IV DOPO IL MARTIRIO DI S. GIOVANNI IL PRECURSORE - Gv 6, 24-35


(Is 64 1-10; Gv 6, 24-35)

Dopo aver raccontato all’inizio del cap.6 di Gesù che ha sfamato cinquemila persone con cinque pani e due pesci, Giovanni dà voce al grande successo e alle aspettative della gente nei confronti di Gesù: lo cercano per mari e per monti, e non è solo un modo di dire. Non sarebbe possibile diversamente: come non seguire uno che ti libera dall’ansia e dalla preoccupazione del pane, per te e per la tua famiglia?

La simbolica del nutrimento era già stata anticipata da Giovanni al cap. 2 con il simbolo del vino alle nozze di Cana e ancora al cap. 4 con il segno dell’acqua che spegne la sete della Samaritana, e ora al cap. 6 con il segno del pane.

Perché il vino, l’acqua e il pane ci sono necessari per vivere e paradossalmente proprio in questa dipendenza siamo liberi.

Il nutrimento è un’esperienza di dipendenza, nel senso che per vivere dobbiamo dipendere da una realtà esterna: dipendiamo dal cibo, dal lavoro degli altri, dalla fiducia che poniamo in ciò di cui ci serviamo … in definitiva dipendiamo dall’universo, senza il cosmo non possiamo vivere.

Questa dipendenza esprime il rapporto profondo tra creatura e Creatore: io non esisto da me stesso, ma per essere me stesso ed essere libero devo mangiare, devo nutrirmi, devo affidarmi al lavoro degli altri e in definitiva a colui che mi ha creato.

E questa relazione non è semplicemente di causa e effetto, ma è una relazione costitutiva.

La manna nel deserto era in qualche modo il simbolo storico di tutto questo: cosa ha sostenuto il cammino del popolo nel deserto? La manna che scese da cielo, la parola di Dio, la legge, la sapienza … tutti doni che venivano dall’Eterno.

Quando le folle cercano Gesù, in un certo senso rivivono l’esperienza dei loro padri e delle loro madri, per i quali la sopravvivenza nel deserto e nelle insidie della traversata, era nelle mani di Dio. Fu proprio attraversando con fede quella condizione che giunsero ad essere liberi.

Sono convinto che il Signore passando attraverso la moltiplicazione del pane, ci inviti a considerare il senso più profondo di questa dipendenza: come per vivere dobbiamo appunto mangiare, così è vero che la nostra esistenza per essere davvero libera, autentica debba nutrirsi di lui.

La sua Parola è per noi il gusto della vita, la sua parola è fonte di libertà: è paradossale, ma nella dipendenza da lui che siamo liberi!

Gesù ci è necessario come il pane.

Proprio come afferma nel passo di oggi: Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!

Il vangelo di Giovanni ci racconta che Gesù in diverse occasioni per parlare di sé e della propria missione ha fatto ricorso ad alcune immagini e simboli attingendo alla vita quotidiana del tempo: Io sono la luce (8, 12); la porta (10, 7.9); il buon pastore (10, 11.14); la risurrezione (11, 25); la via (14, 6); la vite (15, 1.5) … ma, in ordine di tempo, la prima di tutte è quella che abbiamo ascoltato oggi: Io sono il pane della vita.

Tutto il cap. 6 di Giovanni è costruito intorno a questa metafora che attinge alla storia biblica, alla storia della manna nel deserto, ma non solo.

Per lungo tempo – e da qualche parte nel mondo ancora oggi – il pane è stato il principale alimento dell’uomo. Quello che si mangiava insieme era appunto il “companatico”.

Sintesi tra natura e cultura, frutto della terra e del lavoro dell’uomo, il pane ha una storia che si perde nella notte dei tempi, segnata ora dalle stagioni feconde, ora dalle carestie. Per il pane si sono combattute guerre e si sono accese rivolte fino ad oggi; per contro condividere il pane è segno di ospitalità e di amicizia, in alcune culture il pane non si può tagliare con il coltello, si può solo spezzare con le mani.

Tra l’altro la metafora del pane è entrata nel linguaggio quotidiano con diversi modi di dire, ad indicare stati d’animo, modi di essere, situazioni di vita: «Essere buono come il pane; guadagnare il pane con il sudore della fronte; stare a pane e acqua; mangiare il pane delle lacrime; a chi ti colpisce con le pietre, rispondi con il pane».

Ancora oggi il pane fa la differenza tra il mondo dei poveri e quello dei ricchi: i primi ne domandano sempre di più, gli altri vi rinunciano volentieri.

Al punto che risuona molto vero ciò che diceva Gandhi: in un mondo dove ci sono tanti affamati, Dio può apparire solo nel segno del pane!

Paolo VI diceva che Gesù identificandosi con il segno del pane, vuole dirci che come il pane ci è necessario per saziare la fame, anche il Cristo ci è necessario per nutrire la nostra vita.

Non pensiamo immediatamente all’Eucaristia: in questi versetti mangiare è sinonimo di credere! Infatti alla fine del capitolo Pietro dirà: Signore da chi andremo? tu solo hai parole di vita!

Così i discepoli hanno imparato ad ascoltare e a nutrirsi della parola di Gesù, come di un pane buono che alimenta il senso della vita, al punto che non hanno più fame d’altro pane, non hanno bisogno di cercare altri sapori!

Ecco il pane della libertà: non è il miracolo a renderci credenti, il miracolo anzi rende schiavi, è più probabile che le folle diventino dipendenti da uno che dà il pane gratis. In effetti il Signore poteva costruirsi un seguito consistente tra le folle, ma le avrebbe rese schiave e non libere.

Credere in Gesù è pane per la vita, ma puoi anche non credere: è un atto di grande libertà decidersi per lui.

Mangiare il pane di Gesù, credere in lui, fidarsi di lui, è mangiare il pane della libertà.

Nel senso che se davvero hai ascoltato lui, la sua parola, hai metabolizzato il suo Vangelo, non hai bisogno di altri surrogati, di altre parole che ti diano senso.

La libertà di Gesù è quella che viene appunto espressa nel segno del pane.

Una libertà che però devi pagare a caro prezzo, perché credere in lui significa anche un po’ morire a se stessi, alle proprie voglie, ai propri capricci, alla propria superbia.

C’è nel pane una misteriosa legge che dice: la vita nasce da un apparente morire.

Gesù nel chicco di grano che il seminatore ha seminato, che ha rotto la dura crosta e che ora germoglia, ha colto questa legge: la vita non muore, si trasforma; passa da forma a forma: c’è una trasformazione e non una cancellazione, un annullamento.

Così è per chi crede e segue Gesù: quando vogliamo vivere come lui e vogliamo mettere in pratica il Vangelo, ci sembra di morire al nostro orgoglio, alla nostra identità, ma in realtà veniamo trasformati, veniamo appunto macinati e impastati nel pane di Cristo. Nel pane si esprime e si riassume tutto il mistero dell’uomo.

Preghiamo il Signore perché continui ad impastare la nostra vita con il lievito del Vangelo, o, come diceva Isaia, a plasmarci come argilla nelle sue mani:

Ma Signore, tu sei nostro padre

noi siamo argilla e tu colui che ci plasma,

tutti noi siamo opera delle tue mani (Is 64, 7).