IV DOPO IL MARTIRIO DI S. GIOVANNI IL PRECURSORE - Gv 6, 51-59


audio 25 set 2022

Ci sono parole che nutrono come il pane e ci sono parole che avvelenano la vita, che rendono faticoso il metabolismo delle relazioni. Quelle di Gesù sono parole che nutrono, parole che riempiono gli occhi e il cuore di vita, di bellezza.

Mentre preparavo questi appunti, al piano di sopra una bimba sta esplodendo in tutta la sua rabbia, ha in corpo le ferite di una violenza subita e la sua piccola mente ne è devastata. Porterà sempre con sé la violenza del nonno che ha voluto abusare di lei, piccola e fragile. Ora vive uno dei quei momenti in cui il suo dolore esplode, questa è la sensazione che avverto nelle sue grida disperate e sofferte, come un urlo di ribellione nei confronti di un mondo ingiusto e di una vita che non le ha preparato niente di buono.

Sono le parole della mamma, calma, dolce, capace di assorbire su di sé l’impeto di quella devastazione che poco a poco riescono a ricombinare l’abbandono e la fiducia. Ma ce n’è voluto prima che la bambina di appena 5 anni si abbandonasse fiduciosa nelle braccia della mamma.

Ecco occorrono parole che nutrono. Gesù ne aveva abbastanza di comandamenti e di regole. La gente quella vera, non i funzionari del sacro e nemmeno i gestori del potere, era un po’ come quella bambina: stanca di essere sfruttata, di essere usata, di subire. I contemporanei di Gesù e noi con loro, siamo stanchi di essere usati per fare soldi, per produrre di più, per funzionare, per fare guerre. Oggi come ieri abbiamo bisogno di verità, di autenticità… in una parola di umanità.

I capi dei popoli continuano a costruire parole come barriere per fare guerra gli uni contro gli altri. I funzionari del tempio usano le parole come dighe ad arginare la moralità e il perbenismo, parole che fungono da muri di contenimento. Tutti questi muri servono a rassicurare solo chi è dentro: per chi rimane fuori non si dà speranza. È carne da macello, è gente condannata a finire nei pozzi neri della storia.

Ci vuole una certa attenzione per osservare come sia tristemente vero che dentro questi recinti fiorisca l’ipocrisia, la falsità e l’inganno. L’ipocrisia di chi prende le distanze dagli altri perché io non sono come loro. La falsità propria di chi dà a vedere quello che di fatto non è e non ha. L’inganno con sé stessi, proprio di chi nel rimuovere le proprie debolezze vuol far vedere presunti super poteri.

Gesù ha parole che nutrono come il pane, non perché ricorra a una retorica estetica, come quando ascoltiamo qualcuno che parla bene e si rimane incantati… poi quando è finito il discorso, uno si domanda: cosa ho compreso? Cosa ha detto? non riesce a formulare nemmeno un pensiero.

Gesù ha parole autentiche, vere, che nutrono perché parlano di lui, della sua vita, del suo modo di stare al mondo: stare con lui è come stare a mensa, alla mensa della sapienza di cui ci ha parlato la prima lettura. Ti nutre lo stare con Gesù perché le sue parole non sono mai banali, scontate, vuote.

A questo punto stavo pensando di fare un collage di frasi che in qualche modo potessero riassumere la bellezza del messaggio evangelico, ma – mi sono detto – perché devo privare i miei amici nella fede dal fare questa fatica?

Perché ciascuno di noi piuttosto non prova a fare un semplice esercizio, ovvero chiediamoci: quale parola di Gesù mi accompagna nella mia vita? Quale frase del Vangelo mi sta a cuore? C’è un detto di Gesù che mi sostiene da sempre e mi dà forza?

Se dovessero scomparire tutte le stampe dei Vangeli, cosa terrei a mente delle sue parole?

Devo essere sincero con voi. Sapete che non riuscire a rispondere a queste domande, deve in qualche modo metterci in crisi, perché significa che conosciamo poco il Cristo. Magari abbiamo un atteggiamento più o meno religioso – come i suoi contemporanei d’altronde – ma di lui sappiamo poco.

Il sostare su una parola di Vangelo, su un detto di Gesù… nutre l’anima. Riempie di senso e di gioia. Per questo il Signore ricorre alla metafora del pane: la sua parola è come pane da mangiare e da metabolizzare.

La vita di Gesù non è una storiella da raccontare ai bambini che vanno al catechismo, va digerita, se mi passate questo termine. Nel senso che abbiamo una vita per assimilarla, affinché diventi per noi sangue e ossigeno, come il pane è nutrimento così che il nostro corpo riprenda a camminare, a lavorare… a vivere! Guardate bene, la sua parola ci nutre non per un qualche interesse, non per un disegno ecclesiastico, nemmeno per una religione: semplicemente perché abbiamo a vivere.

Questa è la differenza profonda tra il modo di vivere di Gesù e quello dei funzionari del tempio: Per la vita del mondo (v.51).

A Gesù sta a cuore questo, la vita, la vita del mondo. Esattamente quello che gli altri sfruttavano, infatti lo hanno tolto di mezzo: Cristo è stato ucciso perché metteva in crisi il sistema sacrificale e di potere degli uomini, per restituirci l’energia creativa e libera dell’amore al posto di quella distruttiva e ripetitiva del potere. Non domino dunque sono qualcuno – e quindi sono fonte di violenza e di morte -, ma sono amato dunque vado bene come sono – quindi sono fonte di creatività e crescita.

Per la vita: Gesù è venuto per questo. E noi cosa facciamo? Cosa possiamo fare? Anzitutto continuare a metabolizzare la parola e la vita di Gesù, il suo essere per la vita del mondo, con la preghiera, la meditazione, lo studio. In una parola amarlo.

Non è stucchevole chiedere a un innamorato: credi alla tua amata? E la frequenti? O ami o non ami, non è un hobby ma la vita intera: più sei innamorato più diventi attivo, creativo, attento. E si vede, non devi dirlo.

E poi, non so quanto ciascuno di noi riesca e possa realmente essere pane per la vita del mondo, certamente già riuscire a compiere scelte e azioni giuste, di pace, di riconciliazione, di condivisione perché il mondo ha fame di libertà, di pace, di giustizia, è importante ed è cosa buona.

Quello che ci ricorda Gesù scegliendo la metafora del pane, è che tutti abbiamo bisogno di pane, tutti siamo pane, pane che viene dalla fatica e dal dolore. Per questo ci ha insegnato a chiedere soltanto il nostro pane quotidiano.

Noi sapete che bestemmiamo ogni giorno questa parola: non avete idea di quanto pane venga buttato, gettato, via, nonostante gli sforzi per la sua redistribuzione. Questa è la nostra condizione: alla fame di giustizia e di pace, di amore e di libertà rispondiamo con quintali di cose, di cui il pane è segno.

Paradossalmente per contro ci mancano le parole capaci di nutrire le relazioni, di alimentare l’amicizia, parole di perdono, di accoglienza.

In una parola ci manca il Cristo. E questo mi fa pensare che il cristianesimo debba ancora venire: il Vangelo deve ancora compiersi. Per questo preghiamo il Signore: dacci oggi il nostro pane quotidiano.

(Pr 9, 1-6; Gv 6, 51-59).