I DOPO IL MARTIRIO DI S. GIOVANNI IL PRECURSORE - Mt 4, 12-17


(Is 30, 8-15; Mt 4, 12-17)

Nella vita di ogni giorno viviamo delle situazioni e dei fatti, alcuni che sono determinati da noi, altri lo sono indirettamente e altri ancora semplicemente li subiamo … ma quello che più ci rende felici o tristi sono i significati di questi eventi, quello che spesso si dice essere il senso delle cose, ciò che queste cose significano e che dicono alla nostra coscienza, alla nostra sensibilità, e che non sempre sono immediatamente comprensibili, ma sono questi significati che danno luce e orientano le scelte per il futuro.

Mi sembra questa la prospettiva che ci viene suggerita dal vangelo di oggi. I fatti sono subito detti: Gesù viene a sapere che Giovanni è stato «arrestato» dice il testo, letteralmente il verbo è quello usato per dire di Gesù che viene consegnato, tradito, (dal verbo lat. tradere, in gr. paradidomi). La parola consegnare indica l’azione perversa compiuta dall’uomo: tradisce, consegna, butta via! Quindi il fatto è la vita del Battista, del Precursore che viene consegnata e buttata via.

Una conseguenza di questo fatto è che Gesù, saputo che Giovanni era stato consegnato, evita di rimanere in quella zona che è sotto il controllo di Erode. Gesù se ne va dalla Giudea, da Gerusalemme, per motivi di prudenza. È inutile essere imprudenti, se fosse rimasto forse avrebbe fatto a breve la stessa fine di Giovanni. Gesù di fatto fugge. Ed è una cosa importante, non leggiamola subito con le nostre categorie moralistiche dell’ideale eroico. Gesù è consapevole di avere una missione e per portarla avanti non può rimanere lì, ma va al Nord, non torna nemmeno a Nazaret, al suo villaggio, perché nessun profeta è ben accetto in patria, ma si stabilisce a Cafarnao. Nella zona più settentrionale dove si erano installate le tribù di Zabulon e di Neftali, appunto come scrive Matteo, citando Isaia.

Ed è proprio con questa citazione di Isaia che Matteo ci rimanda a 700 ani prima di Gesù quando, di fronte all’invasione assira, il profeta annunciava alle tribù del Nord che vivevano nelle tenebre e che vedevano le ombre della morte avanzare sulle loro case, che l’amore di Dio avrebbe fatto esplodere su di loro una grande luce, perché con la nascita di un discendente del re, sarebbe nato il liberatore. Isaia annuncia la liberazione dall’oppressione assira.

Matteo cosa fa? Non sappiamo se sia stato proprio lui o la sua comunità o Gesù stesso, comunque a noi sta a cuore capire questo esercizio importante che consiste nel leggere i fatti e gli accadimenti alla luce della Scrittura per coglierne i significati. Matteo non dice: guardate Isaia aveva previsto i fatti che accadono oggi! Il profeta non è un indovino, un chiromante, uno stregone… Il profeta piuttosto ancora oggi è colui che legge e interpreta il presente ascoltando la storia di Dio, legge quello che accade oggi con quello che il Signore ha sempre fatto nella sua fedeltà.

Così quando Gesù decide di spostarsi nella Galilea, Matteo ricorda le parole di Isaia che appunto chiamava quella terra ghelil ha-gojim, letteralmente la curva delle genti. La famosa via maris, la strada che dall’Egitto conduceva alla Siria, percorrendo un gran tratto sulla costa mediterranea ad un certo punto prima di Haifa si divideva in due tronchi: uno lungo la costa mediterranea in direzione nord, verso Tiro, mentre l’altro piegava verso l’interno, verso il lago di Galilea, Cafarnao per poi puntare su Damasco.

Il Vangelo di Matteo interpreta Gesù che compie questa operazione di evitare la Giudea e di spostarsi al Nord in Galilea, nella curva delle genti, nel crocevia della storia, come un evento di luce! La luce sorge per queste città che sono in mezzo ai pagani, nella Galilea delle genti che non era un terreno particolarmente fecondo dal punto di vista religioso, lì prevaleva il commercio, gli interessi economici e strategici… Giuseppe Flavio dice che quelle città avevano qualche migliaia di abitanti e che in esse si parlava ebraico, ma anche greco. Eppure in quelle città irrompe la luce del Cristo. L’uomo butta via la vita e Dio cosa fa? La dona. C’è sempre una salvezza possibile per l’uomo, non perché Dio faccia altre cose da quelle che fa l’uomo, ma perché Dio si mette dentro le vicende della storia come amore che dà vita. È una chiave di lettura di tutta la storia umana: il senso della storia è l’amore di Dio che si dona al nostro egoismo. Noi buttiamo via la vita e lui si dona!

Questa mi pare la prima suggestione della parola di Dio di oggi. Un invito a mettere insieme ciò che accade e a leggerlo nella fede alla luce della parola di Dio. Matteo ci insegna a farlo attingendo al primo testamento. Se togliamo il Primo testamento non riusciamo a capire Gesù il messia. In fondo questo facevano le comunità primitive celebrando l’eucaristia ogni domenica: si ritrovavano a parlare di Gesù e rileggevano la sua vita attingendo al Primo testamento e così potevano capire e comprendere sempre di più di lui e della fedeltà di Dio.

Ricordando il primo anniversario della morte del card. Martini, il nostro non vuole essere solo un ricordo grato e nostalgico di un uomo di Dio straordinario, ma è la memoria viva propria di chi ha fatto di questo metodo la trama della sua pastorale in mezzo a noi. A noi è consegnato questo tesoro prezioso della parola di Dio perché sia luce ai nostri passi, come egli ha voluto che fosse scritto sulla sua tomba. Ma occorre stare, dimorare, custodire questa parola Parola. Luca ci dice che Maria dopo aver ritrovato il tredicenne Gesù che era rimasto al tempio per tre giorni, e aver ascoltato la sua risposta, non faceva altro che custodire queste cose nel suo cuore. In realtà il verbo dice l’azione di chi tiene insieme gli eventi e la Parola, i fatti e la parola di Dio. La prima cosa che chiediamo oggi al Signore è questa sapienza del cuore, la capacità di pregare così.

Un esempio ci viene dal fatto che parlare di Galilea delle genti, di Israele, Egitto, Siria e Damasco… ci rimanda ai luoghi dove ancora oggi misuriamo una grande tensione tra le nazioni. In quella che si considerava la curva delle genti ancora si addensano dense tenebre e l’ombra della morte incombe sulle popolazioni civili… Violenza, morte, rumori di guerra… non sembrano esserci spiragli di luce. Noi preghiamo il Signore perché mandi una luce di speranza e di pace, affinché si trovi uno squarcio di dialogo se non di riconciliazione, come è stato luce l’inizio dell’attività di Gesù.

Matteo infine ci racconta nelle due righe conclusive in che consisteva l’attività di Gesù e precisa che Gesù andava in giro a proclamare, non a predicare, perché qui Gesù annuncia un fatto, non dà spiegazioni come si fa nelle prediche, semplicemente proclama che il regno di Dio è vicino.

Appena sopra Satana gli prometteva tutti i regni della terra… e per tutta risposta Gesù parla del regno, e non di tutti i regni e tra l’altro non di un regno della terra, ma dei cieli, per dire di Dio. Il nome di Dio non si pronuncia, per questo si ricorre a costruzioni semplici per dire il suo esserci, il suo mostrarsi e farsi vicino. Gesù proclama che Dio è vicino a me, è vicino a te, è vicino al distratto e al superficiale è vicino al devoto e al militante… Dio è vicino.

Da qui l’imperativo: Convertitevi! Quante volte abbiamo sentito questo invito: Convertitevi!? Perché se Dio ti è vicino devi voltarti, devi convertirti. Convertirmi da che cosa? Proviamo a pensarci: da tutte le direzioni sbagliate che percorri, pensa ai sentieri storti sui quali cammini… prova a pensare a quale modo di pensare, di sentire, di agire devi correggere…

Isaia nella prima lettura proprio nelle ultime due righe di quello che è considerato il suo testamento, ci viene incontro con un suggerimento che trovo interessante: «Nella conversione e nella calma sta la vostra salvezza, nell’abbandono confidente sta la vostra forza».

Una conversione nella calma. E ripenso alla Giornata che viviamo oggi come chiesa italiana per la custodia del creato. Veniamo da un periodo di vacanza e di riposo, forse per qualcuno è stata l’occasione di un contatto più disteso con il creato al mare o in montagna… custodiamo questa cura anche nel ritorno a casa, operando una seria conversione, appunto alla calma, al rispetto dei tempi della natura, ad avere quella pazienza che è anche rispetto per le cose che ci sono date come dono. Vinciamo l’avidità e la frenesia che ci portano invece a saccheggiare il dono di Dio e convertiamoci da quelle abitudini che sappiamo sbagliate.

La custodia del creato è affidata alle nostre mani e alla nostra responsabilità perché possiamo consegnarlo ai nostri figli e alle generazioni che verranno. Lo diceva Martini nel concludere il libro Conversazioni notturne a Gerusalemme: «Consegna ai tuoi figli un mondo che non sia rovinato. Fa’ sì che siano radicati nella tradizione, soprattutto nella Bibbia. Leggila insieme a loro. Abbi profonda fiducia nei giovani, essi risolveranno i problemi. Non dimenticare di dare loro anche dei limiti. Impareranno a sopportare difficoltà e ingiurie se per loro la giustizia conta più di ogni altra cosa» (p.124).