VI DI PASQUA - Gv 14, 25-29
Chi è questo Spirito Santo di cui parlano le letture di oggi? Pietro e Paolo, insieme a Giovanni ci dicono che senza non si può stare. Senza lo Spirito noi stessi saremmo un organismo che produce, consuma, vive e muore. Niente più. Senza lo Spirito la Chiesa sarebbe un’organizzazione, l’autorità un dominio, la missione pura propaganda…
Spirito in ebraico: רוח – rûah (sost. fem.) è un termine onomatopeico del Primo Testamento per indicare l’aria, il vento, il respiro. In senso lato indica qualcosa che si muove e che la capacità di mettere in movimento. Quando la Bibbia viene tradotta il sostantivo femminile ebraico diventa in greco sostantivo neutro: πνεῦμα (da pneo, soffiare). In latino spiritus che è un sostantivo maschile (da spiro, -are: soffiare), da cui il nostro spirito.
Il dono dello Spirito dice Gesù fa due cose: vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che vi ho detto. Non c’è niente di nuovo da imparare, ma si tratta di respirare il soffio di Dio, il soffio che ci fa ricordare le parole di Gesù. Non si tratta semplicemente di tenere in mente, ma di riportare al cuore (re-cordare), perché le parole di Gesù non rimangano alla superficie nelle orecchie, ma scendano nel cuore e lascino il segno (in-segnare) dentro di noi!
Il ricordo permette di ascoltare una seconda volta la parola e questa diventi appunto più incisiva. Quando ascolti una parola per la prima volta comprendi qualcosa, occorre riascoltarla, rileggerla affinché venga ri-conosciuta, ovvero entri in una nuova conoscenza.
Lo Spirito rende viva in noi la parola di Gesù, parola che rischiamo di dimenticare e di lasciar cadere nell’oblio: ricorda e incide nel nostro cuore le sue parole.
Qual è la parola che oggi lo Spirito ci ricorda?
Ecco rispondere a questa domanda è un esercizio spirituale, è aprirci all’ispirazione (che è sempre una questione di spirito) per vivere una vita degna di tale nome.
La prima parola che lo Spirito mi suggerisce la incontriamo nelle parole di Pietro, quando parla di Gesù dicendo: Questo Gesù è la pietra che è stata scartata da voi costruttori, e che è diventata la pietra d’angolo. Ed è interessante per noi perché Pietro legge la situazione che sta vivendo dopo la morte di Gesù, ricordando le parole del salmo 117 –che anche noi abbiamo pregato – e che anche lui aveva pregato chissà quante volte, parole che ora assumono un significato nuovo se riferito al fatto che il Signore è risorto. Gesù è scartato dai costruttori del mondo, eppure Dio lo ha reso fondamento di una nuova umanità, di un nuovo modo di vivere.
Pensiamo quando siamo stati scartati, quando abbiamo subito un’ingiustizia o quando noi stessi abbiamo scartato qualcuno e l’abbiamo messo all’angolo, così ancora oggi continua ad allungarsi la schiera degli scartati. Essi sono gli anziani, i malati, i disabili, i poveri, i migranti…in una società della prestazione e della performance pare del tutto normale e ovvio che si diano degli scartati: uomini e donne vengono sacrificati agli idoli del profitto e del consumo.
Ma facciamo attenzione e dovrebbe essere di insegnamento per noi quanto avvenuto a Gesù, proprio coloro che noi scartiamo dalla vita, coloro che buttiamo giù dalla scala sociale, coloro che talvolta anche nella Chiesa vengono scartati… ebbene proprio loro sono cari al cuore di Dio. Come dice papa Francesco: «In società spesso inquinate dalla cultura dell’indifferenza e dalla cultura dello scarto, come credenti siamo chiamati ad andare controcorrente con la cultura della tenerezza, cioè del prendersi cura dell’altro come Dio si è preso cura di me, di noi, di te, di ognuno di noi» (20.2.2023).
C’è un’altra parola di Gesù che lo Spirito ci ricorda oggi, mi riferisco a quanto Giovanni scrive al v.27: Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo.
Gesù non ci augura la pace, attenzione, ma ce la dona. La pace di Cristo è la ‘sua’ nel senso che la vediamo in lui, nel suo modo di essere e di vivere, nelle sue relazioni e nei conflitti che ha attraversato e per come li ha vissuti.
Non è la pace del mondo, la pace potremmo dire del ‘sistema’. La pace del sistema è l’equilibrio costruito sulla deterrenza. È la logica del nemico, della distruzione e della morte è la corsa agli armamenti. L’umanità ha davanti a sé o l’autodistruzione o la pace universale, che significa disarmo totale e conversione totale delle spese di guerra in spese di pace.
Se dovessimo devolvere l’investimento economico nelle armi, come dice papa Francesco, al problema della fame e dell’istruzione potremmo sfamare e istruire tutto il mondo.
Questa pace di Gesù non è secondo il mondo, secondo il sistema, diremmo noi oggi, un sistema che guarda la realtà come un oggetto da sistemare, appunto da organizzare secondo i gruppi di potere, secondo le logiche della forza. Noi siamo nel mondo, ma non siamo del mondo (Gv 15,18). Siamo nel sistema, ma non siamo nel sistema. C’è un sistema-mondo che non può volere la pace: gli interessi economici e strategici di una parte hanno bisogno delle armi per poter prevalere sull’altra.
Ha ragione Calvino a dire che abitiamo tutti in un inferno e che ci sono solo due modi per uscirne. Il primo che riesce facile a molti è di accettare l’inferno e farne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige un discernimento continuo, vale a dire «Cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli sempre più spazio» (Le città invisibili, Torino, Einaudi 1972).
Parlare di Spirito, e quindi di qualcosa di ‘spirituale’ è insinuare nel sistema qualcosa di alternativo, come lo è stato Gesù ad esempio con il suo non essere violento. Né Pilato, né Erode, ma nemmeno i sacerdoti e gli anziani lo poterono tollerare: era una pietra da scartare dal loro sistema di potere e di controllo. La pace di Gesù è la scelta della non violenza per evitare che la storia diventi “il bancone del macellaio” (Hegel).
Invochiamo il dono dello Spirito affinché ci ricordi le parole di Gesù e queste lascino il segno nelle nostre vite.
(At 4,8-14; Gv 14,25-29)