualcuno. Perché da soli non ci salviamo, non troviamo in noi stessi la forza e l’energia necessari per attraversare l’esperienza della vita.

Ecco la narrazione del Natale di Gesù è per dirci che è lui il dono di Dio per noi, è lui la tenerezza dell’Eterno che resiste all’arroganza di Erode e alle volgarità di Pilato. È lui, Figlio e uomo per noi, il bacio del Padre che ci rende più umani e, per sempre, figli. Torniamo dunque a rimettere questo dono di Dio al cuore delle nostre esistenze: vivere come lui ci salva, amare e pensare con lui ci libera dalla tristezza, dalla solitudine, dall’angoscia.

Questo, ed è il secondo pensiero, ci rende a nostra volta pastori di una bella notizia. Ci rende pastori che avendo saputo riconoscere il segno della presenza di Dio nella semplicità e nell’umiltà di Gesù, possono accompagnare altri all’incontro con lui. Possiamo cantare «gloria a Dio» se abbiamo conosciuto che la gloria di Dio è la vita semplice e umile di Gesù, e allora sapremo essere a nostra volta pastori di speranza e di pace per coloro che ci sono affidati.