COMMEMORAZIONE DI TUTTI I FEDELI DEFUNTI - Gv 5, 21-29


(Ap 21, 1-51.6-7; Rm 5, 5-11; Gv 6, 37-40)

In questi giorni facciamo visita ai nostri cari al cimitero, il grande “dormitorio” – come lo chiamavano i Padri –, mormorando una breve preghiera, accendendo un lumino perché tale è la nostra fede nella risurrezione, un lumino appena acceso. Portiamo anche qualche fiore per dire l’affetto e la tenerezza che ancora ci legano, ma soprattutto abbassiamo il capo appesantito dal dolore per l’assenza, per il vuoto che hanno lasciato, per quelle domande che ci tormentano: cosa ne è di loro, di quello che abbiamo fatto insieme, dell’amore, ma anche degli scontri o dei litigi, comunque dei nostri sogni, delle imprese e delle paure condivise?

Che ne è di quelle vite che quest’anno abbiamo accompagnato alla pasqua eterna?

Di fronte alla morte abbassiamo il capo, ed è necessario, è un atto di umiltà, perchè siamo troppo orgogliosi e superbi e abbassando la testa gridiamo al Signore il nostro essere senza difese. Di fronte alla morte siamo davvero senza difese. Lo diceva già un filosofo greco trecento anni prima di Cristo: contro i nemici possiamo procurarci delle sicurezze e costruire delle protezioni, ma innanzi alla morte abitiamo una città senza mura (Epicuro).

Ed è normale che sentendoci città senza mura, cerchiamo di costruirci difese e protezioni come ad esorcizzare la morte. L’insicurezza produce paura e la paura esaspera il mito del corpo, fa inventare nuovi portafortuna, induce a rifugiarsi in manie scaramantiche … e Dio sa quante sono le manifestazioni delle nostre paure.

In realtà più ci difendiamo dalla morte per superstizione o per superficialità, più ci allontaniamo dalla vita.

 

Così quando ci troviamo a pregare può essere accaduto anche a noi di lamentarci col Signore: perché morendo sulla croce per tutti non ci hai tolto la necessità di morire?

Non abbiamo ascoltato da Paolo nella lettera ai Romani: mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi?

Allora sarebbe stato così bello poter dire: Gesù ha affrontato la morte anche al nostro posto e una volta morti potremmo andare in Paradiso tranquillamente.

Paolo però precisa: mentre eravamo ancora peccatori, nel senso che la morte di Gesù chiede anche a noi di attraversare l’oscurità della morte che fa sempre un po’ paura, e questo perché se ci pensiamo bene senza la morte non arriveremmo mai a fare un atto di piena fiducia in Dio.

 

Ciò che ci attende dopo la morte è un mistero che richiede da parte nostra un affidamento totale.

Lungo la vita desideriamo essere con Gesù e questo nostro desiderio davanti alla morte lo esprimiamo a occhi chiusi, alla cieca, mettendoci in tutto nelle sue mani perché come abbiamo ascoltato dal vangelo di Giovanni, questa è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna e io lo risusciti nell’ultimo giorno.

 

Dunque la volontà di Dio, non è come diciamo talvolta con triste rassegnazione, una volontà di sofferenza, di dolore… come quando di fronte a una prova ineluttabile allargando le braccia diciamo: «È volontà di Dio»!

La volontà di Dio, dice Gesù, è che nessuno vada perduto, è la vita eterna, è risurrezione. Questa è la volontà del Padre che chiede a noi un atto di fiducia, di abbandono.

 

Quando al card. Martini venne chiesto: «Quale domanda rivolgerebbe a Gesù se ne avesse la possibilità?», rispose: «Gli domanderei se mi ama, nonostante io sia così debole e abbia commesso tanti errori; io so che mi ama, eppure mi piacerebbe sentirlo ancora una volta da lui.

Inoltre gli chiederei se in punto di morte mi verrà a prendere, se mi accoglierà. In quei momenti difficili, nel distacco o in punto di morte, lo pregherei di inviarmi angeli, santi o amici che mi tengano la mano e mi aiutino a superare la mia paura» (Conversazioni notturne a Gerusalemme).

 

È commovente questa risposta se ripensiamo appunto a come è morto lo stesso Martini (31 agosto), e se ripensiamo quando anche noi, tendo per mano un nostro caro negli ultimi istanti della sua vita, lo abbiamo accompagnato a sentirsi dire dal Signore: «Ti voglio bene».

È proprio così ed è l’unica certezza contro la paura.

Sappiamo che il Signore ci ama, ma abbiamo bisogno di sapere che un giorno ce lo dirà direttamente, perchè questa semplice parola di Gesù giustificherà tutta la nostra vita, tutte le fatiche, le rinunce, le delusioni e gli insuccessi; cancellerà d’un colpo il nostro peccato e il nostro orgoglio.

 

Allora ci sarà dato di abitare la Gerusalemme nuova, dove non vi sarà più né morte, né lutto, né lamento… come dice Giovanni nell’Apocalisse. Allora finalmente si toglierà il velo dalla nostra condizione.

 

Mentre attendiamo la Gerusalemme nuova, diamo il nostro contributo a costruire la città di quaggiù, a costruire relazioni di pace e di giustizia, perché se è vero che la città santa discende da cielo, però sappiamo anche che è costruita con i mattoni che ogni giorno quaggiù prepariamo con la nostra vita, il nostro impegno e la nostra operosità.

 

Ora disponiamoci alla preghiera.

Preghiamo il Padre per tutti i nostri cari defunti, in particolare per le sorelle e i fratelli della comunità che sono morti quest’anno.

Mentre scorre l’elenco dei loro nomi, la nostra preghiera vuole anche comprendere le vittime delle guerre e delle sciagure, tutte le vittime della violenza e delle ingiustizie, preghiamo anche per coloro dei quali nessuno si ricorda, certi della promessa di Gesù: «Questa è la volontà del Padre che io non perda nessuno di coloro che mi ha dato».