IMMACOLATA CONCEZIONE DELLA B.V. MARIA - Lc 1, 26-28
Questa mattina, solennità dell’Immacolata Concezione di Maria, papa Francesco ha aperto la porta dell’anno santo: una Porta della Misericordia, dove chiunque entrerà potrà sperimentare l’amore di Dio che consola, che perdona e dona speranza.
L’apertura di una porta è un segno di futuro. A noi che viviamo nella condizione di Adamo e di Eva, come ci ricordava la Genesi, a noi che facciamo l’esperienza quotidiana del peccato, dell’offesa, della ferita sia di quelle che riceviamo, ma anche di quelle che procuriamo… ebbene Dio non ci lascia ingessati nel male, né di quello che subiamo, né di quello che siamo capaci di compiere.
Per questo ha pensato e voluto Maria santa e immacolata nell’amore (come diceva Paolo), perché diventasse la Madre del Redentore dell’uomo. Dinanzi alla gravità del peccato, Dio risponde con la pienezza del perdono. La misericordia sarà sempre più grande di ogni peccato» (Misericordiae vultus, 3).
Allora insieme con Maria varchiamo anche noi la porta santa, quella porta che è il primo segno dell’anno giubilare e che sta a dirci che Dio non si stanca mai di spalancare la porta del suo cuore e continua a ripetere che ci ama e vuole condividere con noi la sua vita.
La porta si apre in un muro per permettere di attraversarlo, di passare da una condizione a un’altra: così Dio vuole aprire la porta della misericordia dentro i muri dell’indifferenza, della paura, dell’odio. Intorno a noi ogni giorno crescono muri, si alzano barriere, recinti e filo spinato.
Ma anche dentro di noi cresce la paura, l’insicurezza, l’incertezza, quando l’altro diventa un nemico, può essere un terrorista, un violento e la reazione più normale è quella di irrigidimento, di durezza…. Ed è proprio per questo che l’anno santo ci insegna ad aprire una porta, a trovare uno squarcio di dialogo, a tentare ostinatamente una possibilità di incontro.
Il ragazzo che suona il violino e che appartiene all’orchestra dei popoli è un esempio di chi ha avuto il coraggio di aprire una porta nelle paure, di non chiudere, ma di continuare a credere che nell’incontro e nel dialogo possiamo trovare vie di convivenza, di pace, di fraternità della famiglia umana. La musica che vogliamo ascoltare è la sinfonia delle diversità. Non ci bastano più solisti su cui si concentra l’attenzione, vogliamo costruire un’umanità sinfonica, fraterna, nella quale ognuno con i suoi strumenti, le sue capacità contribuisce alla bellezza della convivialità.
Aprire la porta del cuore, dei nostri cuori induriti e incalliti perché feriti dal male e dal dolore del mondo, esige coraggio. Non è sentimentalismo a buon prezzo, è un atto di coraggio, proprio di chi non dimentica di quanta misericordia è stato capace Dio con noi stessi!
Il secondo segno del giubileo è il pellegrinaggio. Un gesto che non vorremmo si riducesse semplicemente all’organizzazione turistica di un viaggio. Forse serve anche questo, ma è un altro il pellegrinaggio che possiamo fare verso la porta del cuore di Dio. Il Signore Gesù ne indica le tappe: « Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati. Date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio» (Lc 6,37-38).
Il Signore ci insegna che la prima tappa consiste anzitutto nel non giudicare e nel non condannare. Se non si vuole incorrere nel giudizio di Dio, nessuno può diventare giudice del proprio fratello. Gli uomini, infatti, con il loro giudizio si fermano alla superficie, mentre il Padre guarda nell’intimo.
Se Dio si fermasse alla giustizia cesserebbe di essere Dio, sarebbe come tutti gli uomini che invocano il rispetto della legge. La giustizia da sola non basta, e l’esperienza insegna che appellarsi solo ad essa rischia di distruggerla. Per questo Dio va oltre la giustizia con la misericordia e il perdono. Ciò non significa svalutare la giustizia o renderla superflua, al contrario. Chi sbaglia dovrà scontare la pena. Solo che questo non è il fine, ma l’inizio della conversione, perché si sperimenta la tenerezza del perdono. Dio non rifiuta la giustizia. Egli la ingloba e supera in un evento superiore dove si sperimenta l’amore che è a fondamento di una vera giustizia.
La comunione che faremo questa sera, avviene con le ostie prodotte da alcuni detenuti del carcere di Opera, condannati all’ergastolo per aver commesso omicidio. Questo è il miracolo della misericordia: le mani che hanno imbracciato le armi per uccidere, possono diventare mani capaci di impastare il corpo di Cristo!
Il perdono è una forza che risuscita a vita nuova e infonde il coraggio per guardare al futuro con speranza.
Apriamo i nostri occhi per guardare le miserie del mondo, le ferite di tanti fratelli e sorelle privati della dignità, e sentiamoci provocati ad ascoltare il loro grido di aiuto. Le nostre mani stringano le loro mani, e tiriamoli a noi perché sentano il calore della nostra presenza, dell’amicizia e della fraternità. Che il loro grido diventi il nostro e insieme possiamo spezzare la barriera di indifferenza che spesso regna sovrana per nascondere l’ipocrisia e l’egoismo.
Il terzo segno del giubileo: dopo aver aperto la porta santa e dopo aver percorso il cammino di conversione… dove arriviamo? A cosa ci conduce questo anno santo? Ci conduce alla carezza di Dio che è la misericordia di cui la chiesa è chiamata ad essere il segno!
Scrive papa Francesco: «Ho scelto la data dell’8 dicembre perché è carica di significato per la storia recente della Chiesa. Aprirò infatti la Porta Santa nel cinquantesimo anniversario della conclusione del Concilio Ecumenico Vaticano II. La Chiesa sente il bisogno di mantenere vivo quell’evento. Per lei iniziava un nuovo percorso della sua storia. I Padri radunati nel Concilio avevano percepito forte, come un vero soffio dello Spirito, l’esigenza di parlare di Dio agli uomini del loro tempo in un modo più comprensibile. Abbattute le muraglie che per troppo tempo avevano rinchiuso la Chiesa in una cittadella privilegiata, era giunto il tempo di annunciare il Vangelo in modo nuovo. Una nuova tappa dell’ evangelizzazione di sempre. Un nuovo impegno per tutti i cristiani per testimoniare con più entusiasmo e convinzione la loro fede. La Chiesa sentiva la responsabilità di essere nel mondo il segno vivo dell’amore del Padre.
Tornano alla mente le parole cariche di significato che san Giovanni XXIII pronunciò all’apertura del Concilio per indicare il sentiero da seguire: «Ora la Sposa di Cristo preferisce usare la medicina della misericordia invece di imbracciare le armi del rigore» (Ivi, n.4).
Guardando la croce di Lampedusa, realizzata con i legni dei barconi dei migranti, lì impariamo a vedere la carezza di Dio: un amore che avvolge con la sua tenerezza il pellegrinaggio di migliaia e migliaia di esseri umani drammaticamente concluso con la morte. È un paradosso guardare alla croce come carezza di Dio, ma Gesù è venuto a dirci fino a che punto si spinge la tenerezza del nostro Dio.
La Chiesa non è testimone del Dio degli eserciti, del Dio guerriero, vendicatore e moralista, ma di un Dio che si è spinto a tal amore da donarsi in Gesù sulla croce: il volto di Cristo è il volto della misericordia, sua la totale identificazione con i piccoli, i miseri e gli esclusi. È in lui che l’Altissimo (Très-Haut) diventa il Bassissimo (Très-Bas): per questo la Chiesa, come ama dire papa Francesco, è un ospedale da campo e non un museo in cui si entra intimiditi, un luogo dove si può sperimentare che Dio perdona non con un decreto, ma con una carezza.
È un messaggio in controtendenza quello che viviamo in questo anno santo e lo penso soprattutto per i nostri giovani costretti a vivere in una società della prestazione che non tollera la possibilità di fallire, non accetta la fragilità costitutiva dell’umano, generando spesso depressione e frustrazione proprio perché non riescono ad essere quello che occhi senza misericordia si aspettano. Il doping diventa necessario: tanti professionisti hanno bisogno di drogarsi per essere produttivi… Un giovane non guardato e amato per ciò che è e non per ciò che dovrebbe dare e fare, si stanca della sua esistenza ancor prima di cominciare.
Chiediamo a Maria, Madre della Misericordia, di essere una Chiesa di misericordia. Nessuno come lei ha conosciuto la profondità del mistero di Dio fatto uomo. Scelta per essere la Madre del Figlio di Dio, Maria è stata da sempre preparata dall’amore del Padre per essere Arca dell’Alleanza tra Dio e gli uomini. Ha custodito nel suo cuore la divina misericordia in perfetta sintonia con il suo Figlio Gesù.
Come Caravaggio[1], con una straordinaria capacità di incastro e di pianificazione ha intrecciato le sette opere di misericordia in un unico racconto posto sotto lo sguardo misericordioso di Maria col Bambino, così la dolcezza del suo sguardo ci accompagni in questo Anno Santo, perché tutti possiamo riscoprire la gioia della tenerezza di Dio.
(Gen 3,9-15.20; Ef 1,3-6.11-12; Lc 1,26-28)
[1] È sua l’imponente tela dipinta per la Chiesa del Pio Monte della Misericordia a Napoli nel 1606.