VI DI PASQUA - Gv 16, 12-22


audio 22 mag 2022

C’è una cosa tra le tante che Gesù ci chiede e che come cristiani facciamo fatica a fare. Eppure anche nelle parole di oggi è abbastanza chiaro: quando si tratta di preparare i suoi alla sua morte, Gesù non ha lasciato delle reliquie, ma ha promesso il dono dello Spirito.

Eppure di pregare, di invocare lo Spirito santo proprio non sembra entrare nel modo di fare dei discepoli oggi.

Non siamo stati lasciati soli da Gesù, anzi abbiamo proprio bisogno del dono dello Spirito quale “maestro interiore” di un Dio che non è più da ricercare fuori di noi, ma da scoprire in noi come presenza che ha messo in noi la sua dimora.

Lo Spirito non parlerà da se stesso, ma prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà, dice Gesù. Quindi non è uno Spirito che debba rivelarci chissà che cosa di nuovo, non abbiamo bisogno di nuove rivelazioni, ma è uno Spirito che annuncia, a chi ha il cuore pronto, le parole di Gesù.

La prima cosa che preoccupa il Signore non sono tanto le incomprensioni, le persecuzioni, le ostilità della vita e della società che i discepoli dovranno incontrare… ciò che sta a cuore al Signore è che noi abbiamo a tenere vivo il Vangelo e stare nella condizione di chi non smette mai di ascoltare quello che lo Spirito dice delle parole di Gesù. Lo Spirito non sorprende con soluzioni o ricette di comportamento, ma permette al Vangelo di essere vivo, di parlare ancora.

Quale parola di Gesù ci suggerisce lo Spirito santo in questo nostro tempo? quale parola del Padre può aiutarci a vivere oggi?

Non stiamo cercando una bella intuizione o una di quelle frasi a buon mercato che distillano pillole di pseudo sapienza… il Vangelo di Gesù non è la collezione di frasi tipo “Baci Perugina”, anzi la Parola di oggi ci dona di incontrare un’esperienza tosta, quella di Paolo, un’esperienza che noi chiamiamo ancora “conversione sulla via di Damasco”, anche se in realtà Saulo di Tarso non ha compiuto una “conversione” nel senso comune del termine: egli non è passato dall’incredulità alla fede in Dio. Paolo cambia sì atteggiamento, ma non rompe con la fede di Israele!

Ciò che avvenne nell’ora di Damasco per Paolo non fu una “conversione” in senso stretto, piuttosto è stata una rivelazione, come dice nel suo stesso racconto con la metafora della luce e della cecità: lui giovane fariseo promettente di Tarso, mandato a studiare a Gerusalemme, alla università di Gamaliele, lui che era un presunto illuminato, divenne cieco.

Eppure stava bene, era convinto di fare la volontà di Dio perseguitando “quelli della via”, così erano chiamati i discepoli di Gesù a Gerusalemme, prima che ad Antiochia venisse coniato il termine “cristiani”. Paolo gioiva nel mettere in catene, uomini e donne “della via”.

Lo zelo era tale che andava in missione perfino all’estero, al punto da spingersi fino a Damasco per una rappresaglia.

Ebbene quale parola di Gesù cambia la vita di Paolo? Cosa ascolta per dirsi “folgorato sulla via di Damasco” al punto da fargli compiere un radicale cambiamento e una rapida sterzata?

Nel suo racconto dice di aver ascoltato queste parole di Gesù: Saulo, Saulo perché mi perseguiti? Io sono Gesù il Nazareno che tu perseguiti.

La sua è stata sicuramente un’esperienza personalissima, ma il contenuto delle parole che Paolo ascolta non è affatto nuovo, è una parola del Vangelo trasmesso da Matteo quando Gesù afferma: Tutto quello che avete fatto a uno di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me!  (25,40).

Quante volte l’abbiamo ascoltata questa frase! Ci sono delle parole che sentiamo migliaia di volte, eppure basta che arrivi una volta precisa dentro al cuore che si apre tutto uno scenario diverso della vita e del mondo.

Così è per Paolo. Credeva di essere un illuminato, di sapere cos’era la verità… quando lo Spirito rende viva questa parola di Gesù per lui. E non è che subito si trova consolato, felice, realizzato… piuttosto sprofonda nell’oscurità.

Il suo cambiamento avviene nel momento in cui deve fare i conti con la sua religione  cieca e oscurantista che arriva a sacrificare l’uomo in nome di Dio, pensa sia giusto uccidere una persona in nome di Dio, usare violenza contro l’altro in nome di Dio.

Quando Paolo accoglie la parola di Gesù che gli dice: Quello che fai a un altro uomo, a un’altra donna lo fai a me, allora si rende conto della sua ottusità. Non agiva in nome di Dio, ma in nome della propria paura, della propria arroganza e insicurezza che gli hanno oscurato la mente e indurito il cuore.

Cosa fa lo Spirito santo? Succede che talvolta suggerisca anche carismi particolari, visioni ed esperienze uniche… la cosa più illuminante che lo Spirito compie per Paolo è fargli ascoltare la parola di Gesù che lo fa rientrare in se stesso per rendersi conto che la sua violenza e il suo odio, che giustifica nel nome di Dio, sono in realtà una bestemmia.

Paolo non incontra una nuova religione o una nuova dottrina, ma come dice lui con grande onestà: «Io perseguitai a morte questa via». È interessante questa definizione, perché esprime bene che quella di Gesù è una strada da percorrere, un cammino da compiere.

Seguire Gesù è mettersi sulla strada, sulla sua strada… non significa abitare in un palazzo, in una fortezza, e non sono solo le fortezze e i palazzi del potere, ma anche le nostre barricate interiori, i nostri blocchi mentali e religiosi come spesso sono i sistemi di presunte verità che altro non sono che tentativi di fermare la corsa del Vangelo, quasi di congelare in blocchi teorici e astratti la vitalità dello Spirito.

Quella di Gesù è una via e come tale chiede quella leggerezza e quella disponibilità che il mettersi in cammino esige.

Il Vangelo è la nostra via che ci insegna che la vita non si affronta con il piglio del combattente, con arroganza, ma con l’ascolto. La fede non è una tabella di marcia, ma una “via” da percorrere insieme con fiducia, con lo sguardo di chi sa vedere nelle sofferenze e nelle fatiche che inesorabilmente si incontrano, le doglie del parto.

Lo Spirito, dice Gesù, vi guiderà a “tutta la verità”. Nel testo greco – e non è un particolare da poco – non c’è il complemento di moto a luogo, come a dire verso la verità, come si va verso la conquista di un concetto o di una cosa, bensì il complemento di stato in luogo: dentro la verità. Questo significa che lo Spirito non ci porta a “possedere” Dio, come si possiede una certezza matematica, ma a dimorare nella verità, a stare in relazione con un Dio vivo, palpitante, che abita la vita.

Questo esige da noi una cosa importante e difficile oggi, vale a dire un atteggiamento di disinteresse, che è la capacità di saper ascoltare, senza un interesse, senza calcolo, senza pensare: ma cosa ci guadagno io da questa situazione?!

Ad un certo punto della vita Paolo, che credeva di avere la verità in tasca, si zittisce e starà in ascolto di Anania per almeno due anni: lui che aveva la verità da usare come un manganello contro gli eretici, deve imparare ad ascoltare e imparare che quello che fai a uno solo di questi fratelli e sorelle in umanità, lo fai a Dio.

Non è poco.