VI DI AVVENTO Domenica dell’Incarnazione o della Divina Maternità della beata Vergine Maria - Lc 1, 26-38a
Cosa dire di nuovo che non sia già stato cantato, predicato, spiegato del mistero di questa ragazza chiamata a diventare madre del Figlio di Dio?
Il vangelo è sempre lo stesso, non cambia. Siamo noi che cambiamo, diceva papa Giovanni XXIII: è il contesto storico che muta e rapidamente esige da noi nuovi significati, così che noi oggi non siamo semplici ascoltatori di un annuncio che si ripropone uguale e immutabile… ma ci domandiamo, come Maria, che senso abbia questo annuncio, per noi.
Avvertiamo tutto lo scarto che c’è tra la nostra condizione e quella di Maria, ci rendiamo conto che davanti alla piena di grazia, noi siamo pieni di male, di violenza, di invidia… ma non per questo Maria è meno umana di quanto non ci sia dato di percepire in prima istanza, perché prima che giunga a dire di essere la serva del Signore, Maria in realtà esprime tutta la sua fatica, la sua incomprensione e così pone delle domande, vorrebbe capire di più e per questo fa delle obiezioni all’angelo…
Anche perché, umanamente cosa poteva comprendere di quello che le ha detto l’angelo? Maria non dice: ho capito tutto, mi va bene. Non si è nemmeno messa a porre condizioni ragionevoli come in una trattativa. Ha detto: Non capisco tutto, non mi è poi così chiaro che cosa succeda, ma mi fido di Dio. Di Dio mi posso fidare.
Così noi oggi non comprendiamo bene come stia andando questo nostro mondo e tanto meno che senso ci sia nelle cose e quale sia il disegno di Dio. Vediamo bene ciò che combina l’uomo: lasciamo annegare 700 bambini nel Mediterraneo, ma poi ci piace servirci del presepe come avrebbe fatto Erode per la propria gloria… sulla pelle degli altri!
Qualcuno può dirci perché nel Burundi si sta perpetrando un’ennesima guerra civile con stragi quotidiane e nessuno ne parla? Perché tutto ciò avviene nell’indifferenza più totale?
Come facciamo a parlare di pace, se i piani strategici delle imprese che producono armi hanno messo a budget ancora due anni, due anni e mezzo di guerra in Siria?
Come fa la storia umana ad essere ancora gravida di Dio?
Gli storici spiegheranno un giorno le trame segrete delle cancellerie dei potenti; gli economisti motiveranno gli spostamenti e gli investimenti; i giornalisti cercheranno di raccontare gli eventi… ma a noi, in questo tempo, mancano profeti che come fece Isaia, possano arrivare ad annunciare: Dite alla figlia di Sion: ecco arriva il tuo salvatore!
Nel Primo testamento l’espressione «figlia di Sion» indicava un quartiere di Gerusalemme, un sobborgo di sfollati e di poveri, sorto a nord della città, come una propaggine, oggi diremmo una periferia. Era un suburbio divenuto asilo di fuggiaschi che vi avevano cercato rifugio dopo la distruzione della Samaria da parte degli Assiri nel 721 a.C. La voce del profeta chiama questo quartiere «figlia di Sion», figlia della capitale!
Così dunque la figlia di Sion era, geograficamente e socialmente, una periferia gerosolimitana.
La comunità cristiana vede in Maria la «figlia di Sion», è lei la ragazza chiamata dalla periferia dell’impero a diventare gravida della promessa di Dio.
La pienezza della storia di Dio con l’umanità, la Parola eterna che si fa carne umana nel grembo di Maria, è un evento che si iscrive in una periferia anonima dell’Impero romano, in un villaggio di periferia. Qui, nell’ombra di una casa, nel nascondimento dell’umiltà, la novità di Dio, lo straordinario che si fa evento, viene a visitare questa periferia esistenziale per trasformarla in dimora di Dio.
È proprio qui che l’Altissimo proclamato per ben due volte dall’angelo (vv.32.35), si fa il Bassissimo, perché nulla è impossibile a Dio (v.37).
Oggi, noi siamo qui per dire all’uomo e alla donna del nostro tempo: Nulla è impossibile a Dio!
Quante volte ci è capitato di fare l’esperienza dell’impossibilità! Dopo avercela messa tutta con grande impegno e volontà, ci siamo ridotti a dire: non è possibile. Non ce la faccio. Se poi ci guardiamo intorno e appunto vediamo cosa succede intorno a noi: non è possibile pensare alla pace, alla giustizia, all’onestà, al rispetto. Non è possibile, ci sono troppi interessi più o meno espressi che governano il mondo…. siamo costretti a dire a noi stessi: Non c’è più niente da fare, le cose non cambiano.
Dobbiamo imparare dai profeti, impariamo dall’angelo… la parola di Dio ci ribalta come dei calzini nelle nostre sciocche arroganze e viene a dirci: la figlia di Sion è il luogo della salvezza!
Proprio quel quartiere di periferia, quel brandello di convivenza umana… dove sembrava impossibile un qualsiasi cambiamento, una pur piccola speranza di miglioramento, sarà chiamata Ricercata, Città non abbandonata. Come a dire che è proprio a partire dal più escluso, dalla realtà di cui nessuno parla e a cui nessuno da importanza, può iniziare quel cambiamento che rende il mondo gravido dell’amore di Dio.
Se noi non ci convertiamo a questo, se inseguiamo i criteri della mondanità, della superficialità, del selfie e del narcisismo, continueremo a portare legna al falò delle divisioni, delle ingiustizie e della mancanza d’amore, dell’incapacità a donarci, a spenderci gratuitamente per amore.
L’impossibilità dell’uomo, diventa il luogo della possibilità di Dio. Lo possiamo riconoscere anche nella nostra esperienza personale: dopo anni di impegno cristiano non riusciamo a vedere in noi miglioramenti, non registriamo grandi progressi… e ci rassegniamo al fatto che gli ideali della vita evangelica sono per noi impossibili.
Ricordate quando Gesù disse ai discepoli: «È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio». E per tutta risposta loro ribatterono: «Allora, chi può essere salvato?». Gesù li guardò e disse: «Questo è impossibile agli uomini, ma a Dio tutto è possibile» (Mt 19, 24-26).
In verità, Gesù ci fa sperimentare sino in fondo ed in modo inatteso, la impossibilità di seguire il cammino sul quale lui stesso ci ha avviati.
Se sapessimo ciò che Gesù aspetta da noi in quel momento critico della nostra vita, se sapessimo ciò ch’egli attende da una tappa che non è un regresso, come noi immaginiamo, ma una messa in atto delle condizioni per una nuova partenza, per la scoperta di una vita secondo lo Spirito e la fede, con la convinzione, che ancora dobbiamo acquisire, che una tale vita è possibile con Gesù!
Come l’alpinista preso da vertigine, non abbiamo più il diritto di guardare verso il basso, di seguire con lo sguardo la parete a cui siamo aggrappati, sotto pena di staccarcene o di non poter più avanzare: siamo condannati a guardare solo in alto oppure a non arrivare alla méta.
A noi che in qualche modo siamo la figlia di Sion, siamo la chiesa di Gesù, e portiamo tutto il peso della fragilità della nostra umanità, l’angelo del Signore torna a dire: «Nulla è impossibile a Dio».
Il cambiamento consiste nell’aver compreso che una vita evangelica è umanamente impossibile, che Dio doveva trovare il modo di farcelo capire, e che tuttavia essa è possibile a Dio, nella fede.
Perché se è vero che noi camminiamo verso la nascita e la presenza tra noi del Figlio di Dio, che viene a liberarci dal Male e dalla Morte, è ancora più vero che la nostra fede e la nostra comunione con il Signore, per grazia sua e malgrado noi, continua a crescere, non perché noi “avanziamo” o “miglioriamo”, ma perché Lui entra sempre più profondamente nella nostra vita.
Il Natale di quest’anno sarà ben più ricco e profondo di quello dell’anno scorso perché il Signore avrà ancor più misericordia di noi e farà ancor più bello il “presepio” nel quale accoglieremo il Figlio di Dio, che nasce tra noi come il più piccolo di noi, affinché anche il più piccolo di noi non sia solo, ma sia preso per mano e condotto alla pienezza dell’amore e della pace.
Natale è per noi, per le nostre famiglie, per coltivare gli affetti e i legami, ma sia anche l’occasione di annunciare alle innumerevoli figlie di Sion che sono le situazioni di paura, di convulsione ideologica, di marginalità che abitano il nostro mondo, che nulla è impossibile a Dio!
(Is 62,10-63,3; Fil 4, 4-9; Lc 1, 26-38)