I DOPO IL MARTIRIO DI S. GIOVANNI IL PRECURSORE - Gv 3, 25-36


Dopo aver percorso dalla Pentecoste a oggi alcune grandi tappe della storia biblica, lasciamo ispirare la nostra riflessione dal profeta Isaia che ci accompagnerà anche nelle prossime domeniche. Così recitano le prime righe della pagina di oggi, il v.13 del cap.29: «Dice il Signore: Poiché questo popolo si avvicina a me solo con la sua bocca e mi onora con le sue labbra, mentre il suo cuore è lontano da me e la venerazione che ha verso di me è un imparaticcio di precetti umani…».

Parole antiche[1], eppure sembrano scritte per noi, per descrivere la condizione di separatezza tra il nostro cuore e le nostre labbra, tra le affermazioni, i proclami e la nostra vita concreta.

E poi quell’ «imparaticcio di precetti umani», ci riguarda perché forse anche noi nel nostro rapporto con Dio viviamo un poco di rendita, di alcuni insegnamenti che abbiamo ricevuto, di abitudini… Insomma se siamo qui e ascoltiamo il profeta Isaia dobbiamo fare i conti con le nostre incoerenze, le nostre superficialità e di conseguenza… e sicuramente dopo queste accuse, ci aspetteremmo da Dio il giusto rimprovero, il castigo e la punizione!

E invece sentiamo cosa dice al v. 14: «Perciò, eccomi, continuerò a operare meraviglie e prodigi con questo popolo…». Straordinario questo Dio! Lui non si smentisce. E anziché effondere e spandere castighi, come legittimamente ci aspetteremmo, continua a operare meraviglie!

L’agire di Dio non corrisponde al nostro modo di fare che ha la presunzione di voler essere educativo: se fai così sei premiato, se invece ti comporti male sei punito. Non è proprio così che fa Dio, anzi, Dio se è amore, sommo amore, non può contraddire se stesso, è «costretto» ad amarci, ci deve voler bene «per forza», per quella forza che viene dal suo amore, così lui continua a fare meraviglie.

Sappiamo vederle queste meraviglie? Sappiamo guardare le persone che abbiamo vicino, le esperienze che ci è dato di compiere, i momenti intensi che magari abbiamo vissuto in queste vacanze estive… sappiamo vedere le meraviglie di Dio?

Perché quando sappiamo riconoscere questo modo di fare dell’Eterno, non possiamo più rimanere indifferenti e superficiali, infatti secondo Isaia, ecco le conseguenze che ne derivano: «Perirà la sapienza dei suoi sapienti e si eclisserà l’intelligenza dei suoi intelligenti» (v.14).

Cose che stanno a indicare un cambiamento profondo del nostro modo di vedere le cose, una conversione dell’intelligenza spirituale della vita.

È solo a questo punto che allora il discorso si fa per così dire minaccioso al v.15: «Guai a quanti vogliono sottrarsi alla visita del Signore»! hoy, guai», si trova all’inizio dei capitoli 28,29,30,31 e 33). Allora sì che si va incontro al peggio, quando gli uomini vogliono realizzare i loro piani e assicurarsi autonomamente un futuro e una sicurezza, senza confrontare le loro scelte con la parola del Signore, dandosi alla bella vita, stipulando patti e alleanze con potenze straniere e forze magiche… allora sì che si va incontro al disastro, che non è il castigo di Dio, ma è la conseguenza del cuore e della mente induriti dell’uomo!

E questo è talmente vero che già Isaia vedeva le conseguenze di questa perversione nel creato: al v.17 Certo ancora un po’ e il Libano si cambierà in un frutteto e il frutteto sarà una selva… i cedri e le querce del Libano spariscono… per ridursi a una selva!

Qui c’è tutta una visione per la quale con le nostre mancanze di intelligenza e di conversione (nel senso vero di tornare a Dio) si opera un percorso inverso del disegno della creazione, possiamo far regredire la storia e il creato… che è la riflessione che papa Francesco invita a fare con l’enciclica Laudato sii  e con la decisione di indire il 1° settembre la Giornata per la custodia del creato.

Infatti, scrive il Papa, «Anche ai cristiani dediti alla preghiera spesso manca una conversione ecologica che comporta il lasciar emergere tutte le conseguenze dell’incontro con Gesù nelle relazioni con il mondo che li circonda» (n.217).

La conversione ecologia dalla nostra tendenza ad appropriarci, a riempirci di cose, a farla da padroni, a entrare in competizione continua… che è il grande male che prende i nostri cuori e le nostre intelligenze.

Ne abbiamo un esempio anche nel vangelo di oggi dove incontriamo un tipico caso di rivalità e di competizione: i discepoli del Battista hanno visto che Gesù riscuote successo, allora vanno da Giovanni sul Giordano a dirgli «Guarda che quello là, notate non lo nominano – si fa sempre così quando si vuole marcare una distanza-, ecco quello à che prima era con te, adesso sta portandoti via i seguaci!».

Questa è una classica situazione che viene appunto dal cuore indurito di chi vuole raccogliere, tenere per se, costruisce muri e recinti, noi e gli altri, «quelli là» … insomma niente di nuovo. Nuova invece è la risposta del Battista, e anche sorprendente di una libertà che vorremmo avere e dice: «Non preoccupatevi, “quello là” è lo sposo e io sono l’amico dello sposo e se uno è davvero amico è pieno di gioia quando vede che lo sposo è amato»!

Ecco la conversione necessaria: non siamo il centro del mondo, del creato, della storia. Non è nemmeno la chiesa che dobbiamo fare diventare grande, lo sposo Gesù chiede a noi amici suoi di gioire per il suo amore per la sposa che è l’umanità tutta, non di farlo diventare pretesto per sentirci migliori degli altri, superiori…!

Qui dovremmo approfondire, se non vogliamo vivere di una religione imparaticcia, di una fede per sentito dire… perché come scriveva il grande teologo tedesco Karl Rahner, il principale e più urgente problema della Chiesa del nostro tempo è la sua «mediocrità spirituale».

Queste erano le sue parole: il vero problema della Chiesa è «andare avanti con una rassegnazione e una noia sempre maggiori per le vie abituali di una mediocrità spirituale». L’imparaticcio di cui parlava Isaia.

A poco servono i convegni, i meeting, gli eventi… i tentativi di rafforzare le istituzioni, di salvaguardare la liturgia o di vigilare sull’ortodossia. Nel cuore di molti cristiani si va spegnendo l’esperienza di Dio.

La società moderna ha puntato sull’ «esteriore». Tutto ci invita a vivere dal di fuori. Tutto ci spinge a muoverci con fretta, senza nemmeno trattenerci un po’ su nulla. La pace non trova più fessure per penetrare fino al nostro cuore. Viviamo quasi sempre alla superficie della vita. Ci stiamo dimenticando che cosa significa assaporare la vita dall’interno.

È triste osservare quanta fatica si fa anche nelle comunità cristiane per curare e promuovere la vita spirituale. Molti non sanno quel che è il silenzio del cuore. Privati di esperienza interiore, sopravviviamo dimenticando la nostra anima, ascoltando parole con gli orecchi e pronunciando orazioni con le labbra, mentre il nostro cuore è lontano.

Nella Chiesa si parla molto di Dio, ma dove e quando noi credenti ascoltiamo la presenza silenziosa di Dio nel più profondo del cuore? Dove e quando accogliamo lo Spirito del Risorto dentro di noi? Accogliere lo Spirito di Dio vuol dire smettere di parlare solo con un Dio che quasi sempre collochiamo lontano e fuori di noi, e imparare ad ascoltarlo nel silenzio del cuore. Smettere di pensare a Dio solo con la testa, e imparare a percepirlo nel più intimo del nostro essere.

Questa esperienza interiore di Dio, reale e concreta, trasforma la nostra fede. Ci si sorprende di come si è potuto vivere senza scoprirlo prima. È difficile mantenere per molto tempo la fede in Dio in mezzo all’agitazione e frivolezza della vita moderna, senza conoscere, anche se in maniera umile e semplice, qualche esperienza interiore del Mistero di Dio, quelle meraviglie che Lui continua, nonostante tutto a operare.

[1] Il contesto storico potrebbe essere quello dell’invasione di Sennacherib, intorno al 705 a.C.