IV DOPO PENTECOSTE - Lc 17, 26-30.33


(Gen 6, 1-22; Gal 5, 16-25; Lc 17, 26-30.33)

Chi cercherà di salvare la propria vita la perderà, ma chi la perderà la manterrà viva. Sono queste parole di Gesù la chiave di volta del messaggio della parola di Dio di questa domenica. Ad una prima lettura ci appaiono esagerate, fuori dal tempo e forse anche pericolose, perché possono benissimo essere messe sulla bocca di un estremista, di un fondamentalista, di quelli che considerano la propria vita meno importante di un’idea, di un’ideologia al punto da farsi saltare in aria per la causa che gli hanno detto essere importante.

Che cosa intende Gesù per «salvare la propria vita» e che cosa intende per «perderla», lett. mandarla in rovina?

A me sembra che queste parole di Gesù siano la risposta alla pagina drammatica della Genesi, come l’antidoto a quella situazione così chiaramente descritta nel racconto di Noè al v.5: Il Signore vide che la malvagità degli uomini era grande sulla terra e che ogni intimo intento del loro cuore non era altro che male. Potremmo dire che un giudizio così duro è comunque di grande attualità al punto che, come scrive sempre la Genesi, anche oggi il Signore potrebbe pentirsi di aver fatto l’uomo!

Ma di quale male è capace l’uomo al punto che sembra scoraggiare Dio stesso? Al v.11 si dice chiaramente che: la terra era corrotta davanti a Dio e piena di violenza. Corruzione e violenza. Niente di nuovo.

La corruzione è talmente incistata nel cuore dell’uomo, insediata nelle relazioni, pervasiva nel mondo del lavoro  – quello che dovrebbe essere il nostro modo di cooperare con Dio nella creazione diventa terreno di corruzione, di tangenti, di mafie – al punto che ben poco potrà fare un commissario ad hoc! La situazione è tale da far sì che Dio si penta di aver fatto l’uomo.

Della violenza poi non parliamone: pensiamo alla violenza sanguinosa in medio oriente, nei paesi africani, violenza che uccide, che sradica dalla terra, che va contro i diritti umani… ma anche alla violenza in casa nostra, dentro i rapporti famigliari, nelle parole, nei pregiudizi… pensiamo anche alla violenza che viene dall’indifferenza di fronte all’ingiustizia, all’emarginazione, alla discriminazione, anche questa è violenza.

Visto così il diluvio non è semplicemente il castigo di un dio arrabbiato che punisce l’umanità corrotta e violenta, ma è l’implosione di un mondo corrotto e violento. Noi ci scandalizziamo del male, tanto che spesso obiettiamo: Come può Dio permettere certe cose? Come può essere compatibile l’esistenza di un Dio con fatti simili?

Queste reazioni di fronte alle conseguenze del peccato sembrano mostrare tutta la nostra sordità profonda, ostinata e voluta perché abbiamo la parola di Dio e ancora non vogliamo comprendere.

Proviamo a domandarci: dopo aver ascoltato la prima lettura vi sembra che Dio voglia il diluvio o no? Il Signore appare sorpreso dal male dell’uomo, poi reagisce in maniera scomposta tra l’ira e la misericordia. Prima vuole distruggere tutto e subito dopo sembra pentirsi di essersi pentito. Per un verso Dio sembra volere il diluvio, ma dall’altra parte fa costruire l’arca dove salvare i rappresentanti della creazione. Non siamo di fronte a una favola, la parola di Dio assume un materiale che viene da lontano: nella storia dell’umanità, in tutte le culture, il mito di una rinascita universale morale e civile sembra affidato a una sorta di bagno purificatore. Infatti esistono racconti simili non solo nell’Oriente antico, specie in Mesopotamia, ma in tutti i continenti: nelle Americhe, in Africa, in India, in Cina e persino presso gli Eschimesi.

Ma qui abbiamo qualcosa di più del mito rigeneratore, abbiamo uno degli insegnamenti più belli sulla giustizia di Dio e sulla sua politica di fronte al peccato, ovvero di fronte alla corruzione e alla violenza.

Prima che cominci a cadere l’acqua sulla terra, un vero e proprio diluvio è già avvenuto sul genere umano, il vero diluvio, quello più grave, di ordine spirituale e morale, è già avvenuto nelle coscienze degli uomini e delle donne. Le acque per un popolo non marinaro, ma nato nel deserto, presentano sempre una connotazione di minaccia incombente e di pericolo per la terra, segno di confusione, di distruzione. Noi diremmo piuttosto: l’uomo malvagio va’ all’inferno! Andare all’inferno o annegare nelle acque del diluvio è la stessa cosa, perché l’uomo che uccide il Signore nel suo cuore va all’inferno, l’inferno cioè si accende nel suo animo e diventa egli stesso il proprio inferno e gli altri diventano per lui un fuoco infernale. Chi si è allontanato una volta davvero dal Signore sa che non mento. Sa che l’inferno esiste perché c’è stato.

Che cosa fa dunque il Signore di fronte alle grandi acque del male? Dio non risolve il problema del male, non cerca soluzioni, ma inventa Noè (Noach, dal verbo nacham, consolare), Noè “consolazione del Signore”. E questo ci sorprende perché difronte alla violenza e alla corruzione Dio non fa cose grandi, rivoluzioni o riforme, ma fa cose piccolissime, povere, insignificanti al punto da sembrare ridicole. Inventa Noè chiedendogli di costruire un’arca di legno in piena campagna ed esponendolo al ridicolo.  Noè che in tutto il racconto non dice nulla e rimane in silenzio, figura del giusto che si mantiene fedele e obbediente tace e agisce. Non è facile mettersi a costruire una nave in aperta campagna, quando la gente intorno ti deride e ti prende in giro: «Che stai facendo? Vuoi andare in barca sui monti?». Noè continua a fidarsi di Dio. Noè non ci dà solamente l’esempio che di fede si può vivere, ma è soprattutto testimone del fatto che solamente con la fede ci si può salvare. La fede che salva è follia per gli occhi dell’uomo corrotto e violento.

Non solo, se leggiamo con attenzione, ciò che Noè è chiamato a costruire è più che una nave, appare piuttosto simile a un tempio! Infatti ha una forma rettangolare di 150 metri di lunghezza, 25 di larghezza e 15 di altezza (il cubito antico è di circa 50 cm) che non a caso si fermerà sul monte. Dentro questo tempio si riproduce il cosmo: ai tre piani corrispondono il cielo, la terra e il mondo sotterraneo con le specie animali. Ecco la proposta di Genesi: esercitando il culto nel tempio con i suoi sacrifici l’uomo ritualizza in maniera accettabile la sua forza distruttrice e il sacrificio è gradito a Dio! Con il culto l’ira di Dio si placa e il mondo torna in pace… fino al prossimo diluvio!

Vediamo bene che nemmeno questa strada sarà sufficiente, non è il culto, non è la religione che salva, che cambia il mondo, anzi molte volte le stesse religioni sono state e sono motivo di una violenza e di una malvagità tali da minare la convivenza tra i popoli. Come non pensare alla religiosità dei nostri mafiosi… per cui non è che frequentare il tempio e dire le preghiere, fare atti di culto è segno di giustizia, di onestà! Dunque Noè non rappresenta una soluzione al problema del male.

Ma voi direte, nemmeno Gesù è una soluzione del problema del male! Se così fosse, il male sarebbe sparito da tempo. Perché Gesù non ha fondato una nuova religione per sistemare le cose con Dio, piuttosto Gesù ha tracciato un nuovo modo di essere e di vivere. È questo il messaggio delle parole con cui si chiude la pagina evangelica di oggi: lui per primo non ha cercato di salvare la propria vita, ma l’ha perduta, l’ha lett. mandata in rovina. Questa è la via, la strada di Gesù. C’è un altro legno, che non è l’arca, ma la croce segno di un amore che si staglia appunto tra cielo e terra per dire che l’umanità ha futuro se impariamo il dono, non se cerchiamo noi stessi, il nostro io, il nostro emergere, ma se ci doniamo.

Questa è l’unica violenza ammessa, non quella verso l’altro, verso la natura, verso gli animali, ma quella verso la tirannia dell’io: quelli che sono di Cristo Gesù hanno crocifisso la carne con le sue passioni e i suoi desideri, dice Paolo facendo eco alle parole di Gesù: Chi cercherà di salvare la propria vita la perderà; ma chi la perderà la manterrà viva.

Vivendo così sapremo portare quelli che Paolo chiama i frutti dello Spirito, ovvero quei doni di cui ha tanto bisogno la nostra umanità: amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza e dominio di sé. Con questi nove doni sapremo essere come Gesù, nuovi Noè, consolazione di Dio per il mondo.