DOMENICA DI CRISTO RE - Ultima dell’anno liturgico - Gv 19, 33-37


audio 5 nov 2023

Il dialogo che il vangelo di Giovanni ci ha fatto ascoltare è un piccolo estratto del confronto, del faccia a faccia tra due sistemi di pensiero, tra due modelli di affrontare la vita.

Pilato è un funzionario imperiale, appunto un funzionario, uno che ‘funziona’ nel sistema di potere e di violenza, al quale è asservito. Né riesce a pensarsi altrimenti, perché la sua carriera sarebbe finita, il suo potere verrebbe svuotato. Come deve essere triste far sì che la nostra vita debba funzionare dentro un sistema di violenza, di dominio, di sfruttamento. Eppure senza che ce ne rendiamo conto, tutti noi ci siamo dentro fino al collo.

Di fronte all’uomo di potere, al funzionario dell’impero, c’è un uomo che non ha fatto nulla di così grave per essere condannato a morte – il funzionario questo lo sa, perché non è stupido -, e avrebbe ancora forse qualche possibilità di salvarsi la pelle, potrebbe scendere a compromessi, ritrattare alcune cose, magari sfumando espressioni che potevano irritare il funzionario. Gesù poteva ‘accomodarsi’ e avere una lunga vita davanti a sé.

Un filosofo francese del XVI sec, Etienne de la Boetie, si chiedeva come potesse accadere che così tanta gente, città e villaggi e interi popoli alla fin fine stessero sotto un tiranno, il quale in fondo non ha altro potere di quello che i suoi sudditi gli permettono di gestire[1]. Era sorpreso, questo giovane filosofo, dal vedere un numero infinito di persone non obbedire, ma servire; essere non governate, ma tiranneggiate… e non da un Ercole né da un Sansone, ma da un ometto solo.

Come può un tale tiranno mantenere il potere quando un popolo potrebbe liberarsene non con la violenza, ma semplicemente rifiutando di acconsentire al proprio asservimento?

Gesù ha dato inizio a una transizione che anche noi stiamo vivendo a livello planetario, tra passi avanti e passi indietro, ed è un processo millenario che procede dal governo della violenza a quello del consenso. Non è una transizione lineare, anche perché tra i vari rigurgiti di autoritarismo, gioca oggi un ruolo ancor più decisivo la comunicazione, il potere della propaganda.

Comunque Gesù davanti a Pilato non ha esitazioni, è chiarissimo: io non vivo in questo modo, il mio regno non è di questo mondo. Qui non è in questione un territorio, siamo di fronte a una traduzione imperfetta dell’ebraico malkut che denota l’esercizio della sovranità divina, senza alcun riferimento a un’estensione territoriale. Il verbo sostantivato “il regnare” sarebbe assai più preciso, ma poco scorrevole.

È il governare la vita non secondo la logica del mondo. Gesù pone l’alternativa alla violenza, al dominio, alla sopraffazione e allo sfruttamento: è un altro modo, un altro pensiero, un altro criterio.

Siamo dinnanzi a valori inconfrontabili: la violenza non può rimediare alla violenza. Il regnare di Gesù non si afferma né si difende con atti di violenza è il regno della comunità messianica, la comunità, la cui identità messianica si rivela nell’amore reciproco. Il suo amore e il suo rifiuto della violenza sono essenziali alla fede nella messianicità di Gesù e indispensabili per rendere nota al mondo tale messianicità.

Era talmente dirompente questa proposta che, per quanto Gesù non rappresentasse una minaccia armata per l’ordine imperiale costituito, la sua esecuzione pareva l’unico modo per renderla impraticabile! Non possiamo cambiare il mondo, senza disturbare nessuno.

Dio poteva senz’altro aspettarsi che uno come Gesù sarebbe stato eliminato da un ordine basato sulla violenza. Non è Dio che ha voluto che Gesù venisse ucciso, né ha manipolato gli uomini forzandoli a sacrificarlo. Gesù andava eliminato perché rappresentava la minaccia più radicale che si fosse mai vista contro la spiritualità, i valori e gli espedienti del sistema mondano fondato sul dominio.

Gesù ci dice anche come fa lui ad avere questo coraggio e dove trova la forza. Noi risponderemo subito: in Dio. Certamente, nel senso che solo chi è libero dalla paura della morte è capace di rompere la spirale della violenza.

Lo studente cinese che stette fermo in piedi per un’eternità di minuti di fronte a una colonna di carri armati in piazza Tienanmen ha offerto una manifestazione visiva di questo potere. Come diceva profeticamente Martin Luther King, l’universo tende alla giustizia.

Gesù che ha accettato di subire la violenza dell’intero sistema, con la croce ci offre il paradigma ultimo della nonviolenza. Per mezzo di essa, Dio apre una nuova via percorribile con concretezza e coerenza.

La non violenza di Gesù rispecchia la vera natura di Dio, il suo regnare, che per mezzo della croce sta dinnanzi a un’umanità chiamata a scegliere da che parte stare. Se Dio non avesse manifestato il suo amore per noi con questo atto di debolezza assoluta, un atto non coercitivo né strumentale, avremmo ricevuto la verità sul nostro essere come un’imposizione e non come un atto di libertà.

(Gv 19,33-37)

[1] Cf. Discorso sulla servitù volontaria.