XXXIV DEL TEMPO ORDINARIO - Lc 23, 35-43
(Col 1, 12-20; Lc 23, 35-43)
Con la pagina che abbiamo appena ascoltato prendiamo congedo dall’evangelista Luca che ci ha accompagnato lungo tutto l’anno liturgico. Una pagina questa che ci pone ai piedi della croce del Cristo per contemplarlo quale re dell’universo, non siamo dinnanzi ad un re secondo la nostra mentalità mondana, ma a un re che muore in croce senza onore né gloria, un re nudo e schernito, inchiodato al legno, che inaugura un regno la cui carta costituzionale sono le Beatitudini, i cui confini sono dati dall’universo, i cittadini sono tutti i figli di Dio e l’unica difesa è data dall’esercito dei poveri disarmati.
Non solo, ma questo Gesù crocifisso che si staglia tra cielo e terra sulla collina del Golgota è icona di Dio, l’immagine – come dice Paolo – del Dio invisibile. Ma come? Noi ci aspetteremmo ben altra esibizione da parte di un re e a maggior ragione da parte di Dio!
Eppure se andate a leggere pochi versetti dopo Luca scrive: tutte le folle che erano accorse a questo spettacolo, se ne tornavano ripensando a tutto quello che era accaduto (v. 48). Avete sentito bene: a questo spettacolo, in greco theoria, termine che non indica come per noi anzitutto un’astrazione, un concetto appunto teorico.
Qui significa letteralmente una visione, siamo di fronte a una realtà che attira lo sguardo e che ci fa diventare pensosi, come appunto è accaduto quel venerdì sul Golgota a quella gente che davanti allo spettacolo del crocifisso, è tornata a casa con tante domande, con tanti punti interrogativi perché è evidente che questo spettacolo costituisce una clamorosa contraddizione. Che Dio è quello che salva altri e non salva se stesso?
Le abbiamo già sentite queste parole. Sono le stesse che il tentatore rivolse a Gesù all’inizio della vita pubblica e che puntuale ritorna proprio quando il Signore sta attraversando il mistero più assurdo, quello della morte. «Sopra di lui c’era anche una scritta», una scritta derisoria, «Costui è il re dei Giudei», letteralmente «Il re dei Giudei è questo». Una scritta dispregiativa, derisoria, “Guardate che fine ha fatto il re dei Giudei”!
Vorrei vedere chi di noi non avrebbe subito il fascino del miracolo in quelle condizioni!
Ma Gesù non scende dalla croce, nemmeno quando per la terza volta, le stesse parole ritornano sulle labbra di uno dei malfattori (che) appesi lo insultava «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso». Sei il figlio di Dio? Sei il messia? Usa le tue capacità per salvare te stesso. Ma Gesù la sua capacità l’ha usata per salvare gli altri.
Talvolta mi trovo a pensare quanto bene avrebbe potuto fare ancora Gesù se le cose fossero andate diversamente, se fosse sceso dalla croce … quanto avrebbe ancora potuto insegnare se solo avesse avuto a disposizione una qualche anno in più! Ma pensando così mi rendo conto di tradurre in termini diversi la stessa tentazione che il Signore si è sentito ripetere per tre volte. È dura constatare che anche noi siamo abitati dalla fede, dalla fiducia in Cristo, ma anche dal nostro modo di volere che vadano le cose.
Abbiamo avuto modo di renderci conto, lungo quest’anno, come i discepoli per Luca siano sempre in coppia, vanno sempre a due a due dall’inizio, da quando vengono chiamati fino ad Emmaus; anche sulla croce Gesù si accompagna con due banditi, comunemente chiamati i due ladroni. Una lettura moralistica ci fa scivolare in quella semplificazione per cui diciamo che il primo è quello ‘cattivo’ e il secondo invece quello ‘buono’, ma Luca ci vuole dire che ciascuno di noi è abitato dallo slancio di fede e al tempo stesso dalla resistenza dell’incredulità.
Siamo noi il bandito che sfida Dio e siamo noi anche il bandito che non può fare altro che affidarsi al Signore, pregandolo: «Ricordati di me». E la cosa straordinaria è che a questa preghiera che chiede: «Ricordati di me nel tuo regno», Gesù risponde: «Oggi sarai con me!». Anche a Zaccheo il Signore disse: «Oggi la salvezza è entrata in questa casa». Oggi non domani, oggi ti è data una dignità regale. Oggi sarai con me nel paradiso! Unica volta che appare il termine paradiso nei vangeli, parola che significa “giardino di pace”. Gesù non solo si ricorda di lui, ma lo porta con sé nel giardino della pace.
Un giardino di pace che puoi abitare oggi, se ami come il Signore, se come lui trasformi l’odio in misericordia, se vinci la vendetta con il perdono.
Davanti allo spettacolo della croce non ci viene chiesto né vittimismo né dolorismo, né altre deformazioni che magari hanno segnato la storia della spiritualità cristiana, ma di fare nostro questo dinamismo per il quale, come scrive Paolo nell’inno della lettera ai Colossesi, «(Dio) che ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del Figlio del suo amore, per mezzo del quale abbiamo la redenzione, il perdono dei peccati».
È Cristo che ci libera dalle tenebre dell’egoismo, dell’orgoglio e della paura. E come avviene questo? Quando vinciamo il male con il bene; quando ci appassioniamo come lui, di una passione intesa nel duplice senso del saper soffrire e del saper amare, allora si compie anche per noi la liberazione dalla schiavitù del peccato.
La liturgia ortodossa domanda al fedele che si accosta a ricevere l’Eucaristia, di porsi nell’atteggiamento del bandito sulla croce, dicendo: Signore, non ti darò il bacio come Giuda, ma come il ladrone ti confesserò: ricordati di me Signore nel tuo Regno!
Ecco facciamo nostra questa preghiera semplice, quando la croce ci pesa, quando la fatica e il dolore ci sovrastano. È già riscatto, è già vedere oggi al di là dello spettacolo della croce, oltre l’evidenza del crocifisso, umiliato e reso ridicolo, una speranza.
Insieme allora preghiamo: Signore ricordati di me, ricordati di noi, ricordati di tutti coloro dei quali nessuno si ricorda e a noi che ci nutriamo del tuo Corpo e del tuo Sangue dona di saper vincere il male con il bene perché possiamo abitare il tuo giardino di pace.