DOMENICA DELLE PALME messa nel giorno - Gv 11, 55-12, 11
(Is 52, 13 – 53, 12; Eb 12 , 1b-3; Gv 11, 55- 12, 11)
La domenica delle Palme rappresenta quasi il punto d’arrivo della quaresima, dei quaranta giorni nei quali ci siamo impegnati ad ascoltare la parola di Dio, a fare qualche rinuncia e ad essere anche più solidali con i poveri. Ma al tempo stesso la domenica delle Palme ci introduce sulla soglia della settimana santa e in particolare dei tre giorni santi nei quali faremo memoria dell’ultima cena, della passione e crocifissione di Gesù, la sua deposizione nel sepolcro e infine, dell’alba di domenica della sua risurrezione.
È un’eucaristia dunque un po’ particolare quella di oggi, che si arricchisce anche di due segni per sottolinearne l’importanza: anzitutto l’ulivo. Abbiamo benedetto l’ulivo nel ricordo dell’ingresso solenne di Gesù in Gerusalemme: la gente lo aveva acclamato e accolto come messia agitando rami d’ulivo. L’ulivo è simbolo di pace: fin dai tempi di Noè il ramoscello che la colomba riportò al patriarca fu segno che dopo tanta distruzione era scesa la pace. Le acque del diluvio dicevano l’arrabbiatura dell’Eterno e ora che si sono placate alla colomba risultò facile staccare un ramoscello d’ulivo, come segno appunto di pacificazione.
E il messia era atteso appunto come colui che avrebbe portato una pace definitiva tra Dio e l’uomo. Il nome stesso, Messia (Cristo in greco), letteralmente significa «l’Unto», perché ha ricevuto su di sé l’unzione con l’olio appunto, con la spremitura del frutto della pianta d’ulivo per indicare la sua missione, missione descritta da Isaia nella prima lettura: Dio stesso nel Figlio si fa carico del dolore dell’uomo, del peccato del mondo… altro che «ira di Dio». Dio è pace e si riconcilia di sua iniziativa con tutto l’uomo, con ogni uomo!
Quando i discepoli e la folla accompagnano l’ingresso di Gesù in Gerusalemme con rami di palma e di ulivo, lo accolgono come il tanto atteso re di pace. Però sappiamo che nel giro di pochi giorni questa stessa gente cambierà idea e bandiera, perché come sempre accade nella storia dell’umanità, la massa si lascia facilmente manovrare, così che il canto dell’osanna si trasforma nel grido: Crocifiggilo!
Il rametto d’ulivo che portiamo a casa, come ad augurarci la benedizione del Signore sulle nostre famiglie, come segno di pace tra le mura e tra i cuori, ci rimanda anche a quella sera, quando Gesù si è ritirato con i suoi a pregare ed era proprio nel giardino degli Ulivi, alle porte di Gerusalemme. Una notte di angoscia e di solitudine perché i discepoli dormono e non si rendono conto di cosa si stia preparando o non vogliono rendersene conto. Ecco quell’ulivo che portiamo a casa, non vuole essere un amuleto, un portafortuna, ma il segno di quella pace e di quella gioia che nascono dal frantoio della croce.
E qui ci viene in aiuto l’altro segno, ed è quello che ci viene consegnato dal vangelo di oggi, si tratta del profumo di nardo, anzi precisa Giovanni «di puro nardo» in quantità davvero importante, sono trecento grammi di profumo, «assai prezioso», nel senso di costoso. Infatti ancora oggi questo unguento viene estratto dalla radice della pianta di nardo che cresce oltre i cinquemila metri sulla catena himalaiana, ed è utilizzato per curare i piedi. Immaginiamo quale potesse essere il valore di trecento grammi di un profumo ai tempi di Gesù!
Marta e Maria, dopo che si erano lamentate perché Gesù era arrivato in ritardo, quando ha restituito alla vita Lazzaro non sapevano più come ringraziarlo. Marta da brava cuoca prepara una cena per Gesù. Maria che aveva da parte questo profumo prezioso deve aver pensato tra sé: quale occasione più bella per ungere i piedi di questo nostro amico?!
Il protagonista del brano potremmo dire è proprio il profumo, il profumo di sua natura si dona, non può non donarsi. È un’immagine che racconta di Gesù: Gesù non può non donarsi, Dio non può che donarsi. Così l’amore, il dono di Dio tutti lo possono percepire, lo puoi sentire anche se sei al buio. E la casa si riempì dell’aroma di quel profumo. Una scena molto bella, delicatissima. Questa casa che era abitata dall’odore della morte, ora è piena di profumo, in questa casa, che è la chiesa e il mondo c’è il profumo della vita quando appunto c’è l’amore, il dono. È il profumo del Vangelo.
Però, ecco c’è sempre un però anche nel vangelo, a uno dei Dodici, a Giuda Iscariota questa storia del profumo proprio non piace. Ma non perché non gradisca l’odore, piuttosto la sua logica è stringente. Non ragiona male Giuda: il suo è un buon ragionamento, tra l’altro da lui veniamo a sapere che il valore commerciale di quei 300 grammi di nardo corrisponde a un anno di stipendio di un operaio! Con una cifra così si potevano fare tante cose per i poveri… anche se questo era solo un pretesto, in realtà a Giuda dei poveri gliene importava ben poco. Vedeva nel gesto di Maria un’occasione perduta per lui di guadagnare di più.
Ecco, anche di fronte al profumo di Dio, ci sono due logiche, due economie: da una parte l’economia rappresentata da Giuda, l’economia del prendere, del guadagnare. Dall’altra parte l’economia rappresentata da Maria, sorella di Lazzaro, l’economia del dono, di chi come lei dona in modo riconoscente e generoso. Non capire questo spreco vuol dire non capire Dio, vuol dire non capire l’uomo, perché l’unica misura dell’amore è il non avere misura. Se uno misurasse l’amore con il contagocce sarebbe ben poco amore, l’unica misura è non averne. I poveri li avrete sempre, dice Gesù, e vivrete con loro questo stesso amore che vivete con me.
I due segni dell’ulivo e del profumo di nardo ci aiutano a vivere questa settimana come una settimana santa, una settimana che in ambrosiano viene detta «autentica», nel senso che è una settimana di verità per la storia umana, per la società in cui viviamo, per il mondo che può sembrarci indifferente al Vangelo. Perché Gesù muore e risorge per tutti, anche per chi oggi non crede, anche per chi oggi lo bestemmia e lo ignora. Tutta la sua vita fino alla morte è un dono.
Passeremo dal Cenacolo al Golgota fino al sepolcro vuoto, ripercorrendo gli ambiti che sono anche quelli della nostra vita: la città, il giardino, i palazzi del potere e del culto, del lavoro e del commercio; incontreremo la gente comune e le persone che hanno responsabilità, i soldati e le donne, i Cirenei di ieri e di oggi e i sacerdoti. Perché non c’è ambiente, non c’è categoria sociale, non c’è ombra di umanità che non venga raggiunta dal dono di Dio perché Cristo si dona per tutti.
Chiediamo a Maria di Betania un po’ dell’affetto che le ha permesso di dare al Cristo ciò che di più prezioso aveva, per noi potrebbe essere il nostro tempo, sempre così tiranno e dilaniato tra mille cose. Decidiamo di vivere questa settimana con Gesù come comunità che continua a tenere viva la memoria del suo Signore. L’odore della morte che attraversa il mondo, i mass media, le nostre vite… viene vinto dal profumo del Vangelo, dal profumo della Pasqua, dal profumo della vita.
Paragonando il Vangelo al profumo non intendo rimandare a un’operazione cosmetica, superficiale, di maquillage, ma penso al senso che ha per Gesù quel gesto: è il profumo che viene dal dono di sé, dall’amore. Mentre dalla superbia, dall’orgoglio, dalla cupidigia non viene che olezzo di paura e di morte.
Disponiamoci dunque alla Pasqua tenendo «Fisso lo sguardo su Gesù che dà origine alla nostra fede e la porta a compimento», fino al giorno in cui celebreremo la Pasqua insieme con lui.