XI DOPO PENTECOSTE - Mt 21, 33-46
Ci sarà pure un senso se la liturgia di ieri ci ha fatto celebrare l’assunzione di Maria al cielo e quella di oggi ci fa incontrare il profeta Elia la cui esistenza terrena non si concluse con una morte per così dire tradizionale, ma con un evento denso di mistero: venne rapito al cielo in un turbine e in un carro di fuoco; inutilmente i suoi discepoli lo cercarono per tre giorni senza trovarlo.
Ebbene proprio per il suo essere stato rapito in cielo (secondo Malachia 3,23) viene atteso da Israele quale precursore del giorno del Signore; sì, Elia tornerà a preparare l’ora del Messia.
Ma dobbiamo andare con ordine e fare un poco di storia. Domenica scorsa abbiamo lasciato il re Salomone che dopo aver consolidato il regno di Davide suo padre, aveva costruito con grande successo il Tempio.
Alla sua morte (931 a.C.), come spesso accade, il regno si divise in due parti.
Le dieci tribù del nord fanno secessione e si staccano da Gerusalemme, formano un regno più ricco e potente, ma grazie alle ambiguità delle alleanze internazionali e dei matrimoni misti, alla violenza e all’ingiustizia degli usurpatori, all’avidità di potere e di denaro, al lusso, alle passioni e all’arroganza dei sovrani.
In questo contesto sorge nel regno del nord il profeta Elia (Elia, in ebr. «Solo il Signore è Dio»), già il nome dice chiara la sua missione.
E dopo di lui Eliseo, Amos e Osea che senza paura criticano e denunciano l’infedeltà dei sovrani e tengono viva con un piccolo resto di credenti la fedeltà all’alleanza.
Una situazione critica che non risparmia nemmeno il regno del sud, dove invece compie la sua missione il profeta Isaia. Regno che Nabucodonosor conquista nel 597 e che dieci anni più tardi, in seguito a un rigurgito di indipendenza, non esiterà a distruggere Gerusalemme con una grande deportazione di massa.
Elia storicamente è contemporaneo di Omero, ma la sua epopea non è quella dell’eroe che salva con l’astuzia e la forza.
Elia non è un eroe, è un nabî, come si dice in ebraico, un profeta, uno che annuncia qualcosa che gli altri ancora non sanno e non riescono a vedere.
Non impartisce insegnamenti dottrinali astratti, non ripete luoghi comuni.
Il profeta nella Bibbia è uno che vede la gente così com’è e come dovrebbe essere.
È immerso nei problemi del proprio tempo, eppure vive ancorato alla parola di Dio.
In questo senso il profeta è sempre sveglio, sempre vigile; non è mai indifferente, meno che mai all’ingiustizia, e proprio per questo è spesso perseguitato, è solo, anche quando si rivolge alle folle, quando parla con Dio o con se stesso.
Il profeta è una figura tragica: più esiste, più appartiene a Dio e a nessun altro.
Il suo modo di porsi è alternativo alle mode del tempo: sappiamo ad esempio che Elia vestiva in maniera bizzarra: indossava un perizoma con una cintura di cuoio intorno ai fianchi e un mantello di peli (2Re 1, 8). Aveva i capelli lunghi, senza un particolare lavoro, senza una casa e senza famiglia.
Ma Elia come gli altri profeti non è né conservatore né progressista, non è un anarchico, un contestatore di professione: se critica le ambiguità o le infedeltà del presente lo fa perchè è preoccupato per le sorti della vigna del Signore.
È sicuramente un personaggio dal carattere duro, indomito, irascibile, inflessibile.
È severo con i re, i tiranni, mai con gli umili, le vedove e gli orfani, i poveri.
Crudele, come quando fece sgozzare i falsi profeti di Gezabele, ma di una tenerezza inimmaginabile con il bambino malato della vedova di Sarepta.
Uomo delle decisioni drastiche, rifiuta debolezze e compromessi.
E allora non esita a scontrarsi con coloro che dovrebbero prendersi cura della vigna e invece curano il loro capricci: provoca i re compiaciuti e i loro adulatori, piega i vanitosi, non esita a mostrare ai grandi quanto sono piccoli e ai potenti quanto sono fragili!
Infatti i re del nord erano per lo più mediocri ed egoisti; alcuni anche peggio. E in una casa corrotta e divisa la fede e la spiritualità sono le prime ad andarsene.
Il re Acab, di cui abbiamo letto oggi, è uno di questi: per assicurarsi l’alleanza dei fenici sposò la principessa Gezabele, figlia del re di Tiro, donna ambiziosa e crudele che finì per imporsi sul debole Acab al punto da permettergli di costruire templi pagani e quant’altro… ed era potente a tal punto da potersi permettere di mantenere ben quattrocento profeti di Asera (divinità cananea della fecondità) che sono quegli stessi che Elia sfida e che «mangiano alla tavola di Gezabele», sono cioè pagati e mantenuti e che pertanto non possono che dire e fare cose gradite ai loro datori di lavoro!
Elia provoca una sfida e li convoca tutti sul Carmelo: lui solo di fronte ai quattrocentocinquanta profeti di Baal e ai quattrocento di Asera e al re davanti con tutto il popolo.
Di fronte a questa assemblea c’è un uomo solo, Elia che sfida i profeti pagani con parole quasi sprezzanti: fino a quando salterete da una parte all’altra?
Il popolo, dice la Bibbia, non rispose: da sempre la massa preferisce aspettare e unirsi al vincitore!
Mentre la missione del profeta è proprio la conversione del cuore degli uomini e delle donne, è il ritorno a Dio delle loro coscienze e delle loro libertà.
Il NT ci dice che Gesù è il profeta per eccellenza, e anche oggi il vangelo si conclude con questa considerazione: «cercavano di catturarlo, ma ebbero paura della folla, perchè lo considerava un profeta».
Gesù ha parlato come un profeta anche nella parabola di oggi, ma Gesù è il profeta per eccellenza proprio perchè non è solo colui che parla in nome di Dio, che vive la parola del Padre, ma egli stesso è la parola di Dio divenuta uomo.
È l’inviato definitivo di Dio per la vigna che siamo noi e in lui ritroviamo tutti i caratteri che abbiamo incontrato in Elia, fino alla sua ascensione al cielo!
Nemmeno Gesù, come Elia, lascia tracce in questo mondo, nel senso che non lascia reliquie, neanche una tomba sulla quale poter andare a piangere (come Mosè).
Per cui ai discepoli di Cristo, come già ai discepoli di Elia, rimane una cosa sola da fare: dare continuità alla sua missione e tenere viva la sua profezia.
Ed è per questo che il profetismo è stato e sempre rimane in Israele e nella Chiesa un fenomeno di per sé laicale, indipendente da ogni titolo gerarchico, da ogni diploma o approvazione autoritativa: il profeta può essere uomo o donna, può essere di cultura o incolto, pastore o semplice fedele, giovane o anziano…
È importante per noi leggere i profeti del Primo Testamento: come Elia ha vissuto pienamente la sua vocazione conquistato dalla parola di Dio, così noi che siamo stati conquistati totalmente da Gesù, non dobbiamo temere di essere soli davanti a una società che salta da una parte all’altra, ad una massa cui va bene tutto e che insegue il vincitore di turno.
Come Elia prima e Gesù poi, non siamo mantenuti da nessuno, non siamo profeti di corte, viviamo la libertà di essere dipendenti solo dalla parola di Dio e anche se veniamo trattati come pietre scartate da chi crede di costruire il futuro, teniamo viva la fede, la preghiera e la giustizia.
È proprio di questa profezia che hanno bisogno la nostra umanità e la nostra chiesa oggi: preghiamo il Signore perchè mandi ancora profeti, uomini dal cuore in fiamme come Elia.
(1Re 18, 16-40; Rm 11,1-15; Mt 21, 33-46)