II DOPO PENTECOSTE - Mt 6, 25-33
(Rm 8, 18-25; Mt 6, 25-33)
A me sembra che il Signore in questa parola del vangelo che abbiamo ascoltato, ci chieda anzitutto uno spostamento dello sguardo, così dice Gesù: Guardate gli uccelli del cielo… e poi: Osservate come crescono i gigli del campo… L’invito del Signore è a spostare lo sguardo centrato su noi stessi e a osservare il creato nel quale siamo immersi. È un invito a renderci conto dell’ambiente nel quale ci ha posti e che riceviamo come dono fin dal primo istante della nostra vita.
Mi sembra molto bella questa opportunità che la parola di Dio ci offre dopo la festa di Pentecoste: ricominciamo da capo, dalla creazione. Torniamo a riscoprire non solo i doni di Dio posti dentro il nostro cuore e nel cuore di ogni persona, ma ritroviamo il grande dono del creato, della natura… L’abbiamo ripetuto con le parole del salmo 135: Ha creato i cieli con sapienza, ha disteso la terra sulle acque, ha fatto il sole per governare il giorno, la luna e le stelle per governare la notte…
Già questa capacità di guardare il creato con occhi diversi, con quello sguardo che ci viene suggerito da Gesù, ci aiuta a compiere anche un cambiamento mentale e culturale. Sì, perché anche la riflessione teologica cristiana sfortunatamente nei secoli trascorsi ha inteso sostenere la storia umana e il suo dominio come valori supremi, dimenticando la responsabilità verso il creato e il rispetto che dobbiamo al ritmo della terra che continua a sostenerci.
Siamo chiamati a rivedere quell’antropocentrismo, quel mettere l’uomo al centro sempre e al centro di tutto che certamente ha fatto evolvere la nostra umanità, ci ha fatto crescere in tante dimensioni, pensiamo a quella della cura della salute, della tecnica, dei diritti umani, del rispetto di ogni persona qualsiasi sia la sua provenienza… ma ci ha fatto dimenticare quello che ci ricordava Paolo nella lettera ai Romani, ovvero: l’ardente aspettativa della creazione che è protesa verso la rivelazione dei figli di Dio.
Con tutta la creazione camminiamo verso la libertà dei figli di Dio, consapevoli del fatto che come esseri umani siamo una specie tra molte e per questo siamo interconnessi con gli elementi dell’universo. Senza rendercene conto con la genuina preoccupazione di mettere l’uomo al centro gli abbiamo dato il potere assoluto di «dominare» la creazione. Ma se tutto ciò che Dio ha fatto «è cosa buona» come ripete la Genesi, non si capisce perché occorra un dominio, perché occorra qualcuno che la faccia da padrone. Dominare non è esattamente il mandato della Genesi che affida all’uomo la responsabilità di «custodire» il dono di Dio che è il creato. Si tratta di capire che la biosfera non è un ambiente, uno sfondo di carta da parati, una scena di teatro sulla quale l’uomo inopinatamente domina, ma che è affidata alla sua custodia. Ma che cosa significa custodire?
Lo sguardo che Gesù ci chiede di cambiare sul creato osservando gli uccelli del cielo e i fiori del campo, non solo ci dice che non siamo padroni e signori del creato, ma ci dice che non siamo nemmeno come i custodi di un museo, perché abbiamo la responsabilità di cooperare alla creazione, la perfezione della creazione si ritrova nella associazione tra Dio e l’azione dell’uomo. Dio chiama l’uomo ad unirsi a lui e a completare la sua opera, nello sviluppare le risorse naturali… a condizione che l’uomo vigili sul mondo, se ne prenda cura, sentendosi responsabile per tutta l’umanità.
C’è un racconto del Talmud che mi sembra assai eloquente.
Un giorno un pagano si mise a discutere con un rabbino sulla creazione.
Per prima cosa il pagano chiese: Se Dio ama i poveri, perché non li sostenta lui?.
Il rabbino rispose che il desiderio di Dio è quello di associarci nel perfezionamento della società e diventare così partner di Dio nella creazione.
Allora il pagano volle porre una domanda ancora più insidiosa: Quali sono le opere migliori: le opere di Dio o le opere dell’uomo?
Il rabbino sorprendentemente rispose: Le opere dell’uomo.
Ma il pagano riprese: Osserva le stelle nel cielo!
Al che il rabbino rispose: Guarda il grano questo è un lavoro divino. Guarda il pane, questo è il lavoro dell’uomo. La vera perfezione si ottiene soltanto quando l’uomo associa i suoi sforzi con le opere divine diventando in tal modo un partner con Dio nella creazione.
Mancando di questa responsabilità, è ovvio che accada di essere preoccupati e angosciati perché le risorse della terra non sono illimitate. Ed è chiaro che se considero la vita come dipendente esclusivamente da me e dimentico di essere corresponsabile per e con gli altri, ho tutte le ragioni di affannarmi.
Questo fatto denuncia la profonda correlazione tra il nostro approccio alla natura e l’approccio con gli altri, con la società. Il servirsi della terra per i propri scopi si accompagna alla manipolazione degli esseri umani attraverso il potere e il dominio. La distruzione dell’ecosistema è allo stesso tempo causa di ferite di ingiustizia nel corpo sociale. Il modo di vivere che pratichiamo in riferimento al creato dice se siamo violenti o non violenti e se lo siamo anche nei confronti del prossimo. Come lo sta a dimostrare la battaglia di questi giorni a Istanbul da parte di cittadini in difesa di seicento alberi: novecento arresti, mille feriti, quattro accecati per sempre!
Per questo c’è bisogno di un mutamento di paradigma nella nostra relazione con la natura e con la terra che a sua volta porti una trasformazione anche dei rapporti tra gli umani. Pensiamo ad esempio ad alcuni sforzi come la creazione di parchi naturali per la conservazione di specie animali protette e simili, sono soluzioni tecniche non all’altezza della sfida morale e spirituale ingenerata da un uso avido e sprecone delle risorse naturali. Ma anche noi non possiamo pensare di goderci la natura per qualche giorno di vacanza e poi vivere il resto dell’anno come se le nostre azioni non avessero delle conseguenze sull’ambiente, sul creato.
Quando Gesù dice: Cercate il regno di Dio e la sua giustizia, che cosa ci vuol dire? Si tratta anzitutto di «cercare il regno di Dio, appunto cercare di avere uno sguardo che non mette noi al centro di tutto, ma il dono di Dio, il suo regno. Il regno di Dio sappiamo che è la storia umana, la città e l’intelligenza dell’uomo, ma anche il campo del seminatore, il lago che dona i pesci… impariamo ogni giorno a riconoscere che il regno è di Dio, e che l’uomo e il creato sono dono di Dio. In questo sguardo, cerchiamo anche «la giustizia del regno di Dio», il giusto rapporto con la creazione, cerchiamo con il nostro lavoro un comportamento equo, sobrio, giusto, rispettoso consapevoli di essere chiamati a lasciare un mondo, se non migliore, almeno vivibile ai nostri figli.
E se oggi la cosiddetta «crisi» mette in discussione un modello di sviluppo e di crescita, la risposta esige sicuramente la spending review, ma passa anche attraverso una profonda riflessione su quale giustizia abbiamo costruito e stiamo costruendo in rapporto al disegno di Dio. Ed è ciò che chiediamo tra poco nelle parole che Gesù ci ha insegnato quando pregheremo così: Venga il tuo regno e dacci oggi il nostro pane quotidiano.