VI DI PASQUA - Gv 15, 26 - 16, 4


Nelle poche righe del passo di Giovanni che abbiamo appena ascoltato (15, 26-16,4), Gesù sembra introdurci in un’aula di tribunale: infatti parla di un Paraclito, letteralmente di un «avvocato», parla di «dare testimonianza» come in un processo, lascia intravedere anche la sentenza: vi scacceranno dalle sinagoghe, vi uccideranno…

E così come aveva parlato di «un’ora» che lo riguardava e che riguardava il suo destino, ora parla di «un’ora» che riguarda i discepoli: «Viene l’ora in cui chiunque vi ucciderà crederà di rendere culto a Dio».

E questa è «La loro ora», cioè l’ora dei nemici, dei persecutori, ovvero l’ora della falsità, della, violenza, dell’odio… potremmo dire «l’ora di Caino». Un’ora che nell’orologio della storia sembra non finire mai.

Pensiamo a quei cristiani che nel mondo oggi subiscono persecuzione, a quei discepoli del Signore che celebrano l’Eucaristia al rischio della vita, ormai non sono poche le stragi che proprio di domenica avvengono nelle chiese di alcuni Paesi del mondo, come la Nigeria, il Pakistan, ma anche in Medio oriente, in Siria…  Il corpo di Cristo continua a conoscere processi e sentenze, persecuzione e morte.

Noi preghiamo oggi per questi discepoli del Vangelo, perché abbiano la forza dello Spirito santo per resistere al male e rendere testimonianza.

Se Giovanni ci offre come impianto generale del suo vangelo un grande processo del mondo, dei poteri forti contro Gesù e quindi anche contro i suoi discepoli, sappiamo anche che c’è una persecuzione più sottile, meno cruenta ma comunque pervasiva che si insinua dentro le democrazie, attraversa la civiltà dei diritti, innerva i concordati e le libertà di culto e di pensiero che tende a rendere innocuo il vangelo, a neutralizzarlo, a ignorarlo.

Questa è una persecuzione più sottile che addomestica la parola evangelica, la riduce a religione civile e la adatta ad ogni stagione del mondo, alla quale capita che anche i discepoli si adeguino magari barattando un qualche vantaggio sociale o economico, oppure scambiando leggi e favori…

Non dimentichiamo che se certamente il Cristo e poi anche Paolo sono perseguitati e vengono giustiziati per mano del potere civile, rappresentato dal governatore romano, in realtà tutto parte da coloro che detengono il potere religioso, da coloro che appunto, come dice Gesù, sono pronti a eliminare l’altro credendo così di rendere culto a Dio.

Ma poi dobbiamo considerare che questo processo è anche tutto dentro di noi, nelle nostre coscienze, nel nostro modo di pensare, proprio perché il Vangelo non è un libro di morale che basta applicare a prescindere dalla vita e dalle condizioni storiche. La mediazione della nostra libertà è necessaria e fondamentale.

Anche in questo lavoro interiore, stando alle parole di Giovanni, siamo soggetti a un processo, arriva «l’ora» anche per noi in cui siamo chiamati a decidere da che parte stare, a capire se siamo disposti a pagare il prezzo della testimonianza. C’è un Caino anche in noi, non è che Caino è solo fuori. Insieme ad Abele, al desiderio di fare il bene, di voler bene, c’è sempre questo io che ci tiranneggia.

È proprio nell’ora di Caino, nell’ora dell’interminabile processo che il mondo intenta al Vangelo in cui noi discepoli di Cristo siamo più fragili e ci sembra di soccombere e di essere del tutto impotenti, quella è l’ora della promessa del Signore: «Io vi manderò dal Padre lo Spirito della verità».

Ebbene, quando siamo soggetti al processo del mondo, quando viviamo la tentazione dell’accomodamento e della mediocrità, quella è l’ora in cui dobbiamo invocare lo Spirito della verità che darà testimonianza di me, dice Gesù.

È curioso questo modo di intendere: nel momento della prova, della persecuzione, della lotta interiore, occorre invocare lo Spirito Santo quale avvocato di Gesù Cristo, è lui che difende, ma non difende noi, notate, è la difesa di Gesù: darà testimonianza di me!

Gesù non ha altra difesa nella sua ora, se non quella dello Spirito.

Il Paraclito difende Gesù Cristo e proprio per questo è anche il nostro difensore, nel senso che difende Gesù in noi e anche da noi.

Proprio perché siamo soggetti alla tentazione di addomesticare la portata della sapienza del regno di Dio, proprio perché il nostro cuore e il nostro pensiero non sono sempre secondo il Gesù del Vangelo… imparare a stare davanti allo Spirito di Cristo ci permette di non inventare un altro Gesù Cristo che non sia quello del Vangelo e lo difende dal rischio di costruire il regno di Dio secondo i nostri gusti.

Nel momento della prova, della tentazione, della lotta interiore non si tratta anzitutto di agire o di reagire, ma Gesù ci chiede – come ha fatto Lui d’altronde nella notte al Getsemani – di fermarci e di pregare, di invocare lo Spirito Santo affinché non abbandoni Gesù Cristo in noi, perché continui ad essere il suo difensore, anche da noi stessi.

Nella prima lettura, dal libro degli Atti, abbiamo ascoltato l’esperienza di Paolo (26, 1-23).

Secondo il libro degli Atti Paolo è nella prigione di Cesarea Marittima, accusato dai capi dei Giudei che vorrebbero fosse portato a Gerusalemme per toglierlo di mezzo, ma lui si appella a Roma.

Il nuovo procuratore romano, uno dei successori di Ponzio Pilato, di nome Porcio Festo che è appena arrivato in Giudea – e quindi sappiamo di essere circa nell’anno 60 (sarà governatore dal 60 al 62, mentre a Roma l’imperatore è Nerone, dal 54 al 68) -, si trova però in difficoltà perché riconosce che «sul suo (di Paolo) conto non ho nulla di preciso da scrivere all’imperatore» (25,26), per questo chiede aiuto al re Agrippa, ultimo re giudeo sotto i romani che di questioni ebraiche appunto se ne intende, affinché dopo questa «inchiesta io abbia qualcosa da scrivere».

Siamo dunque ancora nel contesto di un processo come nel vangelo di Giovanni e il racconto autobiografico di Paolo ci aiuta a capire come lo Spirito di verità lo rende testimone di Gesù.

L’apostolo anzitutto non rinnega la sua storia e la sua appartenenza, egli non cancella il suo passato, tantomeno rompe con la fede di Israele: certamente cambia atteggiamento nei confronti di Gesù, ma non è che possiamo parlare, come spesso si dice, della conversione di Paolo!

Paolo è già un credente, non è un pagano che deve convertirsi e passare dal credere in Zeus, in Marte o in Venere al vero Dio di Abramo… In questo senso la sua non è una “conversione” ma è una chiamata, una vocazione come già era avvenuto per Matteo al banco delle imposte, per Pietro e Andrea, Giacomo e Giovanni sulle rive del lago.

Ciò che avvenne nell’ora di  Damasco non fu una conversione, piuttosto una vocazione: lui che come giovane promettente di Tarso era stato mandato a Gerusalemme all’università di Gamaliele, lui che era un presunto illuminato, divenne cieco per poter ascoltare la voce di Gesù!

Lui che era un persecutore, ora che ha incontrato il Signore, è disposto a lasciarsi giudicare.

Lui che pure aveva vissuto alla maniera di Caino… nell’incontro con Gesù è cambiato al punto da affrontare il suo processo con l’atteggiamento mite e fermo che fu già del nuovo Abele, di Gesù Cristo.

È questo Spirito di verità che invochiamo dal Padre per noi e per la Chiesa, affinché nell’ora di Caino possiamo essere testimoni della mitezza di Gesù.

Chiediamo lo Spirito di verità affinché nel processo che il mondo intenta al Vangelo, possiamo essere memoria viva delle Beatitudini.

Domandiamo lo Spirito di verità perché nell’ora in cui ci prende la tentazione di addomesticare il Vangelo del regno di Dio e di accomodarci nella mediocrità se non addirittura nella violenza, ci sia dato di ricordare la testimonianza del Cristo.