EPIFANIA DEL SIGNORE - Mt 2, 1-12


Chissà se quei sapienti che hanno incrociato il Bambino di Betlemme nei suoi primi giorni di vita, hanno poi saputo – come ci ricordava l’annuncio della Pasqua – anche dei suoi ultimi giorni, appunto della sua Pasqua!

La mia è evidentemente una domanda retorica, ma vorrebbe aiutarci a superare il livello ormai ridotto al confine tra le favole e i racconti di fantasia che il vangelo ha assunto e così riconoscere in coloro che erano detti magi dai Persiani, quei cercatori di sempre che per gli Ebrei erano gli scribi, e che cercavano nella Scrittura l’alfabeto di Dio; per i Greci erano i filosofi e che indagavano il senso, il Logos delle cose; o ancora per i Latini erano i savi, i sapienti, i cercatori di una sapienza del vivere pragmatica, concreta, fatta di indicazioni e consigli per saper stare al mondo.

Nei magi vediamo i cercatori di sempre, e appunto sono costoro che, insieme ai pastori, alla gente semplice, che non cerca altro che tirare la fine del mese perché questo è quello che può fare, ecco insieme a loro c’è una gran parte dell’umanità, che coltiva una ricerca religiosa, spirituale, filosofica, esistenziale di senso, di significato e che oggi è invitata a compiere un gesto, anzi due: il primo è guardare in alto e seguire una stella, il secondo è guardare in basso e contemplare un bambino.

È un’epifania, ma anche no: che cosa vedono? un neonato. Non è un cosa nuova né sorprendente più di quanto sia sorprendente ogni nuova vita che viene al mondo! Non vedono tutte quelle proiezioni che noi immaginiamo appartenere all’epifania di un sovrano onnipotente. Non ci sono lampi, tuoni, terremoti… cui ci ha abituato il Primo Testamento, ma una manifestazione in discesa, con un profilo basso. Forse è anche per questo che Matteo ha scelto la luce della stella per guidare il cammino. La stella non è proprio la grande luce che abbaglia e che Isaia si aspettava, eppure la stella è necessaria di notte e la puoi vedere solo di notte.

Ma veniamo a noi: le stelle continuano a brillare in cielo, ma ci sono ancora uomini e donne che cercano? Certo tutti cercano per se stessi un angolo di tranquillità e di pace, e poco importa se poi fuori dall’uscio di casa il mondo è devastato… infatti la ricerca dei magi rimanda a qualcosa che va oltre la propria autoreferenzialità, ad abbracciare un orizzonte più vasto.

Se guardiamo all’anno che abbiamo appena iniziato parrebbe che a dettar legge nel nostro immediato futuro saranno uomini per così dire forti, capaci di dare sicurezze, più che mettersi in ricerca, in grado di porre atti di forza volti a placare l’ansia e la paura più che ad interrogarsi e a riflettere per comprendere la complessità delle cose che accadono. Emergono figure dalla leadership dura, che trascinano le masse all’insegna dell’egoismo nazionale e del primato assoluto della propria ragion di stato. Personalità inclini a tracciare con la scure, all’interno e all’esterno del proprio paese, la frontiera tra “noi” e “loro”. Capaci di individuare l’immagine del nemico in qualsiasi critico, oppositore o portatore di interessi diversi. Pronte a spazzare gli ostacoli con la pura forza, non appena se ne danno le condizioni.

È l’era dei duri: Trump, Putin, Erdogan, Netanyahu, Assad, Al Sisi…. Non dico che sono tutti sullo stesso piano per il fatto di averli elencati così, ma l’atteggiamento che li accomuna, mi fa pensare a quei giocatori di poker del Far West con le carte in mano e la pistola sul tavolo.

L’unico leader internazionale a proporre un’idea di “bene comune” globale e di una convivenza inclusiva, rimane papa Francesco che ha scelto il nome del Povero di Assisi. Da tre anni continua a richiamare i pericoli e i danni che derivano da un capitalismo finanziario fuori dalle regole, senza legami con la comunità e che non ha alcun interesse a far partecipare tutti i produttori alla vendemmia dei profitti. Come gli antichi profeti di Israele papa Francesco non smette di ricordare ai sovrani economici e politici del nostro tempo che deve esistere una giustizia nell’organizzazione dell’economia e della società. Il suo Vangelo sociale – evidentemente alimentato dalla sua sequela di Cristo – è oggi quanto di più laico si possa ascoltare.

E così, nel nuovo mondo dei “duri”, impariamo da papa Francesco che c’è posto ancora e nonostante tutto per uomini e donne capaci di seguire una stella, capaci di visione. Capaci per dirla con le parole di Paolo a Tito, di vivere in questo mondo con sobrietà, con giustizia e con pietà.

Nel testo greco si incontrano tre avverbi: sòfronos, dikàios e eusebòs.

Sobriamente, in greco lett. significa assennato, sano di mente. Nella tradizione filosofica pervenuta in parte anche nel NT diventa ben presto la capacità di dominio del pensiero sugli istinti vitali, che è la virtù della temperanza. Atteggiamento necessario per tutti noi, nei propri doveri professionali, ma soprattutto quando si hanno ruoli di governo. Potremmo dire che il vivere con sobrietà, con temperanza è la decisione razionale di moderare le proprie bramosie, consapevoli di quello che ci basta perché possa essercene per tutti.

E poi si tratta di vivere giustamente, con giustizia (in ebr. saddiq). Chi nella Scrittura ha vissuto in maniera giusta, se non Giuseppe, l’uomo giusto per eccellenza come ci dice la liturgia di questo tempo di natale, in quanto poteva per legge ripudiare Maria e abbandonarla al suo destino e invece ha seguito ciò che il cuore gli indicava perché docile a una giustizia scritta nel santuario della coscienza. È la giustizia biblica che abbraccia in un circolo virtuoso il rapporto con gli altri, con Dio e con il creato, con il mondo.

Infine Paolo indica una terza caratteristica degli uomini e donne che seguono la stella, si tratta di coloro che vivono piamente, con pietà. Il termine greco eusebòs indica piuttosto il rispetto, quell’atteggiamento positivo di rispetto che nasce dal riconoscimento del dono di Dio. Per cui con pietà, non significa per compassione, ma con il rispetto dovuto a un dono che viene dal Padre. Vivere sapendo che la terra non è nostra, ma è di Dio, ad esempio. Vivere sapendo che i sentieri di Dio nei cuori delle persone sono fuori dal nostro controllo e che tutti vanno guardati appunto con grande rispetto per come l’Eterno si muove dentro le coscienze…

Mi piace pensare che se noi ci possiamo considerare come uomini e donne in ricerca, allora possiamo anche avere questi tre doni da portare al figlio di Dio.

Ambrogio diceva, facendone una lettura cristologica, che l’oro spetta al re, l’incenso a Dio, la mirra al defunto che risorge. E questa è una grande professione di fede, ma possiamo anche chiederci: oggi il Signore cosa si attende da noi? Forse il vero oro che possiamo portargli è quello del vivere con sobrietà. È finito il tempo in cui l’oro doveva abbellire le chiese e trasferire così la potenza mondana dentro le comunità cristiane, perché quando si parla di oro, si accendono fantasie di ricchezza, di possesso… il vero oro dei cercatori, dei viandanti, di una chiesa in uscita come dice papa Francesco, è il vivere sapendosi accontentare di quello che si ha, di vivere sobriamente.

E poi abbiamo l’incenso della giustizia. Anche noi abbiamo portato nelle chiese l’uso dell’incenso che profumava le corti orientali dove il sovrano non poteva tollerare gli olezzi dei cavalieri e dei cammellieri… ma oggi il vero profumo che sale a Dio da questa terra è il nostro vivere da persone giuste, corrette, come Giuseppe che ha saputo vivere giornate critiche e difficili con il cuore saldo in Dio, senza lamentarsi, senza recriminare, ma fiducioso che qualunque cosa poteva accadere, Dio non lo avrebbe abbandonato, ma avrebbe illuminato le sue scelte con la sua Parola. Vivere da giusti vuol dire né vivere da rassegnati, e tantomeno da esaltati, ma con la serenità di chi si assume le proprie responsabilità e si fida di Dio.

Infine, c’è un dono ancora che gli uomini e le donne che cercano possono portare a Dio ed è la mirra, l’unguento della pietà, del rispetto. Questo è il balsamo della vita che non muore. Portare rispetto per Dio, per l’altro che non la pensa come me, per chi ha una cultura diversa dalla mia e che non è necessariamente mio nemico, ma perché semplicemente non conoscendolo allora lo temo. Il rispetto è sorgente di vita e di comunione. È un balsamo che cura le relazioni, lenisce le ferite, attenua le fratture. Rispetto è saper attendere.

Chiediamo al Signore di essere uomini e donne che cercano e che seguono Cristo, stella accesa nella notte, perché così saremo capaci di riconoscere e di accompagnare il cammino di tanti intorno a noi e insieme a noi, sulle strade che solo Lui conosce.

L’importante che non stiamo a mani vuote. Lo diceva don Milani: A che serve avere le mani pulite se poi le teniamo in tasca? Il Signore attende da noi che portiamo i doni di un vivere con sobrietà, con giustizia e con rispetto, questi sono il vero oro, il vero incenso e la vera mirra.

(Is 60, 1-6; Tt 2, 11-3,2; Mt 2, 1-12)