IV DI QUARESIMA o Domenica del Cieco - Gv 9, 1-38b


audio 14 marzo 2021

Non credo che il cieco nato si fosse alzato quella mattina con la speranza di ottenere la vista. Ormai la sua vita era segnata: cieco fin dalla nascita non poteva nemmeno immaginare cosa potesse significare riuscire a vedere. La sua esistenza procedeva senza grandi novità. Aveva dei genitori, eppure doveva mendicare per vivere.

C’è una cecità che è un problema degli occhi, un problema fisico. Così come c’è una cecità che viene dalla rabbia e dalle tensioni che accecano il cuore e tante volte fanno agire per impulso. Ma c’è anche una cecità diffusa che è la mancanza di prospettive, il non riuscire a orientarsi in ciò che accade, così che uno lascia che le cose vadano come devono andare, e vive con atteggiamento scontato.

Da questo punto di vista siamo anche noi ciechi dalla nascita: della vita cosa sappiamo? Non possiamo dire altro che quello che abbiamo vissuto e stiamo vivendo, quello che l’esperienza ci fa incontrare… Crediamo che tutto debba procedere così. Aspettiamo che passi la pandemia per poter riprendere le cose di sempre.

La teologia che abbiamo respirato fin da bambini ci spiegava che questa condizione umana è dovuta al peccato originale. Gli antichi pensavano che in origine vi fosse un Adamo perfetto, vale a dire si immaginava un mondo compiuto che è andato via via corrompendosi e che si sarebbe perduto e deteriorato a causa del peccato originale.

Ora noi saremmo qui a ripetere questa stanca dottrina? Usciremmo da qui più ciechi di quando siamo entrati? Con la rassegnazione che tanto le cose devono andare così come pensavano gli interlocutori di Gesù nel vangelo di Giovanni? Sono proprio i discepoli a porre una domanda che doveva essere retorica: chi ha peccato?  e che invece diventa per il Signore un’occasione a dir poco dirompente: Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio.

Basta continuare a guardare indietro come se potessimo immaginare l’esistenza di un passato ideale, di un’età dell’oro che non c’è mai stata. Anche questa è cecità: volgersi indietro con la nostalgia di un passato ideale che esiste solo nella nostra mente.

Per cui se questa è l’idea capite bene che la vita sarà un continuo cercare di restaurare il guasto, vedrà lo sforzo di conservare il più possibile lo stato delle cose, la vita sarà un gioco sempre in difesa.

Infatti l’illuminismo nasce anche come reazione a un dogmatismo che proibiva ed escludeva possibilità nuove di conoscenza e di comprensione, come ad affermare la luce della razionalità sulle tenebre di una fede cieca. Ma la fede non è cieca. Cieca è quando si riduce a ideologia che chiede obbedienza assoluta.

Lo sguardo di chi crede, dice Gesù, è volto a riconoscere le opere di Dio. Perché Dio continua a essere all’opera, l’Eterno non è un principio astratto, ma è vita e occorrono occhi dell’anima che sappiano riconoscere le opere di Dio.

Ora i più anziani tra noi hanno studiato i rudimenti della fede in parrocchia sul vecchio Catechismo di Pio X: un catechismo che di Dio dava questa precisa definizione: Dio è l’Essere perfettissimo, Creatore e Signore del cielo e della terra. Dobbiamo dire sinceramente che allora per noi bambini Dio veniva collocato in un mondo astratto e lontano, nel mondo delle idee. Per poi renderci conto che era una definizione che andava bene per qualsiasi ipotesi Dio: andava bene per Zeus, per Giove… insomma per una proiezione di onnipotenza e di onniscienza che tanto appagava il mondo religioso.

In realtà Gesù ci va dicendo che Dio è per l’uomo ciò che sono i colori per un cieco dalla nascita: una cosa impossibile da immaginare. Perché il Dio di cui parliamo, di cui noi credenti abbiamo sentito parlare sin dall’infanzia, o meglio l’idea di lui che ci hanno tramandato e inculcato, è davvero lontana da poter essere immaginata, non soltanto perché Dio è misterioso e trascendente, ma perché noi abbiamo l’irrefrenabile tendenza a ridurlo a nostra immagine.

Proviamo a pensare come sia cambiata questa immagine di Dio nelle varie vicende legate all’età, negli eventi e nelle esperienze che abbiamo fatto. In quel momento ci pareva di avere una convinzione certa di Dio, salvo poi, cambiando il contesto e il nostro stesso sentire, trovarci di nuovo per strada in una strenua ricerca del volto di Dio.

D’altronde non saremmo qui alla scuola del Vangelo ogni domenica per attingere alla rivelazione di Gesù. Oggi con un gesto e con una parola molto umani il Signore rivela il volto di Dio che è continuamente all’opera nel rigenerare proprio quell’umanità che le nostre ideologie anche religiose hanno reso disumana.

Quell’uomo cieco, che siamo appunto noi, cambia vita nel momento in cui impara a fidarsi di Gesù. Dobbiamo immaginare di essere a Gerusalemme e vedere la lunga e ripida scala che il Signore, dopo che gli ha spalmato il fango sugli occhi, chiede al cieco di scendere per arrivare alla sorgente Ghihon – dove l’acqua arrivava attraverso il canale che Ezechia aveva costruito 700 anni prima di Cristo (cfr. 2Re 20,20).

Il nome Siloe, come specifica Giovanni per i suoi lettori che parlano greco, significa “inviato”. Chi è l’inviato? Gesù è l’inviato di Dio come l’acqua che viene inviata lì dalla sorgente, Gesù è il Messia dal quale scaturisce l’acqua viva, ovvero lo Spirito di Dio.

Ma l’inviato è anche il cieco, che viene mandato da Gesù e lui si fida della parola di questo profeta che gli ha coperto gli occhi di fango e va, scende la ripida scala che lo porta – ma solo dopo che l’ha percorsa – a ottenere la vista. Vale a dire ad avere occhi per vedere un futuro.

La fede è un invio a scendere la scala per giungere alla sorgente. La fede è essere messi in stato di ricerca, di fiducia. Avere fede non significa giocare in difesa perché se la fede è fidarsi di Cristo, allora la teoria che motivava la cecità di quell’uomo con il fatto che è nato tutto nei peccati, implode.

Il cieco nato del Vangelo è un paradigma antropologico assai intrigante: la sua cecità non è una colpa, non è conseguenza di un peccato, ma manifesta, “fa luce” al fatto che le opere di Dio, la sua creazione vada avanti, progredisca. La creazione continua, evolve, cammina verso la pienezza del disegno di Dio. La fede è un invio verso il futuro, perché la purezza non è al passato, ma sta tutta davanti a noi. Gesù incontra il cieco nato, lo tocca, gli parla: la creazione continua così.

Gesù apre i nostri occhi perché impariamo a guardare le cose diversamente, non sotto la condanna del peccato, ma sotto la prospettiva del futuro, della benedizione di Dio.

I contemporanei di quell’uomo nato cieco discutono per capire di chi sia la colpa, ma non fanno nulla per lui. Continuano a ingessare la realtà e a rinchiudere le persone nelle gabbie della colpa e del peccato.

Paradossalmente coloro che hanno occhi per vedere non riescono a vedere che il cieco vede. Non possono, non vogliono vedere un dato evidente perché se lo riconoscessero verrebbe a crollare tutta la loro teologia. Tant’è che non avendo più argomentazioni, non rimane loro che ricorrere alla violenza: lo cacciarono fuori, scrive Giovanni. Lo escludono dalla comunità, perché è impossibile accogliere uno che ora vede Dio in maniera diversa, senza mettere in discussione tutto.

Questo fa la religione e nella storia la violenza religiosa si ripete in continuazione giustificandosi con la difesa del dogmatismo.

Mentre i gesti della fede, come quelli di Gesù, sono i gesti del Padre nel sabato della creazione: sono i gesti di una creazione che rigenera, che va incontro alle persone, ascolta, parla, vede, si prende cura, ama: così sei benedizione, così la creazione cresce.

Quale sguardo abbiamo sulla vita? Quello di chi si garantisce il futuro appoggiandosi al “si è sempre fatto così”? a chi cerca solidità e stabilità nel ripetersi delle cose? Oppure con lo sguardo rivolto al passato ideale del paradiso perduto, con quella rassegnazione e depressione che non fanno sperare niente di buono?

In fondo nessuno di questi due atteggiamenti esige la fede: che bisogno c’è di credere se uno si sente sicuro nel correre sui binari delle abitudini e delle tradizioni, binari sui quali la vita scorre e dove anche la preghiera e i riti fanno parte di un corredo datato?

Chiediamo al Signore di avere occhi capaci di vedere le opere di Dio e di imparare a guardare le persone che ci sono vicine come se il nostro sguardo potesse guarirle.

(Gv 9, 1-41)