XXIII DEL TEMPO ORDINARIO - Lc 14, 25-33


(Lc  14, 25 – 33)

Abbiamo bisogno di invocare quella sapienza di cui parlava la prima lettura perché i nostri ragionamenti sono timidi e incerte le nostre riflessioni (Sap 9,13ss), di fronte alle parole di Gesù, esigenti e dure, come chiodi che ti inchiodano senza via di scampo: Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita non può essere mio discepolo. E poi ancora: Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me non può essere mio discepolo. E per la terza volta: Chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi non può essere mio discepolo. Per tre volte ripete queste che sono parole che come chiodi che entrano nella carne viva della vita, negli affetti e fissano con dolore la proposta di Gesù, perché lui non vuole tanto o poco, vuole tutto!

Da qualche domenica ascoltiamo parole esigenti da parte di Gesù: prima la porta stretta attraverso la quale dobbiamo passare, poi l’umiltà del discepolo di cui ci ha parlato domenica scorsa … oggi queste tre richieste che riguardano le cose più importanti della vita: gli affetti, la nostra felicità e le nostre cose.

Dove ci vuole portare Gesù? Vuole forse che rinneghiamo la vita nelle sue espressioni più belle e più appaganti? Portare la croce significa forse fare violenza su se stessi e odiare la vita? Significa forse abbracciare discipline ascetiche che ci mortificano? Prendiamo le distanze da una religione che parla questo linguaggio perché abbiamo quasi quotidianamente sotto gli occhi a cosa conduce il fanatismo e il fondamentalismo religioso.

Ci può aiutare nella comprensione di queste parole, dure come chiodi, il richiamare quello che dice il comandamento principale di tutta la Scrittura: Ama il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze.

C’era già il Primo testamento a dire che bisogna amare Dio con tutto il cuore, ma da sempre il problema è questo: quale Dio si può amare con tutto il cuore? Il Dio che benedice un esercito che va ad annientare un altro esercito? Il Gott mit uns scritto sui cinturoni delle SS? Il Dio scritto sul dollaro (In God we trust)? Ebbene quale Dio davvero è da amare con tutto il cuore?

Il rischio, da sempre, è quello che ognuno si costruisca una propria immagine di Dio: così che quando Gesù dice queste parole che esigono per sé un amore che vada al di sopra dell’amore per il marito e la moglie, i figli e i fratelli, non ci chiede di non amare queste persone, ma dice che solo lui è da amare con “tutto” il cuore, lui, Gesù di Nazareth, figlio di Dio, la sua persona che ci narra di Dio, per come lui lo ha raccontato, Dio fonte della vita, ricco di tenerezza e di misericordia.

Quando amo qualcun altro con tutto il cuore, succedono i disastri: perché chiedo a un altro che è come me, un amore che non può darmi. Solo Dio posso amare con “tutto” il cuore, così che allora saprò amare l’altro senza quelle aspettative che lo investono di un compito che non può assolvere.

Se il nostro essere discepoli parte da un cuore così, non possiamo aspettarci però di avere una vita facile, anzi un amore così, proprio perché ama Gesù, è consapevole di incontrare la croce non quale incidente di percorso, ma come conseguenza inevitabile di chi segue il Maestro.

La croce che Gesù ci dice sapremo portare non sono le sofferenze della vita, i dispiaceri che umanamente incontriamo nel nostro quotidiano. Quante volte diciamo che quella malattia, quel dolore è la nostra croce. Ma non è vero, perché questo è proprio della esistenza umana, della nostra vita e della vita di tutti in questo mondo.

Ricordo una famiglia che era molto religiosa, padre, madre e figlio venivano sempre in chiesa, avevano una loro assiduità pregare, facevano le loro devozioni. Un giorno su questa famiglia si abbatté una disgrazia molto grande, un lutto, una morte improvvisa: da allora smisero di pregare e di venire in chiesa e non ci fu verso di aiutarli a capire che quanto era accaduto non era il castigo di Dio.

A questo mi hanno fatto pensare alle parole di Gesù: se cominci a costruire una torre… Perché seguire Gesù non ci fa sconti sulle fatiche della vita, sul dolore che appartiene alla nostra condizione umana … anzi! Però dobbiamo dire che la croce non è la sofferenza umana, piuttosto è il prezzo che paghiamo per essere discepoli, perché viviamo il Vangelo. La croce è la conseguenza che viene dall’essere alternativi in una società che magari accarezza un certo sentimento religioso, o che addirittura si dice cristiana, per poi smentire nei fatti e nelle scelte quello che ha fatto Gesù.

Seguire Gesù non è la tintarella religiosa prodotta da una bella liturgia, da una bella omelia o da un pellegrinaggio ben riuscito … come ogni abbronzatura, non dura a lungo. Ebbene, Gesù ci domanda: se vuoi essere mio discepolo, sei pronto a pagare il prezzo di fronte alla società e al mondo, un prezzo che può arrivare, come è stato per me, sulla croce?

Infine Gesù dice: chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi non può essere mio discepolo. Una frase che possiamo ricondurre sempre al comandamento principale della Scrittura, dove si dice di amare Dio non solo con tutto il cuore e con tutta l’anima, ma anche “con tutte le forze”.  È illuminante il fatto che l’esegesi rabbinica, identifichi quel “con tutte le forze”, con ciò che è il risultato del nostro lavoro, del nostro impegno, ovvero la ricchezza, i beni che siamo riusciti a produrre e che Gesù ci chiede di relativizzare in rapporto a lui.  Perché è la nostra tentazione di sempre, è il modello imperante: più hai, più esibisci, più ti esponi … più conti! Più sei considerato, più vali. Gesù ci restituisce alla nostra più profonda dignità e credo che le sue parole siano per noi oggi fonte di riflessione, ma anche di grande consolazione perché ci dice che noi siamo più dei nostri amori, siamo più della nostra felicità, siamo più del denaro che possediamo.

Il vangelo non ci chiede di fuggire dalla nostra condizione umana, ma di farla fiorire perché la vita di Gesù è stata una capolavoro, un’opera d’arte d’amore, di gioia, di condivisione e di perdono! Seguire Gesù è diventare uomini e donne riusciti, umanamente realizzati.

Diceva Turoldo: «Io non sono / ancora e mai / il Cristo, / ma io sono questa / infinita possibilità».

Noi non siamo oggi né mai il Cristo, ma siamo questa infinita possibilità.

Concludo ricordando una piccola storia. È la storia di quattro sarti che vivevano nella stessa città, nella stessa strada. I tempi erano critici, c’era poco lavoro … Così che il primo decide di affiggere un manifesto: «Qui lavora il sarto più bravo della città». Il secondo quando vide il cartello, decide anch’egli di esporne uno e scrive: «Qui lavora il sarto migliore della nazione». Il terzo allora si decide a fare anche lui il suo cartello e scrive: «Qui lavora il sarto migliore del mondo». Il quarto sarto quando lesse il primo, poi il secondo e poi il terzo manifesto sulle vetrine dei colleghi, volle scrivere anche lui il suo con queste parole: «Qui lavora il sarto migliore di questa strada».

Non ci è chiesto di cambiare il mondo, ma di seguire e amare Gesù qui, oggi, con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le nostre forze.  Noi non siamo oggi né mai il Cristo, ma siamo questa infinita possibilità.