PENULTIMA DOPO L’EPIFANIA detta "della divina clemenza" - Lc 7, 36-50
(Os 6, 1-6; Gal 2, 19- 3,7; Lc 7, 36 – 50)
Luca oggi presentandoci Gesù in mezzo a due figure, il fariseo Simone e una prostituta (un’altra coppia lucana – un uomo e una donna –), racconta il nostro modo di stare gli uni di fronte agli altri, che è anche il nostro modo di stare dinnanzi a Dio.
C’è anzitutto una donna, una peccatrice di quella città, una prostituta – che non dobbiamo confondere né con Maria di Betania e nemmeno con Maria di Magdala – che entra in casa del fariseo Simone; la vediamo passare sotto il suo sguardo inquisitore, una poco di buono che diventa una presenza imbarazzante: qualcuno dei presenti probabilmente è stato anche un suo cliente. Per una donna così, presentarsi a un banchetto di uomini voleva dire esporsi alle battute, al giudizio e agli scherni di vario genere, non facciamo fatica a immaginare le reazioni dei presenti!
Ma lei non ha occhi che per Gesù: i segni di affetto che questa donna prodiga sul corpo del maestro, le lacrime con cui bagna i piedi, l’unguento profumato che versa sui piedi e i baci che accompagnano il suo pianto, sono in realtà delle medicine per il suo proprio corpo, per il suo cuore.
Quelle mani sono indegne, quei baci sono impuri, i suoi capelli eloquente segno di sensualità e la sua presenza ambigua. L’amore cui era abituata, era come quello descritto da Osea nella prima lettura: «come una nube del mattino» che al primo raggio di sole si dissolve, svanisce e non lascia nessuna altra traccia se non quella dell’amarezza di un corpo venduto e di un’anima svuotata, eppure la vediamo chinarsi sui piedi di Gesù, lavarli con quelle lacrime che ancora ci commuovono, che dicono il pianto del pentimento, del dolore di un amore sbagliato.
Colpisce questa insistenza sui piedi: sappiamo che come prima cura di ospitalità, gli antichi li lavavano al viandante. Per noi sono troppo lontani dalla testa e dal cuore: eppure sono tutto l’equilibrio, reggono il nostro intero peso, sanno correre sugli scogli e per i sentieri di montagna, conoscono ogni tipo di suolo…
Anche se non li degniamo di tanta considerazione, anzi facciamo dell’ironia con questo capolavoro della creazione che ci fa dire: «Quello ragiona coi piedi», e ancora consideriamo dei «bacia piedi» coloro che sono disposti a tutto pur di raggiungere i propri meschini progetti.
Eppure l’umanità ha cominciato a dominare l’orizzonte, a perlustrarlo, a comprenderlo e ha iniziato a levare il capo verso l’infinito, per scrutare l’orizzonte proprio reggendosi sui piedi. Ecco questa donna comincia proprio dai piedi di Gesù: come a esprimergli tutto l’affetto e la riconoscenza perché in lui ha incontrato un perdono che nessun altro è stato capace di darle.
Certo Gesù avrebbe potuto ricordarle i comandamenti, avrebbe dovuto richiamarla all’ordine; secondo i benpensanti che siamo noi e che abbiamo sempre la verità giusta per gli altri nelle nostre tasche, avrebbe dovuto rinviarla per un periodo di penitenza e di conversione… E invece abbiamo ascoltato parole che solo Dio riesce a pronunciare: «Le sono perdonati i suoi molti peccati, infatti ha molto amato. Invece colui al quale si perdona poco, ama poco». Alla donna Gesù ha perdonato i suoi molti peccati, e questo si vede dal fatto che manifesta un amore tanto grande. L’amore che la donna esprime a Gesù non è la condizione, ma l’effetto del perdono.
È il perdono di Dio che la peccatrice riceve attraverso Gesù che provoca l’abbondanza del suo amore: la donna non sarebbe in grado di amare così, se non fosse stata prima abbracciata dal perdono di Dio in Cristo.
Tu invece, sembra dire Gesù al fariseo Simone, non hai fatto questi gesti straordinari di affetto. Significa forse che sei meno peccatore di questa donna?
Può darsi, ma intanto tu oltre a giudicare la donna, sentendoti superiore nei tuoi meriti, pensi male perfino del Cristo (Se costui fosse un profeta, saprebbe chi è e di quale genere è la donna che lo tocca).
È più facile per noi essere come il fariseo Simone, sempre pronti a giudicare, piccoli di cuore, non solo, ma l’errore più grande di quell’uomo è nello sbagliarsi su Dio, questo è il dramma peggiore, il grande freddo dell’anima.
Qui vediamo come il nostro modo di stare davanti agli altri riveli il nostro pensiero su Dio. E questo è il dramma peggiore che possa capitare anche a noi, perché se proiettiamo su Dio le nostre categorie morali, mentali… poi ci sbagliamo sul mondo, sulla storia, su noi stessi e sulle nostre relazioni. Sbagliamo la vita.
Turoldo, di cui abbiamo ricordato i 20 dalla morte (6 febbraio 1992), diceva sempre che è «Meglio essere atei pensanti che credere in un Dio sbagliato». Perché non è tanto l’esistenza di Dio il problema, il vero problema è il volto di Dio, quale Dio amiamo. «Generazioni di uomini hanno lacerato questo nome con la loro divisione in partiti religiosi – scrive Martin Buber – hanno ucciso e sono morti per questa idea. Disegnano una smorfia e scrivono sotto “Dio”, si uccidono a vicenda e dicono “in nome di Dio”», al punto che «Possiamo rispettare coloro che disprezzano Dio perché troppo spesso altri si coprono con questo nome per giustificare ingiustizie e soprusi».
Per questo credo che noi discepoli da lungo tempo prima ancora di coltivare la nostra perfezione morale, la nostra santità, dovremmo sempre stare nella condizione di convertire ogni nostra immagine e ogni nostro discorso su Dio, per ritrovare nella freschezza del racconto evangelico il volto di Dio di nome Gesù di Nazaret, da lì può nascere un modo nuovo di amare, è dall’incontro con l’umanità di Gesù.
L’umanità di Gesù è il luogo dove l’impensabile si è fatto pensiero, dove l’inimmaginabile si è fatto volto, dove l’inaccessibile si è fatto vicino. Questo la prostituta del vangelo l’ha ben compreso e la sua vita è tornata a fiorire.
Il fariseo Simone è invece rimasto lì a contare i suoi meriti e gongolarsi nella sua presunzione.
Abbiamo bisogno di riconoscere i nostri peccati e ancor più la misericordia e la pazienza che Dio ha con noi, per imparare il linguaggio della tenerezza e i gesti affettuosi della misericordia che si china sui piedi dei fratelli perchè possano riprendere a camminare, sui piedi della nostra umanità perché si regga “in piedi”.
Lì nasce l’uomo nuovo perché nuovo è il cuore.